di Giuseppe Consiglio
Che l’Africa rivestisse un’importanza strategica fondamentale per l’Unione Europea non è certo una novità. Sebbene nel Continente si registri una presenza rilevante degli Stati Uniti ed una penetrazione sempre più marcata da parte di Cina, nonché di Russia, Kuwait, Brasile, India, Corea del Sud, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita (anche se in maniera assai più contenuta), sono ancora i Paesi europei a giocare un ruolo cruciale, tanto come “battitori liberi” quanto come membri dell’UE. La cooperazione in ambito economico tra Africa ed Europa, declinata in modo molto differente nel corso dei decenni, ha prodotto una serie di strumenti – legali e commerciali – con i quali l’Unione Europea ha esteso la propria influenza sul Continente rafforzando delle posizioni già consolidate e tentando di recuperare quelle perdute a favore dei suoi competitors globali. E sono proprio i legami economici e culturali, retaggio di un passato coloniale, e le relazioni commerciali tra i due continenti ad evidenziare forti frizioni tra Europa ed Africa e a far emergere tutte le contraddizioni di un rapporto la cui comprensione non può prescindere da un’analisi degli accordi di libero scambio siglati sotto l’ombrello dei vari Trattati di cooperazione.
Il vero oggetto del contendere è dunque rappresentato dagli Accordi di Partenariato Economico, meglio noti come EPA (Economic Partnership Agreements), accordi di libero scambio interamente votati all’abbattimento delle barriere doganali, a promuovere l’integrazione economica delle aree coinvolte e che gli Stati africani sembrano orientati a non sottoscrivere.
E’ nell’ottica di questa strategia che si inquadrano le pressioni esercitate dall’UE nei confronti di Namibia, Camerun, Botswana, Costa d’Avorio, Ghana, Kenya e Swaziland, sette Paesi dell’Africa Sub–sahariana, che Bruxelles sta in tutti i modi tentando di persuadere a siglare gli EPA le cui disposizioni consentirebbero l’esonero dagli assolvimenti doganali attualmente previste per l’ingresso delle merci provenienti dall’UE nei mercati degli Stati africani sopracitati. Che Bruxelles faccia sul serio lo si evince chiaramente dall’ultimatum concesso per la firma: 1° ottobre 2014. Un eventuale diniego comprometterebbe le relazioni tra le parti spingendo l’UE a riconsiderare il regime preferenziale di cui godono le merci dei sette Paesi ACP.
Previsti dal Titolo II “Cooperazione economica e commerciale” – agli artt. 34–38 dell’Accordo di partenariato stipulato a Cotonou (in Benin) il 23 giugno 2000 tra gli Stati associati nel gruppo ACP (Africa, Caraibi e Pacifico), da un lato, e la Comunità Europea e i suoi Stati membri, dall’altro –, gli EPA si presentavano come lo strumento più idoneo a garantire l’integrazione dei 77 dei Paesi ACP nell’economia globale «nel rispetto delle loro scelte politiche e delle loro priorità di sviluppo» [1].
Il principio centrale della cooperazione economica e commerciale era dunque quello di consentire agli Stati ACP di partecipare pienamente agli scambi internazionali consentendo loro di «affrontare le sfide della globalizzazione e di adattarsi progressivamente alle nuove condizioni del commercio internazionale agevolando in tal modo la transazione verso un’economia mondiale liberalizzata». Attrarre investimenti esteri, incrementare la capacità di fornitura, scambio e produzione dei Paesi ACP sotto l’ombrello delle disposizioni prescritte dall’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), consolidamento delle politiche commerciali e di sviluppo: questi i principali obiettivi dell’Accordo.
