Tra alcuni popoli originari americani alcune piante, se utilizzate durante cerimonie tenute da sciamani (personalità che hanno poteri curativi e di contatto con spiriti) e con fini curativi, possono produrre stati tali da favorire – tanto alle figure religiose quanto ai pazienti – processi di guarigione, e per questo vengono definite “piante sacre”. Tra le più conosciute ci sono la ayahuasca (in realtà una miscela di diverse radici, utilizzata dai popoli andini e amazzonici), il cebil (esteticamente simile alla mimosa e diffusa in tutto il Sud-America), la coca, il peyote (pianta succosa conosciuta anche come “pianta degli dèi”) e il tabacco (non il prodotto nocivo e industriale che tutti conosciamo).
Le proprietà di queste piante sono ormai note e riconosciute e hanno origini millenarie: la principale caratteristica che viene loro riconosciuta è la possibilità di raggiungere piani/dimensioni della realtà popolati da spiriti, entità e fenomeni fuori dalla realtà ordinaria. Il motivo che giustifica certe pratiche va ricercato proprio nell’idea di realtà che possiedono i popoli originari, che è molto più complessa della nostra idea occidentale (considerata l’unica possibile). In particolare, dopo aver ingerito alcune sostanze, lo sciamano può entrare in contatto con il mondo invisibile e da esso prendere i poteri, le informazioni e le soluzioni necessarie a diagnosticare e curare le malattie del mondo terreno. Tali scoperte hanno portato, nel mondo occidentale, al riconoscimento di queste altre forme di sapere: ciò significa mettere da parte le leggi scientifiche con le quali siamo abituati ad agire, e capire, invece, che esistono modi alternativi di concepire il mondo, la vita e l’universo, altrettanto validi. Non è giusto, perciò, continuare a utilizzare il termine “allucigeno” per definire le suddette piante, così come continua ad accadere all’interno della comunità scientifica. Sarebbe più giusto – come già avviene tra i popoli che ne fanno uso – denominarle “sacre”, “psico-attive”, “maestre” o “enteogene” termine, quest’ultimo, coniato nel 1979 da vari studiosi e che sottolinea il suo siginificato di “sostanza che genera Dio all’interno di noi stessi”. Da qui la funzione di contatto con il divino che attribuiscono determinati popoli a queste piante e, soprattutto, il legame importantissimo tra equilibrio spirituale e salute fisica. Lo spirito della pianta, infatti, “entra” nel corpo della persona malata per dialogare con il suo spirito e, con l’aiuto di vari strumenti come fumi, tamburi o canti, allo sciamano è possibile favorire la cura.
Negli ultimi anni piante come l’ayahuasca e la coca sono uscite fuori dai propri ambiti d’uso abituale per essere utilizzate anche in altri tipi di cerimonie e non solo per gli stessi scopi finora conosciuti. Non va, comunque, negato il potere curativo che queste possiedono e l’importanza delle cerimonie che accompagnano il loro utilizzo, in un rapporto di assoluta complementarietà. Per cui, qualora si voglia raggiungere gli stessi risultati, è imprescindibile affidarsi a sciamani e personalità riconosciute e rispettare la natura spirituale di tali processi.
Fonti: – www.ecoportal.net – Crónicas de la Tierra sin Mal
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