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La Consulta boccia l’obbligo di custodia cautelare in carcere per chi è indagato per omicidio

Creato il 12 maggio 2011 da Iljester

La Consulta boccia l’obbligo di custodia cautelare in carcere per chi è indagato per omicidioNel 2009, con il Pacchetto Sicurezza, è stata introdotta una modifica all’art. 275 c.p.p., che stabilisce che qualora una persona sia indagata per omicidio volontario, là dove sussistano esigenze cautelari e vi siano gravi indizi di colpevolezza, deve applicarsi la misura cautelare in carcere.
La norma è chiara: il giudice non ha possibilità di valutare una misura cautelare differente: deve necessariamente spedire l’indagato/imputato in carcere, se ritiene vi siano gravi indizi di colpevolezza e almeno una delle esigenze previste all’art. 274 c.p.p.
Ebbene, la Corte Costituzionale è intervenuta e si è pronunciata, dichiarando illegittima la norma anzidetta proprio nella parte modificata dal decreto sicurezza, per violazione dell’art. 3 (ingiusta parificazione tra omicidio e reato di mafia), dell’art. 13 (violazione dell’inviolabilità della libertà personale) e art. 27 Cost. (principio di non colpevolezza). In parole povere la Corte ha detto: siccome l’indagato è comunque un presunto innocente, e siccome l’indagato/imputato di omicidio, benché sussistano le esigenze cautelari e i gravi indizi di colpevolezza, non è equiparabile a un mafioso, il giudice deve poter scegliere se applicare o meno la misura cautelare estrema, e cioè la custodia in carcere, ovvero disporre magari gli arresti domiciliari o altra misura alternativa.
Capite ora perché si è arrabbiato Maroni? Semplicemente perché la Corte ha praticamente dato al giudice la possibilità di decidere se applicare o no la custodia in carcere, anziché doverla applicare necessariamente e obbligatoriamente intuitu delicti.
La mia opinione. Esistono secondo me due esigenze contrapposte dinanzi a un reato come l’omicidio, che è sicuramente fra i reati più gravi puniti dalla collettività. In generale queste due esigenze sono comuni anche agli altri reati, ma per l’omicidio e altri reati che ledono l’integrità fisica e la vita delle persone, assumono una valenza doppia. Forse perché viene seriamente (e pesantemente) messa in gioco la libertà dell’indagato. Ebbene, queste due esigenze sono – come ho detto – contrapposte: da una parte abbiamo la necessità di tutelare l’indagato/imputato e di non condannarlo prima che vengano effettivamente accertati i fatti. Dall’altra abbiamo invece la necessità (nel complesso) di prevenire la commissione di nuovi delitti della stessa specie da parte del soggetto interessato, ovvero il tentativo di depistaggio, o ancora la fuga. Sicuramente non fa parte della natura propria delle misure cautelari la «punizione» del presunto colpevole. Il termine stesso «misura cautelare» indica che non si tratta di una condanna, ma di una misura di cautela per prevenire le ipotesi anzidette.
Comunque sia, le due esigenze su riportate trovano entrambe riscontro nella nostra Costituzione. La prima è indubbiamente fondamentale: la libertà di ognuno è inviolabile e nessuno può essere dichiarato colpevole fino a sentenza definitiva di condanna. Si tratta del noto principio della «presunzione di innocenza» e della «inviolabilità della libertà personale». La seconda trova pure essa conforto nella nostra Costituzione, nel principio generale della tutela penale della collettività, che deve essere protetta dallo Stato, in quanto sua espressione sociale. Entrambe dunque sono fondamentali, ma sono appunto contrapposte: quale deve prevalere? Il principio di innocenza oppure la tutela penale (anche cautelare) della società?
Secondo me è chiaro: il principio di innocenza. E vi spiego perché. In teoria, se il principio di tutela collettiva trovasse applicazione prevalente sempre e comunque, qualsiasi reato dovrebbe comportare l’applicazione di una misura cautelare per il suo presunto autore per il sol fatto che il reato è stato commesso. La verità è che così non è. La legge ricollega l’applicazione di una misura cautelare a certe tipologie di reati (solitamente gravi), e la parametra al principio del «grave indizio di colpevolezza», e alla sussistenza di alcune specifiche esigenze cautelari. Questo suggerisce che per lo Stato l’applicazione di una misura di questo tipo è qualcosa di straordinario e di eccezionale, giustificabile solo e se sussistono determinati presupposti, anch’essi del tutto straordinari, tali da giustificare la preventiva compressione della libertà personale. Ed è il giudice – caso per caso – a dover normalmente valutare la sussistenza di tutti i requisiti di legge e decidere quale misura applicare. Cosa che invero non avveniva dopo la modifica operata dal pacchetto sicurezza. Era sufficiente essere accusati di omicidio, perché il giudice – valutando i gravi indizi di colpevolezza e le esigenze cautelari – applicasse obbligatoriamente la custodia cautelare in carcere intuitu delicti.
Il problema, semmai, è con l’intervento della Corte la discrezionalità del giudice anche in casi così delicati, che spesso – sappiamo – porta a storture e inefficienze. Però è chiaro che è l’unica via possibile, nonostante tutte le prevedibili sbavature. Ma è anche vero che l’applicazione obbligatoria di una misura cautelare, soprattutto quella carceraria, è qualcosa che stride in modo evidente con tutti i principi garantistici fin qui citati. Perciò se chi è di destra vuole essere un garantista coerente, dovrà ritenersi soddisfatto, anche se la Consulta cancella una norma di questo Governo.
D’altro canto – e qui concludo – la Corte non ha detto che il potenziale reo deve essere liberato o tenuto in libertà. Semplicemente ha restituito al giudice la possibilità di valutare misure cautelari alternative, solitamente meno afflittive. E conoscendo un pochino la giustizia, posso tranquillamente dire che non cambierà un bel nulla dopo questa sentenza.

Fonti: Il Giornale | AGINews | La Stampa

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Autore: Martino » Articoli 1445 | Commenti: 2438

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