Commercio UE-Paesi ACP (Africa-Caraibi-Pacifico) – Fonte: Commissione europeaEvoluzione degli accordi di cooperazione
L’accordo siglato a Cotonou sancisce una netta cesura nei rapporti tra Africa ed Europa. Il principio dell’unilateralità dei privilegi concessi ai Paesi africani dagli europei che delineava un profilo meramente assistenzialista nei rapporti tra i due continenti, ha subito una progressiva evoluzione culminata nell’affermazione di un approccio fondato sulla reciprocità delle concessioni preferenziali, sulla base del quale si sostanzia un radicale mutamento delle relazioni commerciali e politiche. Le due Convenzioni di Yaoundé firmate nel 1963 e nel 1969 costituiscono certamente i primi esempi di cooperazione nell’ambito dei quali la Comunità Economica Europea concedeva, come prima anticipato, aiuti e vantaggi commerciali unilaterali agli allora 18 Paesi africani ex-colonie da poco redente [2].
I concreti effetti nello sviluppo economico sembravano però contraddire nettamente le aspettative e gli obiettivi che avevano ispirato la nascita del partenariato. Nonostante le accorate proteste dei Paesi non associati nei confronti del regime preferenziale nel commercio e negli aiuti, mentre le esportazioni dei Paesi associati tra il 1958 e il 1967 crescevano del 47%, quelle dei Paesi in Via di Sviluppo considerati nel loro insieme arrivavano al 68%. Con gli Accordi di Lomé I e II si delinea già un primo parziale mutamento nell’approccio tra Nord e Sud. I principi alla base dell’intesa prevedevano accanto alla predisposizione di politiche di sicurezza e alla realizzazione attraverso la condivisione di strumenti giuridici di legami sempre più forti, anche una sostanziale eguaglianza tra i due blocchi [3].
In questo contesto, gli anni immediatamente successivi alla firma dell’accordo, non sembravano mostrare dati particolarmente incoraggianti se si pensa che l’incremento delle importazioni dai Paesi ACP verso la CEE aumentavano di appena 0,9 miliardi di dollari passando da 14,2 del 1977 a 15,1 miliardi di dollari del 1978. Il petrolio, costituiva la principale voce con il 26% delle esportazioni totali seguito da caffè, cacao e rame. Circa un quarto dell’intera quota di mercato tra i due blocchi riguardava la Francia che importava il 26% del totale delle merci dirette verso la CEE esportando verso l’area ACP il 30% del totale, seguita nelle esportazioni dal Regno Unito e dalla Germania. Ancora una volta l’inefficacia dei trattati e la netta supremazia della CEE apparivano evidenti dal fatto che mentre la quota di mercato con la CEE costituiva il 40% del commercio ACP, per la CEE il volume degli scambi con le ex-colonie rappresentava appena il 7,5% del totale.
Il Trattato di Lomé III fu certamente segnato dall’ingresso della Grecia nella Comunità. In particolare le opposte vedute tra i Paesi del Nord e quelli del sud della CEE, che vedevano contrapposti Regno Unito, Danimarca, Germania e Paesi Bassi a Grecia, Italia e Francia, evidenziavano come mentre i primi erano tendenzialmente favorevoli ad ampliare i benefici commerciali per i prodotti originari dai Paesi ACP ridimensionandone l’aiuto finanziario, i secondi si trovavano su posizioni specularmente opposte. Particolarmente incisiva fu anche la spinta britannica verso una politica neoliberista fortemente voluta da Margaret Thatcher, e che subordinava la concessione di aiuti e finanziamenti al rispetto delle regole del libero mercato [4].
Gli Accordi Lomé IV e IV bis diedero un’ulteriore spinta al processo di cooperazione economica introducendo per la prima volta una clausola che ancorasse il mantenimento dei vantaggi commerciali ed economici al rispetto dei diritti umani fondamentali e dello stato di diritto e della democrazia. Certo i Paesi ACP mostrarono la loro disapprovazione nei confronti di un accordo che avrebbe investito di un potere di controllo la CEE, i cui Stati membri intrattenevano delle solide relazioni con il Sudafrica, peraltro in piena epoca apartheid. Il trattamento riservato in Europa a studenti, immigrati e lavoratori provenienti dai Paesi ACP rappresentava un’ulteriore motivo di sospetto. La clausola con la quale si intendeva condizionare la concessione di aiuti al mantenimento di determinati standard democratici veniva vista come l’ennesima ingerenza dei Paesi europei [5].
