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La discesa agli inferi di Adam Morrison

Creato il 14 settembre 2011 da Basketcaffe @basketcaffe

morrison Un giocatore di culto, c’è poco da fare. Uno di quelli di cui non ti puoi non innamorare cestisticamente parlando, per la storia che ha alle spalle, per l’agonista che è e per quel look da rockettaro, capelli lunghi e baffetti, che ti ipnotizza. Parlo di Adam Morrison, ex stella di Gonzaga University e terza scelta assoluta del Draft Nba 2006 da parte degli Charlotte Bobcats, quello stesso Draft in cui per primo a stringere la mano a David Stern fu Andrea Bargnani. Dopo cinque stagioni di Nba, in un calando disastroso, Morrison ha accettato di venire in Europa e ha firmato per un anno senza escape con la Stella Rossa di Belgrado. Certo, Belgrado non è l’inferno e non passa nemmeno per la testa una cosa del genere, ma il futuro del nostro Adam sembrava ben diverso.
Partiamo dalla sua storia, così incredibile che finisce addirittura sulle pagine di “Sette“, il magazine del Corriere della Sera. Morrison è un diabetico e quindi fin da bambino, durante i timeout delle partite si controlla la glicemia e se serve, si fa un’iniezione di insulina. Oltre a questo, Morrison è un personaggio particolare: studia tanto e si dedica a letture impegnative. I suoi libri favoriti sono “L’arte della guerra” di Sun Tzu, “L’autobiografiadi Malcolm X“, “La ricchezza delle nazioni” di Adam Smith, gli scritti di Che Guevara e “Il manifesto“. Morrison è rimasto affascinato da Karl Marx da quando studiò la Rivoluzione Russa alla High School di Mead a Spokane, al punto che ha un manifesto di Marx in camera da letto.

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La cosa importante però è che Morrison, nonostante tutto, è diventato uno dei migliori giocatori del college basket. Ha segnato 11 punti di media da freshman, 19 a sera da sophomore e 28 di media da junior, il suo ultimo anno, tanto da diventare cannoniere della Division I. Quell’anno ha portato Gonzaga fino alle Sweet 16 (ko con UCLA), ha firmato 13 gare oltre i 30 punti e 5 oltre i 40, compreso il career high da 44 contro Loyola Marymount (37 nel secondo tempo), e ha conquistato il titolo di Giocatore dell’Anno in coabitazione con JJ Redick.

Nell’Nba le cose però sono andate completamente a sud. Nel’anno da rookie a Charlotte viaggia a 12 di media in 30 minuti col 37% da tre (anche una gara da 30 punti contro Indiana) ma già vengono a galla tutti i suoi limiti difensivi e di atletismo, tanto che dopo 29 gare finisce in panchina. L’anno dopo non gioca per la rottura del legamento crociato e nel febbraio 2009 viene ceduto ai Lakers. Con i gialloviola vince due titoli (2009 e 2010) ma raramente vede il campo e quando gioca, è un disastro, un colpo al cuore per chi l’ha visto dominare a Gonzaga. L’anno scorso viene tagliato al training camp dei Wizards ed ora si gioca la carta Europa. Probabilmente un livello di gioco meno atletico ma più tecnico ed agonistico, l’ideale per Morrison, che ha bisogno soprattutto di ritrovare morale, convinzione e quella mentalità vincente che lo ha sempre contraddistinto. In campo e nella vita.



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