di Paolo Balmas
Le oltre quaranta intese siglate dal Presidente russo Vladimir Putin e dal suo collega cinese Xi Jinping lo scorso 21 maggio 2014 sono state interpretate come una diretta conseguenza della crisi ucraina e come il principio di un nuovo irrigidimento fra due blocchi paragonabile alla Guerra Fredda che ha caratterizzato la seconda metà del XX Secolo. Ma le variazioni strategiche e l’intensificarsi dei rapporti bilaterali in ambito di difesa e sicurezza osservabili nello scenario estremo-orientale mettono in luce una situazione ben più complessa.
Dai media di tutto il mondo sono stati rispolverati spettri del passato rivisitati sotto una nuova luce, ad esempio una futura ma vicina corsa allo spazio che vedrebbe la Federazione Russa e la Cina alleate contro gli Stati Uniti e l’Unione Europea o il recentissimo riavvicinamento di Mosca a Fidel Castro con un generoso taglio del 90% del debito. La situazione attuale, però, non sembra assolutamente paragonabile a quella precedente il 1990. Non esistono due sistemi economici fondati su ideologie in opposizione. Infatti, l’avvicinamento tra Pechino e Mosca non sottende alcuna ideologia. Piuttosto si tratta di una scelta pragmatica che si ripercuote simultaneamente nei più diversi settori, getta le basi per lo sviluppo di un’ampia regione dell’Asia (quella nord-orientale), regola i rapporti tra i due Paesi e il funzionamento del mercato che si apre a cavallo del confine che li divide.
La causa di tale scelta, inoltre, non può davvero essere ritrovata unicamente nella crisi ucraina, tanto meno nelle tensioni nel Mar Cinese Meridionale. A parte il fatto che le trattative fra i due giganti asiatici andavano avanti da circa dieci anni, gli avvenimenti di Kiev, di Crimea e dell’Ucraina orientale possono al massimo aver inciso sulla decisione finale del prezzo (rimasto segreto) del gas siberiano che nei prossimi anni giungerà nelle terre cinesi.
Da un lato siamo di fronte, più semplicemente, al naturale sviluppo della strategia della Cina che, si ricorda, è una potenza sia marittima che continentale e sebbene i suoi leader negli ultimi anni si siano concentrati sulla talassocrazia, non possono di certo dimenticarsi della terra ferma e dei rapporti con i vicini più funzionali e più interessati a una maggiore cooperazione. Dall’altro, la Federazione Russa, al di là degli obiettivi di quello che è stato definito un “pivot to China”, vuole certamente dare una risposta alla NATO con la quale si sono verificati attriti che vanno ben oltre la crisi ucraina. La politica di Putin, infatti, vuole anche dimostrare all’Occidente, e in particolare all’Unione Europea, che Mosca è la protagonista dell’intero continente euroasiatico e non si lascia intimidire dalle sanzioni né dalle pressioni volte a frenare o a rallentare i progetti energetici intrapresi con attori asiatici. Infine, la Federazione Russa ha un gran bisogno di essere meno dipendente dal mercato europeo dei consumi energetici.
Sebbene l’incontro fra Cina e Russia non possa essere considerato come la creazione di un blocco chiuso, in qualsiasi caso, la cooperazione non può prescindere da un aumento delle attività militari congiunte, né lo sviluppo della regione nord-orientale dell’Asia potrà essere portato a termine senza un incremento della presenza militare nel Pacifico del Nord. La strategia sino-russa si inserisce in uno scenario più vasto che comprende tutta l’Asia-Pacifico e che negli ultimi mesi sta subendo profondi cambiamenti in materia di difesa e sicurezza.
Capacità militari del Giappone – Fonte: China DailyIl Giappone di Shinzo Abe è il Paese che sta vivendo i mutamenti più significativi. Le riforme arrivano in un momento della storia delle relazioni fra Washington e Tokyo caratterizzato dalle trattative per la firma del Trans Pacific Partnership (TPP), un patto commerciale che inciderà fortemente sugli equilibri dell’Asia-Pacifico. In tale contesto, con la tensione che sale, le forze armate hanno rielaborato la propria geostrategia e modificato la dislocazione sul suolo nazionale. Inoltre, il Governo è riuscito a ottenere il via libera per una storica revisione del concetto di autodifesa, che da ora sarà una difesa “collettiva”. Infine, l’ampliamento del mercato degli armamenti getta le basi per un’intensificazione delle attività congiunte sia con i partner commerciali del settore sia con le forze armate straniere interessate ai prodotti nipponici.
