Magazine Per Lei
La Spiaggia di Nina sta raccogliendo le vostre presenze e tre di voi hanno già lasciato la loro conchiglia-storia.
Nel porgervele io seguirò l'ordine cronologico con cui sono arrivate a me.
Questi tesori preziosi, queste parti vive di voi, sono la testimonianza del fatto che questo blog ha un senso ed è diventato ciò che io sognavo il giorno in cui l'ho aperto. Sono la prova concreta del fatto che è arrivato là dove sole non saremmo mai giunte: a superare il muro del silenzio, ad abbatterlo, a farci sentire più forti, scrollandoci di dosso quel senso di isolamento e solitudine che strozza la gola nelle notti di pianto.
Ora possiamo dire con certezza che ciò che più conta, per tutte noi, è avere la possibilità di CONDIVIDERE tutto questo peso, confrontarci con altre che possono comprendere quello che intimamente ognuna di noi sta vivendo. Perchè oltre ad essere tante e ognuna con il suo percorso differente, abbiamo però molti punti in comune, che ci rendono simili e vicine: i sentimenti, le paure, i dubbi, la voglia di uscire allo scoperto, ma anche di ridere e goderci la vita, nonostante tutto.
E allora eccola qua, la prima conchiglia insieme alla prima CartoNina di Francesca Ballarini, che ci accompagnerà ogni volta con i suoi (di)segni nella scoperta dei vostri mondi sommersi.
Portiamoli a galla insieme, su questa spiaggia dove possiamo metterci nude senza vergogna e facciamoli rivivere e risplendere di nuovo, così come meritano.
La conchiglia di Clara
Confessione fiume di una pesciolina a caccia
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(leggete questo post ascoltando questa canzoncina allegra, please!)
http://www.youtube.com/watch?v=81em6TUYyvA
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Eccomi, Clara, classe: marzo 1974, segno zodiacale: pesci; già “vecchia” da tempo per troppi ginecologi… A caccia +/- da 3 anni, (così tanti, già!). 2 isteroscopie, 1 laparascopia diagnostica e operativa (endometriosi di secondo grado, qualche aderenza qua e là; tube aperte); 1 polipectomia (il due di gennaio 2011, giusto per iniziare bene l’anno, con un polipetto bastardo in un punto bastardo, in due gine mi han detto, “ah, con quel polipo messo là, anche se concepisci è impossibile un impianto”); e nel frattempo in questi 3 anni: uno strano caso di toxoplasmosi che mi ha fatto perdere mesi di vita, un’inspiegata positività alla clamidia (io positiva, mio marito no!) e cisti varie, funzionali, non funzionali, e persino un corpo luteo emorragico che mi ha costretto a un mese di immobilità mentre ero in India, con l’ovaio sinistro che si era completamente spostato a destra (dolori atroci), scatenando un gran casino nel basso ventre. Conclusione: infertilità (che gentile questo termine, pensate a tutte le volte che i gine brutalmente hanno scritto: sterilità. Sterilità, tiè!) “SINE CAUSA”… Ah, senza dimenticare un passato di ovaie policistiche e microcistiche, e 18 anni di pillola per non morire dissanguata… L’unica mia certezza in questa precarietà esistenziale, emotiva e lavorativa che è la mia vita, le rosse: puntualissime, sempre a ogni 28-29 giorni! Decisione: p.m.a. Fivet/ICSI prevista per maggio. Sto facendo il cosiddetto “protocollo corto” della Fivet. Al momento sono al quinto giorno della terapia di soppressione, con la pillola Loette. A fine aprile sospensione, eco transvaginale, e poi dovrei – dico, dovrei – perché devo prima verificare un paio di cosette, tipo se il polipo è stato effettivamente e totalmente asportato – iniziare la stimolazione con Gonal-F. Le famose pere di ormoni, insomma… e un po’ di paura ce l’ho, eh, non lo nego mica…
Però io oggi sorrido, perché è il primo giorno di primavera e fuori splende il sole, e il cielo è blu persino qui nella solitamente grigia e piovosa Anversa… e mi piace pensare che le nostre ovaie siano prati, magari presto sbocceranno tanti germogli, tanti boccioli, e chissà… amiamoci, amiamo questo nostro corpo di donne, che non per scelta hanno un destino meno facile, ma non per questo meno bello… La prima volta che scoppiò in me questo forte, fortissimo desiderio di maternità io e R. eravamo in India, a sud. Kerala, in una risaia sconfinata. Ci eravamo seduti su un muretto ad ammirare il tramonto. Il sole ci accarezzava le palpebre, il cuore, la pelle. Pensavo che fosse naturale, meraviglioso desiderare un bambino là con lui. Era il 2004 e stavo per compiere 30 anni. Poi, la realtà ci impose altre scelte, e forse le nostre paure di precari (che poi precari eterni saremmo stati, ma allora chi lo sapeva!) ci spinsero a rimandare. Poi, finalmente, nel 2007, io e R. (che nel frattempo è diventato mio marito) abbiamo iniziato la caccia. Con naturalezza e gioia. Me lo ricordo benissimo quel pomeriggio, eravamo in salotto, nella casa in affitto di quel periodo, affacciata sulla stazione dei treni. Facemmo l’amore con trasporto. E io, stupidamente, pensai qualche giorno dopo. Sono incinta! Mi sentii incinta fino al giorno in cui… naturalmente, mi vennero, senza manco mezza giornata di ritardo. Poi pensai, vabbe’, mica puoi rimanere incinta a prima