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La castrazione chimica: riflessioni conclusive. 5° parte

Da Psychomer
by Valentina Dettori on novembre 28, 2012

Da quanto già scritto nei precedenti articoli (parte 1, parte 2, parte 3, parte 4), si comprende facilmente come la questione della “castrazione chimica” sia ancora ampiamente aperta, nonostante sia già utilizzata da differenti Paesi, seppur in modalità diverse. Il presidente della Società mondiale di sessuologia, Eli Coleman, docente dell’Università di Minneapolis, nel Minnesota, ad esempio, ha un’opinione molto favorevole rispetto all’intervento farmacologico, a patto però che questo sia associato ad una psicoterapia centrata sullo specifico problema nel caso dei pedofili o di persone socialmente pericolose a causa della loro parafilia.

Come ci è già chiaro, infatti, la somministrazione di sostanze farmacologiche aiuta a diminuire il livello di testosterone, diminuendo dunque la libido e favorendo un controllo sul comportamento sessuale dell’individuo; nonostante ciò, risulta importante tenere in considerazione alcuni punti fondamentali:

  • Questione medica: non possono passare in secondo piano gli effetti collaterali scaturiti da un’assunzione prolungata delle sostanze farmacologiche sopracitate, come ad esempio cancro al fegato, diabete mellito, depressione psichica, ipertensione arteriosa.

  • Necessità di una terapia di ordine psicologico o psicoterapeutico da affiancare a quella farmacologica: nel momento in cui viene cessata la terapia farmacologica, infatti, gli effetti dei farmaci svaniscono, ed è necessario che l’individuo abbia iniziato un percorso psicologico per limitare la possibilità di recidiva.

  • Aspetto motivazionale: non dobbiamo scordare che in molti Paesi il detenuto che sceglie di sottoporsi alla terapia farmacologica ha dei benefici e degli sconti sulla pena. Bisogna valutare e prendere in considerazione il fatto che questa scelta sia parzialmente libera, caratterizzandosi come scelta di comodo per abbreviare la detenzione in carcere.

  • Aspetto etico: una castrazione, anche se chimica, è pur sempre una castrazione, e questo evoca pratiche oscurantiste e drammatiche, come la lobotomia e l’elettroshock, cioè delle pratiche poco in linea con una civiltà evoluta.

Terminando, mi piacerebbe riportare un semplice e breve ragionamento su basi teoriche. La violenza sessuale non è quasi mai la soddisfazione di un impellente bisogno fisiologico, ma spesso trae soddisfazione dall’esercizio del potere, della forza, dell’umiliazione e del controllo della vittima (basti pensare che la maggior parte dei pedofili è impotente, alle violenze da parte delle donne, a quelle sui transessuali o persone considerate diverse o svantaggiate …).

In questi casi la castrazione chimica non servirebbe in nessun modo a diminuire la recidiva o bloccare l’aggressività parafiliaca del soggetto, facendo si che diventi ridicola anche la sola proposizione. Inoltre, non dimentichiamoci che in alcuni casi non può essere nemmeno somministrata: basti pensare alle donne o ai soggetti impotenti, i quali non sono assolutamente curabili seguendo questo filone farmaceutico.

La castrazione chimica, concludendo, è quindi una soluzione sotto molti punti di vista, ma diventa inefficace ed inutile se non accompagnata da un percorso di ordine psicologico o psicoterapeutico per l’individuo.


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