di Francesco Virga
L’ On. Berlusconi non perde occasioni per attaccare la Costituzione. Lo ha fatto ieri, per l’ennesima volta, affermando che “governare con le regole imposte dalla Costituzione è un inferno”, che la Carta del 1948 è “datata e va riscritta”. Non era mai accaduto che un Presidente del Consiglio parlasse con tale disinvoltura della Legge fondamentale della Repubblica, su cui ha peraltro giurato al momento della nomina. Ma, evidentemente, il Cavaliere, non accorgendosi della palese contraddizione, ritiene di essere oramai al di sopra di tutto. Ritornano allora attuali gli ammonimenti del 1994 di Giuseppe Dossetti, quando, nel dare vita ai primi Comitati per la difesa della Costituzione, segnalò i rischi ed i pericoli che correvano le istituzioni democratiche del nostro Paese:“ Si tratta di impedire ad una maggioranza che non ha ricevuto alcun mandato al riguardo , di mutare la nostra Costituzione: si arrogherebbe un compito che solo una nuova Assemblea costituente, programmaticamente eletta per questo, e a sistema proporzionale, potrebbe assolvere come veramente rappresentativa di tutto il nostro popolo. Altrimenti sarebbe un autentico colpo di stato”. ( G. Dossetti, Sentinella quanto resta della notte? Riflessioni sulla transizione italiana, EL 1994, pag.53)
Dossetti è stato uno degli ultimi profeti del nostro tempo, incompreso ed inascoltato dai contemporanei. Il vecchio monaco – già vice di De Gasperi, quando la DC era un grande partito popolare - all’indomani dell’annuncio del Cavaliere d’Arcore di voler riscrivere la legge fondamentale della Repubblica, lanciava l’allarme contro i nuovi barbari osservando criticamente il degrado istituzionale, il “prurito presidenzialista” e la tentazione plebiscitaria che si combinavano con la dittatura del mercato, la frantumazione sociale, il trionfo dell’individualismo, il vuoto culturale alimentato dalle suggestioni mediatiche.
L’uomo che col suo stile discreto e nonviolento aveva partecipato alla Resistenza antifascista e dato un contributo decisivo alla stesura della Costituzione repubblicana, dopo anni di assenza dalla vita pubblica, tornava ad occuparsi di politica intravedendo all’orizzonte una nuova forma di fascismo:
“Non posso dimenticare che più di sessant’anni fa , tutto è incominciato allo stesso modo(…).Ho ancora presenti gli articoli e le cronache della “Civiltà cattolica” dal 1920 al 1924, che (…) cercava di scagionare dopo il delitto Matteotti la responsabilità del regime, e preparava, così, all’acquiescenza al colpo di stato del 3 gennaio 1925”. (op.cit., pp.55-56)
Per la verità bisogna riconoscere che pochi raccolsero l’allarme di Dossetti; i più lo snobbarono e, tra questi, va ricordato Indro Montanelli che, nell’occasione, scrisse un velenoso editoriale sul principale quotidiano nazionale. Dossetti e i suoi ultimi seguaci, sprezzantemente definiti “catto-comunisti”, vennero accusati di passatismo e di assoluta incomprensione del presente. Così, anche grazie ad una martellante campagna mediatica (con TV a reti unificate in testa), si riuscì a far passare nella testa della maggior parte degli italiani l’idea che fosse davvero necessaria una radicale revisione della Costituzione. Particolarmente grave apparve allora il cedimento di una parte della Sinistra alle sirene presidenzialiste e tanto disorientamento provocò la Commisione bicamerale diretta da D’Alema.
Con la morte di Dossetti la maggior parte dei Comitati per la difesa della Costituzione si sciolsero. Ma anche i pochi sopravvissuti, come quello palermitano, non ebbero forza sufficiente per incidere nella realtà. Probabilmente non si tenne nel debito conto il fatto che, specialmente nel meridione d’Italia, come aveva a suo tempo lucidamente capito Piero Calamandrei, il popolo non ha fiducia nelle leggi perché
“da secoli i poveri hanno il sentimento che le leggi siano per loro una beffa dei ricchi: hanno della legalità e della giustizia una idea terrificante, come di un mostruoso meccanismo ostile fatto per schiacciarli, come di un labirinto di tranelli burocratici predisposti per gabbare il povero e per soffocare sotto le carte incomprensibili tutti i suoi giusti reclami”. ( AA.VV. , Processo all’art. 4, Einaudi 1956, p. 307).
Si trascurò soprattutto il fatto che molte delle attese alimentate dai primi articoli della Costituzione sono rimaste lettera morta, dimenticando che fino a quando non ci sarà la possibilità per ogni uomo di lavorare e di trarre con sicurezza dal proprio lavoro i mezzi per vivere, non solo la nostra Repubblica non si potrà dire “fondata sul lavoro”, ma non si potrà chiamare neanche democratica, perché non può esserci democrazia in una società in cui non sia assicurato un lavoro dignitoso a tutti.
Difendere la Costituzione oggi, pertanto, deve significare sia affermarne il persistente valore di principio che denunciarne la mancata attuazione. La Repubblica nata dalla Resistenza al fascismo,infatti, avendo da tempo abbandonato l’obiettivo programmatico di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della personalità umana…” (art. 3), non ha saputo assicurare a tutti i cittadini il bene della “esistenza libera e dignitosa” (art.36).
Palermo 11 giugno 2010