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La cometa bagnata

Creato il 11 aprile 2011 da Stukhtra

Non si parla più solo di palle di neve sporca

di Mattia Luca Mazzucchelli

Se le comete si sono meritate il soprannome di “palle di neve sporca” è perché sono sempre state considerate degli ammassi di materiali vari, perlopiù polveri, uniti da tanto ghiaccio. Ma si è sempre parlato solo e rigorosamente di acqua allo stato solido. Ora è arrivato uno studio che mette in crisi quest’ipotesi: al loro interno deve esisterne una certa quantità liquida. E per giungere a questa conclusione gli scienziati sono partiti davvero da molto lontano.

Nel 1978 l’astronomo svizzero Paul Wild, dell’Istituto di Astronomia dell’Università di Berna, scoprì nel Sistema Solare interno una cometa, subito battezzata Wild 2. Negli anni immediatamente successivi, alcuni studi rivelarono che la cometa originariamente aveva un’orbita molto più ampia, con il perielio a circa 4,9 Unità Astronomiche (UA), ma nel 1974, disturbata dall’attrazione gravitazionale di Giove, era andata a occupare un’orbita più piccola, con il perielio a 1,59 UA. Come tante altre comete, Wild 2 si è formata nella fascia di Kuiper, una regione fredda che si estende oltre l’orbita di Nettuno, dove si accumularono i materiali non coinvolti nella nascita dei pianeti del Sistema Solare. Insomma, agli osservatori Wild 2 sembrava il classico contenitore di materiali primordiali del nostro sistema planetario, ma con una caratteristica in più: da qualche tempo si trovava a girare molto vicino (astronomicamente parlando) alla Terra.

La cometa bagnata

La cometa Wild 2 molto vicina alla sonda Stardust. Tranquilli: poi non si sono scontrate... (Cortesia: NASA)

Un’occasione simile non ce la si lascia scappare. Perciò nel 1999 fu lanciata dalla NASA la sonda Stardust, che aveva lo scopo di intercettare la cometa per studiarla più da vicino. La raggiunse nel 2004 e, passandole accanto, riuscì a raccogliere alcuni campioni del materiale emesso dalla chioma. Infine la sonda fu riportata sulla Terra e nel 2006, quando era abbastanza vicina, sganciò la capsula con il materiale prelevato, che precipitò nello Utah.

Così sono iniziate le analisi sulle polveri che finora hanno coinvolto circa 150 scienziati in tutto il mondo. Fra loro, un team guidato da Eve Berger, planetologa dell’Università dell’Arizona, ha studiato queste particelle con microscopio elettronico e cristallografia a raggi X per risalire alla composizione chimica e alla struttura cristallografica dei minerali presenti. Ed ecco la sorpresa…

“Nei nostri campioni abbiamo trovato minerali che si formano solo in presenza di acqua liquida”, dice Berger. “A un certo punto della sua storia la cometa deve aver ospitato delle sacche di acqua liquida”. Uno dei minerali in questione è la cubanite, solfuro di rame e ferro che può esistere solo a temperature inferiori a 210 gradi. Ciò significa che la cubanite, presente sulla Terra ma rara nei materiali extraterrestri, non ha mai incontrato temperature più alte. “Quando si è fusa parte del ghiaccio di Wild 2, l’acqua formatasi ha disciolto i minerali che erano presenti in quel momento e ha fatto precipitare i solfuri di rame e ferro che abbiamo trovato nei nostri studi”, aggiunge Dante Lauretta, professore all’Università dell’Arizona e membro del gruppo di ricerca. “Questi minerali si formano tra 50 e 200 gradi: una temperatura molto più alta di quella che si attribuiva alla parte interna di una cometa”.

Gli autori, nel loro studio in fase di pubblicazione sulla rivista “Geochimica et Cosmochimica Acta”, ipotizzano che la fusione del ghiaccio, localizzata in alcuni punti della cometa, sia dovuta a piccoli impatti subiti da Wild 2 durante i suoi viaggi nel Sistema Solare, impatti che hanno innalzato localmente la temperatura. Oppure al decadimento di materiali radioattivi, forse presenti nella struttura, che erano attivi durante la prima parte della vita della cometa.

Insomma, in un colpo solo si sono scoperte parecchie cose sulle comete. Per prima cosa le comete non sono completamente surgelate, ma l’interno è caldo a sufficienza per sciogliere il ghiaccio e formare acqua liquida. Però non sviluppano e nemmeno incontrano nel proprio girovagare temperature elevatissime, altrimenti la cubanite non si sarebbe conservata. Inoltre lo studio ci mette in guardia dal considerare sempre le comete buone testimoni dei primi momenti del nostro sistema planetario. Infatti spesso ricaviamo informazioni sulla composizione dei materiali che hanno dato origine al Sistema Solare grazie all’analisi condotta su corpi celesti come meteoriti e comete. Ma ora i ricercatori hanno dimostrato come i materiali che compongono le comete non sono necessariamente quelli originari e anzi possono essere radicalmente alterati da altri fattori. Quindi bisognerà verificare caso per caso. “Quello che abbiamo trovato ci fa vedere le comete sotto una luce diversa”, dice al riguardo Lauretta. “Pensiamo che vadano considerate entità individuali, ognuna con una propria e unica storia geologica”.

Lauretta è fermamente convinto dell’importanza di missioni che, come quella della Stardust, raccolgano direttamente campioni di polveri. Le rilevazioni a distanza, fatte da terra o con sonde, non sono sufficienti. Per questo sta sviluppando il progetto OSIRIS-REx, finalista nel New Frontiers Program della NASA, che ha come obiettivo il prelievo e il trasporto sulla Terra di materiali addirittura precedenti alla formazione del Sistema Solare.


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