A un certo punto, il disoccupato diventa autoreferenziale.
Pensa solo a sé stesso, e alla sua situazione. Cade in un spirale di disoccupazione che presto diventa “cupazione” (se non sapete di gergo siciliano, “cupare” significa scocciarsi, incupire, cadere preda della cupezza).
Cosicchè il disoccupato comincia a vedere disoccupazione ovunque.
Per le strade, al mercato, quando incontra chicchessia e pensa tristemente “è a spasso come me, in orario lavorativo.. nelle prime fasi della disoccupazione prova ancora rimorso e senso di colpa, anche per empatia con il soggetto incontrato, poi passa per la tristezza, la nostalgia, la solidarietà (a fasi alternate), la rabbia, e, infine, il “cupio”.
In televisione, quando qualsiasi canale su cui capita parla di disoccupati, gente che non arriva a fine mese, inoccupati cronici, famiglie sul lastrico, Corona alla macchia (che sembra non c’entrarci con la disoccupazione.. ecco, appunto SEMBRA).
Per contro anche su internet la situazione non migliora: Twitter e Facebook sono ricettacoli della protesta contro Governo, crisi e disoccupazione. Ognuno di noi, se guarda bene, possiede un disoccupato fra i contatti (e diciamola checcavolo, diciamola questa amara verità!).
E poi, ci siamo pur sempre noi: i blog sulla disoccupazione.
Che diamo man forte al disoccupato in crisi da astinenza da lavoro, a quello depresso, a quello cupato, a quello fuori come un balcone (ma senza geranei) e a quello sotto come un daino appena stirato dal metaforico T.i.R.
Noi, forzati della disoccupazione, che voltandoci e rivoltandoci, nelle notti insonni, sulla disoccupazione scriviamo poesie, prose, sonetti, canzoni.
O le riscriviamo.
Come, voi non cantate la disoccupazione? Davvero? Beh io si, e visto che ci siete, voglio condividere con voi la mia hitlist: ci sono pezzi forti come “un disoccupato a puà, fortunato chi ce l’ha”, e “Prendi un disoccupato, digli che l’ami, scrivigli e dagli un lavoro.. poi non farti vivo e quando lo chiami fallo come fosse un favore…”. E c’è “Fatti mandare dalla mamma a cercare un lavoro”, o “Da una lacrima sul viso ho capito che se disoccupato…”
Ma ci sono anche locuzioni e modi di dire che sono sicura qualcuno di voi ha già sentito. In origine i Proverbi erano questi, credetemi: meglio un lavoro oggi che un disoccupato domani, morto un disoccupato se ne fa un altro, un disoccupato al giorno toglie la Cassa Integrazione di torno, azienda che vai disoccupato che trovi, disoccupati e buoi dei paesi tuoi, il disoccupato puzza dopo 3 giorni, guardati dagli occupati ma ancor più dai disoccupati, primo disoccupato che canta ha trovato il lavoro…
Ce n’è di che riempire quaderni interi, se ci pensate bene.
Pensateci, Prnsateci. (Tanto, non abbiamo altro da fare no? )
Ps. Se ne avete la voglia, e la vena artistica, cantate con me adattando “Io Vagabondo”… tristemente azzeccata. Del resto “un bimbo che ne sa? Sempre azzurra non può essere l’età…”