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La crisi europea o i dilemmi di un’economia senza imperi?

Creato il 03 luglio 2012 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
La crisi europea o i dilemmi di un’economia senza imperi?

La crisi attuale dell’Unione Europea non è una pura crisi finanziaria, come cercano di convincerci gli economisti nell’analizzare il caso greco: si tratta di una crisi più profonda, in altre parole, ci troviamo di fronte alla crisi del sistema capitalista moderno le cui radici risalgono al processo di espansione europea del XV secolo, alla creazione dei sistemi imperiali coloniali moderni e allo sviluppo dell’economia capitalista. Questi tre processi generano quello che Wallerstein ha chiamato il Sistema Mondo moderno. Questo è composto da un centro (l’Europa imperiale colonialista), una semiperiferia (l’Europa Centrale) e una periferia (gli spazi coloniali). E’ su questo modello di distribuzione e di esplorazione dello spazio extraeuropeo che si costruì la realtà sociale del mondo moderno. Olandesi, britannici, francesi e tedeschi, in questo ordine cronologico, hanno creato i loro domini imperiali donando al pianeta una certa civilizzazione, ma anche guerre e genocidi. Il caso spagnolo merita una breve menzione a parte. Difatti, la Spagna è stata in possesso dell’impero moderno più vasto, ma non seppe mai amministrarlo in maniera produttiva.

La letteratura del Siglo de Oro spagnola, costituisce un catalogo formidabile di autocritica al cospetto della crisi del XVII secolo. E’ sufficiente segnalare l’opera di Quevedo e la novella di Graciàn, El Criticòn, per comprendere l’incompetenza economica degli spagnoli. Il giudizio di Graciàn è ben preciso: “La Spagna si è trasformata nelle Indie dell’Europa”. Infatti, secondo gli studi dello storico R.Carande, l’impero spagnolo ha registrato un paio di bancarotte.

Come comprendere allora l’attuale crisi dell’Unione Europea? Si tratta di una crisi specificamente finanziaria, come segnalano alcuni economisti con poche conoscenze storiche, o siamo di fronte ad una crisi di carattere strutturale, ovvero di una crisi terminale? La nostra interpretazione della crisi dell’Unione Europea si fonda su una visione storica della civiltà, in altre parole su un’analisi dei processi che si generano sul lungo periodo, e che recentemente, dopo decenni di integrazione, compresa la tardiva incorporazione della Grecia all’Unione Europea, costituiscono una manifestazione della crisi del sistema coloniale. In effetti, l’Europa sta cominciando in questo momento a risentire dell’assenza delle sue colonie, la quale genera senza dubbio, dato che l’Europa è un continente povero di risorse, una situazione di incertezza che si vede espressa in un mercato finanziario altamente instabile.

La storia economica moderna europea è una lunga serie di crisi e di collassi economici che si estendono dal XVI secolo fino ad oggi, malgrado l’abbondanza di oro e argento americani nei primi tre secoli del sistema coloniale, ricchezza metallica che ha finanziato tutte le guerre moderne degli imperi europei. Bisogna ricordare che l’estrazione di oro e argento è stata possibile grazie alla manodopera degli indigeni in condizioni di crudeltà estrema per le popolazioni del continente scoperto, conquistato e derubato. Poi in un secondo momento, fu marcata dall’introduzione della schiavitù nera. L’economia agraria delle colonie contò sull’abbondanza di manodopera degli schiavi africani, il che significò un costo di produzione zero. Con la rivoluzione industriale si aggiunse alle modalità lavorative della mita e della schiavitù nera menzionate, il lavoro infantile e femminile, entrambi in condizioni di precarietà estreme, con lunghe giornate di 18 ore lavorative! Questa era la realtà sociale del Mondo Moderno.

