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La coerenza di una storia

Da Marcofre

Il sottotitolo potrebbe essere: “Per quale ragione dovresti leggere Bartebly lo scrivano”. Però il titolo sarebbe stato troppo lungo, e mi sono dovuto rassegnare a qualcosa di meno evocativo.
Adesso, procediamo.

Che cosa rende il racconto “Bartebly lo scrivano” di Herman Melville, praticamente perfetto? Prima di rispondere devo riconoscere che a una prima lettura in molti restano perplessi. Anzi, a essere precisi questo autore americano piace a pochi.

L’autore aveva vissuto un momento di grande popolarità quando in gioventù, aveva pubblicato un paio di romanzi ambientati nelle isole del Pacifico. Dopo, aveva svoltato: anziché battere il ferro (caldo) del successo, aveva indirizzato la sua riflessione su ben altri temi. Il risultato: una gelida indifferenza da parte del pubblico, a parte la vicinanza di qualche critico. Quando Melville morì, qualche giornale scrisse che era morto uno scrittore un tempo famoso.

Singolare che certi scrittori (Melville appunto, o Scott Fitzgerald), muoiano quando sono in vita, per risorgere dopo che sono morti.

Bartebly è un impiegato che viene assunto nell’ufficio di un avvocato per sbrigare una serie di compiti da… impiegato. Un giorno, a un precisa richiesta del suo superiore (è lui che racconta la storia) risponde con un “Preferirei di no”. E non farà più nulla.
Alla fine (quasi alla fine), l’avvocato che lo ha assunto compie un’azione folle: trasferisce altrove l’ufficio, e lascia Bartebly solo in quegli ambienti ormai vuoti.

Non è da pazzi questo comportamento? Perché l’avvocato non prende a calci Bartebly, e lo caccia? Oppure: perché non ricorre alla polizia?
Nessuno si comporterebbe in questo modo: nessuno.

Tutta questa tiritera per ricordare che una storia può essere folle, incoerente, ma nello stesso tempo deve avere una profonda coerenza, o si sfascia tutto. La letteratura è piena di esempi analoghi: “La metamorfosi” di Kafka, per esempio.

Per la vita della storia immagino che sia necessario iniziare con un passo, e proseguire con quello. Magari è possibile aumentarne la cadenza, rallentare: ma non modificarlo o cambiarlo.

È un concetto arduo da assimilare. Perché da una parte si dice e si proclama la libertà di un autore: costui scrive quello che vuole, e nessuno può indurlo a scrivere un’altra storia, o un certo tipo di storie.

Dall’altra, è indotto a tracciare un percorso e a restar fedele a esso. Un percorso che forse si limita a una storia; forse abbraccia tutta la sua produzione letteraria. Bartebly è perfetto perché non ammaestra, non svela verità, né complotti. È un’opera inutile, per questo utilissima. Andrebbe letta proprio per questa sua caratteristica così nitida: la coerenza, e l’inutilità.

Essere coerenti non vuol dire iniziare una storia e portarla a termine in un certo modo. Bensì costruire una struttura capace di essere unita, forte, del tutto priva di fessure attraverso le quali il buonsenso possa crearsi uno spazio e trionfare, e dire: “No! È impossibile! .

In realtà la letteratura che dura è più o meno così: crea un incantamento tale da ammaliare il lettore. Poi ci sono delle storie, come quella di Bartebly, dove questa qualità riesce a brillare di una forza ben maggiore.


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