Shinzo Abe ha preventivato un considerevole aumento delle spese per gli armamenti. I sistemi che Tokyo vuole acquistare lasciano intravedere quale sia in grandi linee il nuovo assetto strategico. Sostanzialmente stiamo assistendo a una riduzione delle forze di terra dislocate nel Nord, originariamente pronte a opporsi a un’invasione sovietica, e a un aumento dell’impegno a Sud, in particolare nell’arcipelago di Okinawa (isole Nansei), all’estremità del quale si estendono le Senkaku/Diaoyu contese con Pechino. In questo arcipelago si sta sviluppando una nuova rete di radar e di difesa missilistica supportata da droni da ricognizione d’alta quota. Allo stesso tempo si sta procedendo alla creazione di un reggimento di “marines”, predisposto alla reazione rapida in caso di occupazione militare dei territori insulari da parte di eserciti nemici, il quale sarà fornito di nuovi mezzi d’assalto anfibio e di aerei a rotori basculanti. In generale, si sta lavorando intensamente per lo sviluppo dei sistemi d’intelligence, per la sorveglianza e la ricognizione, in tutto il Paese. Emerge chiaramente, da un lato, una politica di contenimento dell’espansione di Pechino nel Mar Cinese Orientale e, dall’altro, il bisogno di aumentare il controllo sulle attività militari di Pyongyang.
Tokyo potrà intervenire in conflitti nel caso in cui i suoi alleati subiscano un attacco e sarà libera di partecipare a programmi congiunti per lo sviluppo di armamenti con nazioni amiche e vendere i prodotti della propria industria bellica, oltre i limiti che hanno caratterizzato la costituzione pacifista dal Dopoguerra ai nostri giorni. Si può dire che il Sol Levante è entrato in una nuova era e il reale cambiamento, quello che segna “il prima” e “il dopo” è la sigla di un patto di cooperazione con la NATO (6 maggio 2014) che rivolge una decisa attenzione alle attività di contrasto alla pirateria. Il contingente giapponese con base a Gibuti è di fatto entrato nelle attività della NATO svolte nella porzione occidentale dell’Oceano Indiano. Si può asserire che Tokyo e Bruxelles si sono incontrate a metà strada, ma è lecito chiedersi se ciò non renda possibile un intervento della prima più a Ovest o della seconda più a Est.
Il Giappone si è rivelato particolarmente attivo nella ricerca di partner con cui intraprendere la produzione di armamenti. Per la statunitense Raytheon sta mettendo a punto un componente per i missili PAC-2, più noti sotto il nome di Patriot; con l’europea MBDA sta realizzando un missile aria-aria da montare sugli F-35 della Lockheed Martin; in Turchia sta producendo un motore per un carro armato da combattimento. La più recente collaborazione è cominciata con l’Australia, con la quale si sta studiando l’evoluzione di sistemi subacquei. Le indiscrezioni rivelano che anche la Francia e il Regno Unito sono interessate allo sviluppo congiunto di sistemi d’arma con le firme del Sol Levante. Si pensa che l’apertura delle esportazioni avrà presto un seguito positivo per l’economia giapponese. Le Filippine, il Vietnam e Taiwan sembrerebbero già intenzionate a intraprendere un dialogo per l’acquisto di armamenti nipponici. Bisogna notare che questi ultimi sono Paesi che hanno contese aperte con la Cina.
Alla febbrile attività di Tokyo, fortemente appoggiata da Washington, si oppone quella cinese con cui per il momento il contrasto è solo verbale, almeno nel tratto di mare che divide i due giganti dell’Estremo Oriente, a differenza di quanto accaduto nel Mar Cinese Meridionale in seguito agli attriti con il Vietnam. Tokyo e Pechino si accusano vicendevolmente di alterare lo status quo, ma di fatto non si assiste ad altro se non a un riassetto strategico militare dettato dalle esigenze del momento.