Ma così come l’Europa innova in tutti gli ambiti del sapere, dalla rivoluzione filosofica (razionalismo) sino a quella scientifica (matematicizzazione della natura), lo stesso accade nel campo dell’economia. Durante i primi tre secoli del periodo coloniale, il cui sistema economico corrisponde al mercantilismo (accumulazione di ricchezza metallica) e al fisiocratismo (la terra come base della ricchezza), è il pensiero britannico quello che stabilì i fondamenti della teoria e della prassi economica mercantilista nel XVII secolo (T. Mun); lo ha seguito nel XVIII secolo A.Smith, padre dell’economia politica classica e del liberalismo economico. La sua opera La ricchezza delle nazioni attraverso il commercio con l’estero (1776) costituisce una difesa del sistema coloniale come base della prosperità europea. Questo argomento sarà ripreso dagli economisti inglesi del XIX secolo: Bentham, Mill, Marshall; nel XX secolo, infine, sarà difeso da J.M. Keynes. L’Inghilterra ha costruito il più potente impero militare ed economico moderno. La canzone patriottica del XVIII secolo Rule Britannia, Britannia rule the waves… sintetizza perfettamente il concetto economico liberale inglese. Dunque, alla perdita dello spazio coloniale del Nord America, prima crisi del sistema coloniale europeo che privò la Gran Bretagna dei territori dell’America del Nord, è seguita la perdita per la Spagna delle sue colonie americane. Gli inglesi in questo stesso momento, e anticipando la nota Dottrina Monroe (1824), formularono la Dottrina Canning (1823). Secondo la strategia di quest’ultima, la Gran Bretagna avrebbe dominato il commercio mondiale per mezzo di trattati economici imposti alle nascenti repubbliche emancipate dai loro antenati europei. Il Brasile è stato un esempio paradigmatico di questa visione commerciale. Senza dubbio la strategia britannica funzionò alla perfezione fino alla seconda crisi del colonialismo di Londra, in seguito alla conclusione della II Guerra Mondiale. In questo lungo periodo storico, che si caratterizza per la pienezza egemonica del sistema-mondo moderno, l’Europa contò, come abbiamo segnalato, sulle colonie per il suo sostentamento, guerre e lussi osceni di un’aristocrazia e borghesia che hanno fatto della guerra, della borsa e del mercato le proprie preoccupazioni preferite. Questa ricchezza ha permesso in un certo senso anche il mecenatismo culturale e lo sviluppo di una estetica cosmopolita.

Questa ricchezza termina improvvisamente con la II Guerra Mondiale e con il processo di decolonizzazione che la segue. L’integrazione europea, dal Trattato di Roma (1957) al Trattato di Lisbona (2007) è stata un tentativo di rispondere alla perdita delle colonie. Ma attualmente ci sono altri problemi: la forte immigrazione straniera – l’Europa non è mai stato un continente di migrazioni, bensì di invasioni -, le crisi ambientali, la crisi demografica. L’Europa è una società demograficamente vecchia, e questa è una situazione biologica irreversibile. Questa è la realtà dell’Europa attuale, uno spazio che non conta più sulle colonie, ossia su risorse illimitate da sfruttare. Peggio ancora, su di essa si prospetta un fantasma più terribile del Manifesto di Marx. In effetti stiamo assistendo, come segnala O. Fallaci, alla nascita dell’Europa musulmana. Questa nuova Europa sotto il dominio del Corano potrebbe durare più tempo che il precedente periodo di occupazione musulmana che si estese per ben otto secoli! Questa è la realtà storica dell’Europa, senza colonie, con una crisi economica strutturale, e con la presenza dei soldati di Allah disposti ad annientare, quando le condizioni lo permettano, i “cani infedeli” nella stessa culla del Satana occidentale. Un nuovo ciclo storico di ferro è iniziato per l’Europa. La fede economica liberale con i suoi dogmi e sacerdoti non potrà riscattarla questa volta. In Grecia è nato il logos come un furto dell’immortalità degli dèi da parte degli uomini; in Grecia stiamo assistendo alla sua fine. Gli dèi si vendicano sempre degli uomini che li sfidano: silenzio, esilio, follia e morte sono stati i loro strumenti.

(Traduzione dallo spagnolo di Lilian De Carvalho Monteiro)


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