di Simona Lo Iacono e Massimo Maugeri
Dopo l’esperienza de La coda di pesce che inseguiva l’amore (Sampognaro&Pupi, 2010) racconto scritto a quattro mani, i due autori si interrogano sul significato della scrittura collaborativa:
Perdita di sé o conquista di sé attraverso il confronto con l’altro?
Gli esempi non mancano: Cesare Pavese e Bianca Garufi, Fruttero e Lucentini, Sveva Casati Modigliani, Camilleri e Lucarelli. Fino ad esempi di scrittura più largamente condivisa come insegnano i Wu Ming e i Kay Zen (giusto per fermarci ai casi più noti).
C’è un momento in cui la parola diviene rimbalzo, scalpita da uno specchio all’altro, si denuda e svetta dalla penna nella sua primitiva e autentica vocazione: comunicare, dal latino “communio”, che vuol dire mettere in comune, condividere.
Leggersi attraverso altri occhi, farsi correggere dall’altro, farsi cambiare… è un viaggio che esige umiltà, voglia di mettersi alla prova e di rinunciare all’esclusività della propria voce.
Le motivazioni sono tante: dall’alternanza di capitoli di Pavese e Garufi in “Fuoco grande” (dove ciascuno rimanda all’altra la propria versione di un medesimo fatto), all’infallibile estro di Fruttero e Lucentini (in cui la commistione si fa reciproco equilibrio), alle tecniche narrative sperimentate con un pizzico di goliardia ludica (in Camilleri e Lucarelli), alla monumentale aggregazione di forze dei Wu Ming.
I percorsi che portano alle quattro mani, alle sei… alle otto, sono tanti e sorprendenti, così come lo è la sperimentazione in letteratura, la varietà di toni, la complessità dell’umanità tutta.
Un mosaico che si accresce negli ultimi tempi grazie alla possibilità di “scrivere a distanza” in modo veloce, attraverso le e-mail, e che potenzia la fantasia, mette in moto lo spirito di gruppo, insegna a “fare squadra”.
La domanda è: scrivere a quattro mani può servire a lanciare il messaggio che la condivisione è una strada percorribile, di accrescimento spirituale e personale?