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La classe operaia va all’inferno

Creato il 15 gennaio 2011 da Radicalelibero

La classe operaia va all’inferno

 

Alla fine della fiera, chiuse le urne e chiusi i seggi, è andato tutto esattamente come ci si attendeva alla vigilia. O quasi. I favorevoli al diktat per Mirafiori hanno prevalso. Di poco, ma tant’è. 54% contro 46%.

Tutta la gerarchia feudale della Fiat e del Paese, tutti gli assertori del patto di non belligeranza (contro il capitale) non farà sconti. “Basterà anche soltanto un voto”. Sono arrivati quelli degli impiegati a salvare Marchionne. Già perché, nel cuore della fabbrica, sul vero campo di battaglia, le truppe cammellate dell’eroe dei due mondi erano state molto ingloriosamente sopraffatte dall’onda rossa di Fiom e Cobas.

C’è voluto l’intervento degli uffici; l’uscita dalla fabbrica, dal caldo, dal disagio, dall’unto, dal pericolo di malattie è stata la chiave del successo. L’ha detto Nichi Vendola efficacemente: “Per Marchionne la vittoria più amara, per la Fiom la sconfitta più gratificante”. Poca cosa. L’apologia della bella sconfitta non era quella stessa che Nichita, per sé, aborriva? E’ una forma distorta di trainig autogeno made in fabbrica che non  fa bene a nessuno.

Non fa bene al mondo operaio che ha la necessità di ritrovare se stesso all’interno del conflitto sociale contro il capitale. Vecchiume ideologico? Niente affatto. Piuttosto, riciclo positivo e necessario quando, nel pattume, sono volontariamente stati gettati i diritti, la democrazia. Parcheggiati in quegli enormi spazi per i pullman al di fuori delle fabbriche, ammonticchiati sopra cumuli e cumuli di sangue versato sulle strade, sconfitte e vittorie. L’uomo forte della Fiat vuole riportare l’orologio della Storia indietro nel tempo, a quell’era in cui c’era chi poteva tutto e chi nulla. Vuole tornare al caporalato industriale, ripristinare il divieto di dissetarsi durante la fatica. Stirare le pieghe del tempo per scovarvi il pericoloso virus sindacale ed eliminarne le tracce. Marchionne ha comprato il favore di cinque sindacati su sette. E, comunque, non è stato capace di mettere a sedere l’orgoglio operaio rinascente.

Un orgoglio pesantemente scalfito da questa compravendita. Si è giocato al massacro interno, alla morra cinese delle ragioni, dove incredibilmente il più sciocco e credulone ha fagocitato il lottatore. Perché la responsabilità non è soltanto di Marchionne. Ma anche dei soloni interni. Dei sindacati, innanzitutto. Prendete Uil e Cisl. Ebbene, la loro messa a disposizione del padre padrone, il loro accettare chini le frustate benevole del capo sovverte la natura stessa del proposito sindacale, ribalta la logica della difesa del lavoro per sposare, bavosa, quella della convenienza del momento. E’ una sposa che accetta una cavalcata a vita piuttosto che un matrimonio fondato sull’amore e sul rispetto. Non sapendo che, il corpo scolpito e stentoreo dello stallone che la sottomette, prima o poi, appassirà, flaccido a tal punto che neppure il Viagra potrà farci nulla. A quel punto si troverà sola ed insoddisfatta, con un piede sull’uscio della camera da letto smunta ed uno su quello dell’appartamento. Sempre sotto schiaffo del ripudio.

Ma anche degli stessi interni. I risultati di Mirafiori ci presentano l’alba di un nuovo conflitto (cromatico e non solo) fra colletti bianchi e tute blu. Con i primi a decidere della sorte dei secondi. Forti del loro peso e della loro sostanziale garanzia, poco più di 400 impiegati hanno sovvertito il voto espresso da quasi 5000 operai. Questa è la democrazia, daccordo. Questo il sistema scelto ed accettato da tutti, Fiom compresa. Ma che le veci dell’ago della bilancia vengano impersonate da quanti, in fondo, risentiranno men di tutti delle conseguenze della marchionizzazione, è per lo meno bislacco. Eppure sì che, loro, dovrebbero essere la parte “migliore” dell’azienda. Quella più istruita. Quella, si diceva un tempo nel profondo Sud, “studiata”. sarebbe bastato, forse, che l’avessero letto quella sottospecie di accordo sottoposto al laser del voto. Sarebbe bastato non dar retta agli echi di chi diceva: “O con il sì oppure andiamo via”.

Perché la delocalizzazione, gli “studiati” dovrebbero saperlo, è più che avviata. E non solo verso il freddo polacco o il belvedere rivierasco croato. Marchino Marchionne, tanto forte del paese di Pulcinella quanto prono in quello dello Zio Sam, ha iniziato a portar via, destinazione Detroit, le menti più brillanti dell’azienda italiana. Sta facendo letteralmente a pezzi la progettazione, stracciando come carta da culo la componentistica Fiat, (s)vendendo – per niente sotto banco per chi sotto il banco ci guarda – piani come quello delle macchine elettroniche ed imbarcandosi, di contro, i Suv.

Domanda: in un paese in cui il mercato delle auto è ai minimi storici, in crollo verticale (17% nel 2010 rispetto all’anno precedente e – 19% soltanto nel mese scorso), mancano piani d’investimento ed il prezzo d’acquisto delle famiglie scema mese dopo mese, chi potrà mai permettersi l’acquisto di un Suv? E, conseguentemente, a chi giova il nuovo piano di marchionne? Di certo, non certo agli stabilimenti italiani. Di certo, non a Mirafiori. Di certo, non agli impiegatucci modesti. Forse a qualche sindacalista corrotto e venduto.

 



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