botta, eh? (Io sono stata concepita al primo tentativo, ma mia madre aveva 22 anni… però pure mio fratello è stato concepito al primo tentativo quando mia mamma aveva quasi 31 anni; e mia nonna ha fatto l’ultima figlia a 44 anni!!! Vengo da una famiglia meridionale, siamo tante donne, e tutte beccano la cicogna al primo tentativo, tranne me…) Insomma, io e mio marito all’epoca pensavamo che fosse così semplice: basta fare l'amore, no? Amarsi, desiderarsi? Desiderare un bambino. E invece settimane, mesi, anni di speranze squarciate puntualmente al 28 giorno del ciclo. Il sangue, una condanna. E poi la tua piccola sensibilità come una foglia tremula, in balia di medici che ti maneggiano senza metterci dentro un briciolo di cuore, persone che non hanno tatto, parenti, vicini, amici che non sono veri amici. Mi ricordo un pranzo di famiglia, qualche anno fa, con mia cognata che raggiante annunciò la sua prima gravidanza, e tutti brindarono, e brindai anch’io. Quel giorno mio marito non c’era, era via per lavoro, e io tornata a casa piansi tutto il pomeriggio. Ogni gravidanza, ogni pancione per me era un pugno nello stomaco, uno squarcio al cuore… poi, per fortuna ho superato questa fase dolorosa che ha un nome, “l’invidia del pancione altrui”, grazie alla gravidanza di una delle mie più care amiche, R. rimasta incinta dopo una gravidanza extrauterina (asportazione di una tuba, endometriosi grave e diffusa di 4 grado) e dopo un anno e mezzo di tentativi falliti… quando R. è rimasta incinta, è stato come se io fossi rimasta incinta con lei, perché ho seguito questa gravidanza con gioia e con la luce negli occhi… Insomma, mi sono riappacificata col pancione del mondo fuori da me, e questo per me è stato un passo molto importante… Liberarmi dal rancore, da questo grumo nero che mi schiacciava…
Nel frattempo, io e mio marito abbiamo continuato beati la nostra caccia, facendo esami, e finendo per fare anche l’isteroscopia e la laparoscopia (per vedere come sono messe le tube, così mi disse uno dei tanti gine… e le mie tube sono aperte, anzi pervie, come si dice in gergo ginecologico)… però ancora niente, dopo mesi e mesi. Mesi che diventano anni.
E tu, donna infertile, diventi un guscio di solitudine, ti chiudi dentro te stessa. Soffri, ma indossi la pelle del lupo tutti i giorni. Perchè di spirito sei una combattente, e vai avanti. E questa mancanza ti spinge a cercare, a cercarsi. A sondare l'animo umano, il cuore, la mente. Senza salvagente, ti tuffi nell'ignoto. Per amore, o per egoismo. O per tutti e due.
Poi, in questi lunghi mesi di nuotate nell’ignoto, io e mio marito ci rifugiamo due mesi in collina. Io decido di non accettare lavori per l’estate. Voglio godermi due mesi di vacanza, dedicarmi al concepimento. Visto che tutti mi dicono, “Sei troppo stressata, lavori troppo, per questo non resti incinta!”. Mia madre, per fortuna, mi ha sempre detto, “Cla’, lo stress non c’entra niente, o c’entra poco. Non ti arrendere, mai”. Insomma, in questo paradiso verde di colline e azzurro di cielo e fiume, amore a tutte le ore, relax, ma niente… Ogni 28 giorno tornano le rosse, uccelli del malaugurio… e una mattina mi sveglio. Nella luce dorata della finestra della nostra camera, nel profumo della natura. E sento addosso a me il sogno della notte precedente. Mia nonna, defunta, che mi indicava un bambino sul letto. Un letto immacolato, e un bambino biondo. Io, nel sogno, mi avvicino per prendere fra le braccia questo bambino, e questo bambino svanisce! Lo ritrovo su un altro letto, in un’altra stanza, dopo averlo cercato per corridoi e corridoi, salendo un’infinità di scale. E quando sto per avvicinarmi per prenderlo, perché infine capisco che quel bambino è mio, sento la voce di mia nonna che mi dice qualcosa del tipo, “per averlo, dovrai faticare tanto, tantissimo”. Così mi alzo, scendo al piano di sotto, e mio marito prepara la colazione. Gli dico a bruciapelo, senza nemmeno un buongiorno. “Ho sognato mia nonna. Forse dovremmo fare la fecondazione assistita…». Mio marito non ha nemmeno risposto, ha subito chiamato un medico, un andrologo che nel frattempo aveva consultato per vedere che anche lui fosse a posto (tutt’apposto pure lui) per chiedergli qualche numero dei centri. I centri convenzionati più vicini a casa nostra. E poi a settembre 2010 prima visita, primo colloquio, lista d’attesa prioritaria (perché chi ha l’endometriosi accertata da laparoscopia o simili, ha il diritto a mettersi in una lista prioritaria, almeno così in Emilia-Romagna). Ci chiamano a gennaio 2011, ma siamo all’estero entrambi per lavoro, e così ci spostano a maggio 2011. A marzo abbiamo fatto altri colloqui, e adesso siamo in pista. Dico siamo perché è comunque un’esperienza che ci coinvolge a 360 gradi. Io che odio le medicine, e ho la fobia di qualsiasi cosa che sia pasticca, iniezione, ho iniziato già a sclerare… e mio marito, l’altro giorno mi ha detto, “se potessi le prenderei tutte io, quelle pillole, tutti quegli ormoni, farei tutto io”.
In quel momento, ho sentito di aver scelto la strada giusta.
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