Magazine Lavoro
È alle porte – dal 12 al 15 giugno a Roma – il Congresso della Cisl. Un’assise che sta tra il passato e il futuro. Col ritorno a un rapporto unitario tra sindacati. Testimoniato dall’accordo sulla rappresentanza, cioè su come stabilire il peso numerico delle diverse organizzazioni e su come far partecipare i lavoratori alla approvazione degli accordi contrattuali attraverso una consultazione certificata. È aperta così una fondamentale pagina nuova che può chiudere quella degli accordi separati e della crescente ininfluenza dei sindacati. È sperabile che queste novità abbiano un peso nel dibattito Cisl.
Nelle «tracce» congressuali non è possibile rintracciare un vero e proprio bilancio di quanto é accaduto negli ultimi tempi. C’é, all’inizio, un’orgogliosa rivendicazione: «L’azione della Cisl ha evitato gli interventi più radicali attuati in altri Paesi dell’Unione europea: dai ridimensionamenti drastici alle tutele sociali tali da metterne in discussione la copertura universalistica, ai tagli vivi a salari e pensioni, ai licenziamenti dei dipendenti pubblici». Poco dopo l’analisi si fa peró più dura: «Si aggravano progressivamente le condizioni di vita dei lavoratori e dei pensionati. Il divario tra ricchi e poveri è sempre più scandaloso. Crescono l’area della povertà e le difficoltà di tenuta delle famiglie».
La strategia rimane quella della «responsabilità» e «solidarietà». Sembra posta in contrasto con altre linee di condotta anche se non si nominano mai né la Cgil né la Fiom: «L’alternativa è il sindacato di movimento e di mandato, il sindacato conflittuale e rivendicativo…». Anche qui, però, nel proseguo del documento, si descrive impietosamente un’Italia che ha «offerto uno spettacolo desolante del sistema politico tra scandali, illegalità, demagogia, populismi e ribellismi». Una denuncia aspra che dovrebbe portare a riflettere su chi e come si é opposto o no a tale deriva e con quali risultati.
La Cisl di questo faticoso 2013 rilancia comunque una serie di proposte spesso recuperabili in un’azione unitaria. Cosí sulle riforme istituzionale, la riforma fiscale, le politiche del lavoro. Tutte mirate a un ipotetico «patto sociale». Interessante sul tema del lavoro l’obiettivo di «favorire la creazione di molti posti di lavoro di buona qualità» poiché «una migliore qualità del lavoro è una condizione indispensabile per una maggiore produttività, così come lo è lo sviluppo della contrattazione aziendale e un coinvolgimento maggiore dei lavoratori, con una partecipazione degli stessi alle scelte strategiche delle aziende in cui lavorano». Con una polemica nei confronti di «due mercati del lavoro, tra loro separati: uno con posti di lavoro di scarsa qualificazione e bassi salari, che andranno agli immigrati, e uno di posti di lavoro di discreta qualità, che saranno però insufficienti per dare occupazione alla forza lavoro italiana disponibile…». Un dualismo del mercato del lavoro «ben più serio di quello tanto sbandierato tra lavoratori protetti e non protetti».
Sono tematiche sulle quali é possibile costruire un confronto positivo. Con la speranza che anche nella Cisl si esca un po’ da un certo conformismo così staccato dalla sua stessa storia. É un’osservazione che viene spontanea scorrendo ad esempio le pagine di un’«intervista autobiografica» apparsa sul sito di Eguaglianza e Libertá, la rivista on line di Pierre Carniti e Tonino Lettieri. Qui Rino Caviglioli, stimato dirigente della Cisl del passato, ricostruisce, con l’aiuto di Bruno Liverani, la lunga esperienza e in particolare gli anni della scommessa unitaria, accanto a persone come Pierre Carniti, Pippo Morelli, Bentivogli, Gavioli. E nei confronti con Trentin, Galli e molti altri. Quella di Caviglioli non é però certo una Cisl succube delle prepotenze cigielline. Scrive: «Era un clima di affettuosa feroce unitaria competizione… Ma non mettemmo mai in discussione le pratiche unitarie». Anche se poi il sogno unitario s’infrange e Caviglioli, qui un po’ ingeneroso, dà la colpa tutta al Pci e a un Trentin troppo obbediente, quasi ignorando altri sabotatori annidati nella Dc e nella stessa Cisl. Ad ogni modo é vero che quel mancato approdo unitario chiude «la stagione dell’unità competitiva» e apre quella della «competizione senza unità». Una scelta sbagliata – spiega Caviglioli – destinata ad essere pagata nel corso degli anni seguenti dal sindacato con il ridimensionamento del suo peso sulla politica, ma pagata anche con il peggioramento della qualità della politica e con l’immobilismo sociale che ne sarebbe conseguito». Ed é vero che in tutto il mondo «il sindacato ha un peso solo dove è unito, in azienda o a livello nazionale». È possibile riprendere quel lontano cammino? Magari ora che non c’é più il «silenziatore» comunista? Sarebbe bello se il congresso Cisl ne discutesse.
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