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La difficolta di credere nel risorgimento

Creato il 17 dicembre 2010 da Julesdan

Io credo nell’Italia. Guardo fuori dalla finestra e c’è Milano, Italia. Cammino per le strade e tutto intorno c’è l’Italia. Ci sono gli Italiani, che siano nati qui o da un’altra parte, che siano Italiani a vita o solo provvisoriamente. Faccio la spesa e i prodotti portano con orgoglio il marchio italiano. Guido e chi guida accanto e dietro a me è italiano. L’Italia la respiro, la vivo. Credo nell’Italia.

Mi piace la storia Italiana, soprattutto il risorgimento, con questi intrighi di potere, questi accordi stretti col sangue e le armi in pugno. Sovversivi, cospiratori, sibillini. Però puliti. Quelli che cospiravano allora, quelli che si nascondevano, erano i buoni. I buoni con buoni ideali. Dovevano fare l’Italia. Ecco che ritorna. L’Italia.

Parlava un’altra lingua l’Italia allora, respirava un’altra cultura ma non era tanto diversa dall’Italia di oggi. Aveva la stessa forma a stivale, anche se era pezzata di vari colori. Aveva il vaticano in mezzo. Al sud c’erano i briganti, al nord i signori, in toscana gli intellettuali. E chi guardava fuori dalla finestra, che fosse monarchico o repubblicano, nobile o contadino, scommetto che vedeva l’Italia.

Poi questo paese si è formato, si è trasformato da una monarchia in una repubblica, con una costituzione romantica che piano piano è stata mangiata e ricostruita fino a farla diventare fredda e distaccata, come deve essere una costituzione. Ma che inizia sempre con due parole: L’Italia. Poi continua con Repubblica, Democratica, Lavoro. Ma quello che conta è credere nelle prime due parole.

Io ci credo, credo che questo popolo stordito dalle luci degli ultimi vent’anni, spaventato e troppo orgoglioso per ammetterlo, questo popolo caciarone e bugiardo, ma in maniera bonaria, un giorno si alzerà. Si alzerà e deciderà che è il momento di finire il lavoro iniziato nella seconda metà del ’800. bisognerà finire di fare l’Italia.

Il 14 Dicembre scorso è stata rinnovata a Silvio Berlusconi la fiducia per proseguire il quarto mandato da Presidente del Consiglio. Per tre voti. Subito dopo Roma ha cominciato ad esplodere, le auto a bruciare, i poliziotti a caricare, le vetrine ad infrangersi. Subito dopo sembrava che l’Italia, non i tre parlamentari che hanno votato la fiducia, ma tutto il resto dell’Italia fosse seriamente incazzato. Milioni di occhi sbarrati e increduli, bocche aperte, mani tra i capelli. Un sorriso compiaciuto. Milioni di teste che si scuotono, di lacrime che scendono, di pugni che si infrangono sui tavoli. Tra voti alla fiducia.

Quello che succederà da qui in poi è tutto da vedere, il governo del fare non ha più i numeri per fare, l’opposizione è, o dovrebbe essere, accanita, l’economia già vacillante rischia di crollare del tutto. A questa crisi di governo seguirà probabilmente un’altra crisi di governo. Peggiore. E si dovrà votare, sperando che salti fuori qualcosa di buono e che nel periodo di transizione non vengano fatti troppi danni. Quello che posso fare io è continuare a credere nell’Italia, che ogni tanto si sveglia dal suo letargo ideologico e si guarda intorno con gli occhi assonnati, e si accorge che c’è qualcosa che non va, allora accende una fiammella di rivolta. Bisogna credere che a furia di fiammelle un giorno o l’altro avvamperà un incendio. Anche se è difficile, adesso, perché sembra non esserci più un’Italia in cui credere.



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