Africa, Caraibi, Pacifico: i Paesi ACP
Il gruppo degli ACP riunisce i PVS che hanno sottoscritto gli accordi di partenariato e cooperazione con l’Unione Europea. Il loro numero è passato da 46 nel 1975 a 79 nel 2012.
I Paesi ACP-EPA sono ripartiti in 7 gruppi: 5 in Africa, 1 nei Caraibi e 1 nel Pacifico:
- West Africa
- Central Africa
- ESA, Eastern and Southern Africa
- EAC, East African Community
- SADC, Southern African Development Community
- Caribbean
- Pacific
Essi costituisco con l’UE un imponente blocco economico oltre che demografico: 1,35 miliardi di persone, uno scambio commerciale che dopo un incremento ininterrotto dal 2003 al 2008, e dopo un crollo negli anni 2009-2010, è tornato a crescere fino a toccare un volume pari a 100 miliardi di euro.
Le principali voci delle importazioni sono riconducibili, come è facilmente prevedibile, a petrolio, prodotti minerari e bituminosi, oltre la metà del totale (il 52,3%). I Paesi europei esportano negli ACP principalmente macchinari e manufatti.
Una simile suddivisione consente una maggiore comprensione delle differenti caratteristiche che intercorrono tra le varie regioni ACP. In questo modo è infatti possibile stipulare degli accordi di partenariato che tengano conto delle peculiarità che accomunano ciascun gruppo di Paesi e che valutino aspetti come la natura geomorfologica di ognuno di essi, le modalità con cui processi di sviluppo vengono concepiti e la percezione degli attori locali più rilevanti in contesti spesso complicati.
Lungi dal costituire un gruppo omogeneo, i Paesi ACP mostrano delle marcate differenze nei livelli di sviluppo economico e di integrazione regionale e nel mercato globale. Se da un lato il mercato con l’UE appare sostanzialmente dominato dal petrolio, dall’altro vale la pena fare una breve carrellata delle peculiarità di 4 delle 7 regioni ACP, e nello specifico di quelle che ricomprendono i Paesi dell’Africa Sub-sahariana.
West Africa – La regione dell’Africa occidentale rappresenta certamente il più importante partner commerciale dell’UE tra i sette gruppi dei Paesi ACP. Circa il 40% degli scambi commerciali tra UE e ACP avviene infatti con questa regione. Costa d’Avorio, Ghana e Nigeria, detengono all’interno della regione la quota di mercato più rilevante: l’80%. Gli ostacoli al commercio intra-regionale rimangano piuttosto elevati, molto più sviluppate sono le relazioni commerciali con i Paesi emergenti al di fuori dell’Africa occidentale e con i Paesi più sviluppati. Con la sola eccezione della Liberia, gli altri Stati della West African Region sono membri del WTO.
L’UE esporta principalmente prodotti industriali, macchinari, veicoli e attrezzature; le importazioni riguardano materie prime, in particolare il petrolio di cui la Nigeria è uno dei massimi produttori mondiali, seguita dal Ghana. Quest’ultimo assieme alla Costa d’Avorio è uno dei principali produttori di cacao. Le esportazioni includono una vasta gamma di materie prime agricole (mango, ananas, arachidi, cotone, ecc) ed in misura più contenuta metalli (rame, oro) e diamanti.
