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Non so perché una delle prime cose che mi sono venute in mente nel leggere i notiziari sulla condanna che la Corte Europea di Strasburgo ha espresso nei riguardi dell'Italia in merito ai fatti del G8 avvenuti nel 2001, è un racconto di Jean Paul Sartre, "I sequestrati di Altona", di cui, in verità, non ricordo un granché se non quello strano concetto della paura delle parole, che mi colpì, perché v'era un tacito accordo tra i personaggi nel non riferirsi ad alcune cose con il loro proprio nome, come se nominarle ne ratificasse l'esistenza (inaccettabile) ed invece il non nominarle, lasciando il tutto nel limbo dell'indefinito, bastasse in qualche modo a rendere la realtà rarefatta ed a dissolverla, come se quel qualcosa potesse restare in tal modo confuso ed incomprensibile o non esistesse.
Le parole, è vero, possiedono una propria concretezza ed una propria magia evocatrice e quando sono parole che evocano pensieri di ignominia, malattie e morte, il tacerle, lasciando tutto nella confusione delle memorie negate o raccontate a se stessi ed altri in forme omissive, fumose e/o mistificate, rendono diverso, ma non meno doloroso, il modo di soffrire delle persone coinvolte.
In ambito psichiatrico esiste la fobia delle parole, la logofobia, appunto.
Torniamo alla realtà: cosa è successo effettivamente a Genova il 21 luglio del 2001?
C'erano stati dei disordini di piazza, manifestazioni contro il G8 che le forze di polizia avevano avuto difficoltà nell'arginare. In risposta alle proteste la polizia fece irruzione nella scuola Diaz con lo scopo dichiarato di effettuare una perquisizione. Molti dei manifestanti furono sorpresi nel sonno: vi fu un pestaggio sistematico e spietato dei presenti, compresi coloro che dormivano e/o si arrendevano inermi alle forze dell'ordine. A fronte del massacro (82 feriti di cui alcuni gravi) l'esito della perquisizione fu negativo: situazione alla quale qualcuno (della polizia) pensò di porre rimedio introducendo nella scuola bottiglie molotov, per cui vi furono 93 arresti ed accuse di terrorismo ai manifestanti.
Sulla faccenda non si è fatta chiarezza per anni: il comportamento delle forze dell'ordine aveva probabilmente la finalità di recuperare una immagine vincente per la polizia, che non non era stata in grado di far fronte in piazza alle frange violente della manifestazione, ma ebbe invece il sapore di una ritorsione indiscriminata verso persone inermi tra le quali probabilmente non c'erano neanche i provocatori della piazza.
La Corte Europea dei diritti umani è intervenuta sulla base di un ricorso portato avanti per anni da Arnaldo Cestaro, sessantaduenne all'epoca dei fatti, oggi settantacinquenne: l'uomo riportò diverse fratture, ma non si è sentito soddisfatto dalla giustizia italiana.
Secondo la Corte di Strasburgo è la carenza legislativa in merito al reato di tortura quella che ha impedito ai nostri giudici di condannare adeguatamente i responsabili, perché fino ad oggi nella nostra legislazione il reato di tortura... non esiste, nel senso naturalmente che non se ne fa parola, in compenso la tortura invece esiste ed è esistita nei fatti e non solo del G8.
Attualmente è allo studio un progetto di legge, che dovrebbe colmare questa carenza legislativa in Italia.
Patrizio Gonnella, il presidente dell'Associazione Antigone, è intervenuto ieri a commentare la sentenza della Corte Europea: "C'è una giustizia a Strasburgo" scrive e ricorda la pendenza presso la stessa Corte di Strasburgo del ricorso inoltrato da Antigone per le violenze nel carcere di Asti, dove i giudici italiani pur avendo documentato e descritto accuratamente i trattamenti riservati ad alcuni detenuti, non hanno potuto esprimere condanne per la mancanza di un capo di imputazione adeguato...
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