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La Chiesa, tra culto e presunta evasione fiscale

Creato il 07 maggio 2014 da Salvatore Cugliari

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La Chiesa, quella santa, apostolica e… furbacchiona comunità con sede in Vaticano risulta essere molto spesso nell’occhio del ciclone per vari e molteplici motivi. Vuoi perché, rivestendo un ruolo pressoché egemone da un punto di vista cultura in Italia e nel resto del globo, sia continuamente sotto i riflettori mediatici o vuoi perché ci si aspetti giustamente qualcosina in più, rispetto a concordanza e adempimento di alcuni valori, dalla casa del Signore.

La Chiesa non è mai stata più di tanto trasparente, è rimasta, nel corso della sua lunghissima storia, chiusa in involucro in cui il tempo sembra essersi, per certi versi, fermato. Ferma e immobile a principi retrogradi e oramai surclassati, appare agli occhi delle giovani generazioni “estranea al contesto”.

Papa Francesco, pur possedendo un particolare e coinvolgente carisma, non si può ancora dire abbia attuato chissà quale rinnovamento all’interno delle mure ecclesiastiche. La strada è ancora molto lunga ed impervia…

Lo IOR, gli abusi e gli episodi di pedofilia sono solo alcuni dei più eclatanti scandali che hanno spinto molti fedeli a porsi alcune domande. Anche l’ONU, l’Organizzazione delle Nazioni Unite, si è sentita in dovere di prendere una chiara e netta posizione nei confronti della Chiesa. Insomma, la Chiesa, come tutte le grandi comunità, ha i suoi evidenti problemi che, invece di accantonare e provare a eclissare, dovrebbe cercare di risolvere.

Il cardinal Angelo Bagnasco

Il cardinal Angelo Bagnasco

Il presidente della Conferenza episcopale italiana, il cardinal Angelo Bagnasco, circa un annetto fa, aveva definito l’evasione fiscale “un peccato”. Come dargli torto? Bè, alle mie orecchie appare un paradosso che una condanna del genere arrivi proprio da chi, come il colosso vaticano, ha beneficiato di continue regalie nell’ambito delle tasse. La Chiesa, infatti, a parte l’Ires (Imposta sul Reddito delle Società), che per giunta paga a metà, non ha mai pagato alcunché. Prima l’Ici e poi la celeberrima Imu, tutte tasse che la Chiesa, facendo leva su una vaga legge vigente, non ha mai contribuito a versare.

Secondo la suddetta legge non pagano la tassa sugli immobili le proprietà di enti senza fine di lucro “destinati allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive”. Il problema, però, per la Chiesa come per gli altri enti, è che è molto difficile verificare quali siano gli immobili che non sono a “uso commerciale”. L’Apsa, Amministrazione del Patrimonio per la Sede Apostolica (palesemente in conflitto d’interesse), ritiene che gli immobili tassabili appartenenti alla Chiesa siano molto pochi, e che tutti assieme non superino il valore di 50 milioni. L’Ares, Associazione Ricerca E Sviluppo, d’altro canto, ha pubblicato uno studio che proverebbe l’esistenza di 115mila fabbricati “non esclusivamente di culto” di proprietà della Chiesa. Il gettito di un eventuale prelievo sarebbe di 2,2 miliardi all’anno.

La Chiesa, pensate un po’, ha recentemente chiuso il suo bilancio annuale con 2 miliardi di utile. Come è possibile immaginare che gli edifici tassabili di una “Sppp” (Società Per Preghiera e Pentimento) del genere, con un patrimonio immobiliare disseminato nel mondo che ammonta a circa 2 miliardi di euro (all’incirca la metà si trova in Italia), non superino il valore di 50 milioni?

Secondo Webeconomia.it, se la Chiesa pagasse solamente l’Imu si potrebbe: aumentare del 50% del cuneo fiscale deciso da Letta, abolire l’Irap (o quasi), raddoppiare dei fondi per la gestione dei beni culturali e aumentare del 20% della spesa pubblica in ricerca e sviluppo. Insomma, non dico potrebbe risollevare l’economia, ma corredata da incentivi e provvedimenti mirati nel campo del lavoro, potrebbe dare sicuramente una notevole spinta alla nostra penisola.

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La Chiesa, invece di manipolare e deviare questa generale presa di posizione, dovrebbe cercare di prendere atto della difficoltà italiche e mettersi una mano sulla coscienza e poi, più concretamente, nel portafoglio.

Fonti: WebeconomiaBlitzquotidianoLibero - Giornalettismo


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