Fonte: Commissione europeaCentral Africa – Anche per l’Africa Centrale l’integrazione regionale rimane piuttosto modesta. A dominare le esportazioni è ancora il petrolio, circa il 70% del totale. Unico Paese della regione a non esportare oro nero verso l’UE è la Repubblica Centrafricana. Le importazioni dall’Europa nella regione riguardano principalmente macchinari e dispositivi meccanici, attrezzature, veicoli, prodotti alimentari e farmaceutici.
Fonte: Commissione europeaEastern and Southern Africa (ESA) – La regione dell’Africa orientale e meridionale raggruppa dei Paesi con economie differenti e comprende le isole dell’Oceano Indiano (Comore, Madagascar, Mauritius e Seychelles), i Paesi del Corno d’Africa (Gibuti, Etiopia, Eritrea e Sudan) e alcuni Paesi dell’Africa meridionale (Malawi, Zambia e Zimbabwe). Tutti gli Stati delle suddette regioni, ad esclusione dell’Eritrea, sono membri del WTO. Zucchero, caffè, pesce, tabacco e rame sono i principali prodotti esportati. Centrale è come sempre il petrolio. Macchinari, prodotti chimici e farmaceutici le principali importazioni dall’UE.
Fonte: Commissione europeaEast African Community (EAC) – Kenya, Uganda, Tanzania, Burundi e Ruanda sono i cinque membri della East African Community. L’Africa orientale, a differenza di quelle appena descritte, è una regione economicamente e geograficamente omogenea. L’integrazione regionale si trova ad uno stadio molto avanzato se si pensa che già nel 2005 è stata istituita un’unione doganale tra i suoi membri e che a partire dal 2010 sono state abbattute le tariffe al commercio interno con l’istituzione di un libero mercato. Nello stesso anno sono state inoltre gettate le basi per la realizzazione di un’unione monetaria. La volontà politica alla base del processo appena descritto sembrerebbe spingere verso un’integrazione tale da sfociare nella creazione di una sovrastruttura di tipo federale. Le esportazioni verso l’UE riguardano principalmente caffè, fiori, tè, tabacco, pesce, ortaggi; le importazioni macchinari e prodotti industriali.
Fonte: Commissione europeaConclusioni
Il grande scetticismo mostrato dai partner (o aspiranti tali) africani nei confronti degli EPA, non sembrerebbe del tutto ingiustificato. In primo luogo la rimozione delle barriere doganali e quindi dei dazi comprometterebbe la persistenza di un importante e costante introito per i bilanci delle deboli economie africane.
Le liberalizzazioni potrebbero segnare un durissimo colpo al mercato agricolo africano che si troverebbe a competere con quello europeo supportato da decine di miliardi di euro l’anno. Un’altra conseguenza sarebbe quella di lacerare le deboli relazioni regionali (ad eccezione del’EAC), incrementando la dipendenza economica dall’UE di questi Paesi.
D’altro canto, per l’UE la partita giocata in Africa è importantissima e l’abbattimento dei dazi un obiettivo fondamentale se si considera l’incremento costante del costo delle materie prime e al contempo la necessità di trovare nuovi sbocchi per la produzione di beni e servizi che il mercato europeo, oramai saturo, non è più in grado di assorbire.
* Giuseppe Consiglio è Dottore in Internazionalizzazione delle Relazioni Commerciali (Università di Catania)
[1] Art. 34 co 1 CAPITOLO I, Titolo II dell’ACCORDO DI PARTENARIATO tra i membri del gruppo degli stati dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico, da un lato, e la Comunità europea e i suoi Stati membri, dall’altro, firmato a Cotonou il 23 giugno 2000, GUCE 15.12.2000
[2] E.CALANDR a cura di, Il Primato sfuggente – L’Europa e l’intervento per lo sviluppo (1957 – 2007), Franco Angeli, Milano 2009
[3] The New Lomé Convention, in The Economist (London), 27 October – 2 November, 1979, 116
[4] Ibidem
[5] N.BAGARANI, Quaderni di studi europei, vol.1/2006, Giuffrè Editore.
Photo credits: European Commission
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