Tuttavia, i notevoli progressi registrati dalla Cina nello sviluppo di nuovi sistemi di difesa preoccupano molto i vicini e non solo. In particolare, sono stati individuati tre oggetti di maggiore attenzione. Il primo, che ormai viene visto come un’arma a tutti gli effetti, riguarda la capacità di portare a segno cyber-attacchi contro server sia istituzionali che privati in ogni parte del mondo. Un’attività che, secondo la Casa Bianca, è svolta con determinazione e senza sosta da membri dell’esercito. Il secondo, invece, è costituito dal perfezionamento di un sistema missilistico capace di colpire i satelliti. Il terzo e più recente, infine, è la realizzazione di un missile supersonico (che viaggia fra Mach 5 e Mach 10) capace di raggiungere obiettivi a distanze ragguardevoli in poche ore, o minuti. Il nuovo missile, denominato dalle forze statunitensi WU-14, sarebbe la risposta cinese al sistema Prompt Global Strike (Pgs) realizzato da Washington. La ricerca che negli USA è cominciata negli anni Ottanta, ha portato alla creazione nel 2002 della Defence Advanced Research Projects Agency (Darpa) che definiva i sistemi supersonici come armi di nuova generazione. Nel contesto attuale tali armamenti rendono necessaria una rivisitazione delle strategie militari in generale.
Difesa in Asia: proiezioni – Fonte: AFPLa corsa agli armamenti è accompagnata dalle esercitazioni congiunte di vari Paesi che simulano assalti in grande stile alle coste. Gli Stati Uniti e la Corea del Sud, a marzo 2014, hanno svolto le attività più intense degli ultimi vent’anni, con le critiche di Pyongyang che le ha intrepretate come un’aperta minaccia alla propria sicurezza nazionale. Se da un lato la politica del Giappone coincide col tentativo di conquistare uno spazio più ampio possibile per le proprie attività, quella di Washington è volta a creare rapporti solidi fra Tokyo e Seoul, che sono i suoi alleati più stretti nella regione. Un’alleanza più viva fra le tre nazioni permetterebbe una politica di contenimento più efficace nei confronti di Pechino e Mosca. Tuttavia, sembra ancora prematuro riuscire a portare a un dialogo aperto gli eterni rivali che ancora non hanno trovato un’intesa per superare i ricordi delle ferite della Seconda Guerra, in particolare quelle subite dai coreani per mano giapponese. Quindi, gli Stati Uniti hanno anche la funzione di anello di congiunzione nel sistema di difesa della regione.
Dal 2012 la Federazione Russa e la Repubblica Popolare Cinese hanno intrapreso un programma di esercitazioni congiunte che si svolgono al largo delle coste cinesi. Quest’anno sono previste nel tratto di mare al largo delle Senkaku/Diaoyu. I Paesi limitrofi non sono assolutamente contenti di tale opzione, il Giappone ovviamente in primis. Anche questa scelta è stata interpretata come espressione della volontà sotterranea, ma che viene sempre più in superficie, di cambiare l’instabile equilibrio dei mari orientali.
Anche se dal punto di vista della collaborazione militare si potrebbero distinguere due schieramenti più o meno definiti, in realtà, facendo attenzione ai rapporti commerciali, economici e finanziari, tale divisione non è affatto così netta. Mosca rimane il principale fornitore di armamenti di Paesi come Indonesia, India e Vietnam che hanno tutti dispute territoriali irrisolte con Pechino. In tal senso, risulta importante sottolineare la collaborazione fra Mosca e New Delhi per la realizzazione di un missile supersonico (capace di viaggiare a Mach 7) che sarà messo a punto entro il 2017.
In questi giorni le pressioni maggiori sembrano esercitate sulla Corea del Nord. Da un lato Mosca, attraverso l’esercizio del proprio soft power, lo stesso messo in pratica recentemente a Cuba, ha offerto a Pyongyang di intraprendere collaborazioni economiche in cambio di un abbattimento del debito. Dall’altro, dopo molti anni, Tokyo si mostra aperta a un nuovo dialogo, sebbene più timido, attraverso l’eliminazione delle sanzioni imposte sin dagli anni Ottanta (che non hanno nulla a che vedere con quelle dell’ONU). Sembra che si sia aperta una gara diplomatica il cui obiettivo è quello di smantellare le rigide barriere che dividono Pyongyang dai suoi vicini.
Se lo schieramento si irrigidirà, allora si assisterà necessariamente a una riformulazione delle relazioni bilaterali di molti Paesi e al tentativo di risolvere alcuni delle innumerevoli contese territoriali attualmente aperte in Asia-Pacifico. Per il momento tutto sembra funzionale a grandi interessi economici. Ma ciò non toglie che le manovre sia economiche che militari, pur mantenendo un carattere preventivo, possano essere fraintese a tal punto o sfruttate magistralmente per trarne dei benefici con il rischio di un’escalation nella generale tensione che caratterizza l’Estremo Oriente del 2014.
* Paolo Balmas è Dottore in Lingue e Civiltà Orientali (Università La Sapienza, Roma) e membro del Consiglio Direttivo di Istrid Analysis
Photo credits: AFP/Getty Images
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