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La donna e il burattino – Romanzo spagnolo 13

Da Marvigar4

la donna e il burattino

La donna e il burattino

Romanzo spagnolo

Traduzione dall’originale francese La Femme et le Pantin – Roman espagnol

di Marco Vignolo Gargini

13. COME MATEO RICEVETTE UNA VISITA, E QUELLO CHE SEGUE

Se non mi sono ucciso rientrando a casa è, senza dubbio, perché al di sopra della mia esistenza straziata una collera più energica mi sostenne e mi consigliò.

Incapace di dormire, non mi coricai nemmeno. Il giorno mi trovò in piedi e a camminare, nella stanza in cui siamo, dalle finestre alla porta. Passando davanti a una specchio, vidi senza stupore che ero diventato grigio.

Al mattino, mi servirono una colazione qualunque su une tavolo del giardino. Ero là da dieci minuti, senza fame, senza sofferenza, senza pensieri, quando vidi venire da me dal fondo d’un vialetto, quasi dal fondo d’un sogno, Concha.

Oh! Non siatene sorpreso. Niente è imprevisto quando si parla di lei. Ogni sua azione è sempre, a colpo sicuro, stupefacente e scellerata. Mentre mi si avvicinava, mi chiedevo con ansia quale brama la spingesse, di desiderio di contemplare una volta ancora il suo trionfo, o di sentimento di potere forse, con una manovra avventurosa, acquisire a suo profitto la mia rovina materiale. L’una e l’altra spiegazione era ugualmente verosimile.

Lei si chinò di lato per passare sotto un ramo, chiuse il suo parasole e il ventaglio, poi si sedette davanti a me, la mano destra posata sul mio tavolo.

Mi ricordo che aveva dietro un cespuglio e che un badile luccicante e sottile v’era conficcato in terra. Durante il lungo silenzio che seguì, m’assillò una tentazione di prendere in mano quel badile, di gettare la donna sul prato, e di tagliarla in due, là, come un verme rosso…

«Ero venuta», mi disse infine, «per sapere come eri morto. Credevo che tu m’amassi di più e che ti saresti ucciso nella notte.»

Poi versò il cioccolato nella mia tazza vuota e vi bagnò le sue labbra mobili aggiungendo come fra sé e sé:

«Non abbastanza cotto. E proprio cattivo.»

Quando ebbe terminato, si alzò, aprì il suo parasole, e mi disse:

«Rientriamo. Ti riservo una sorpresa.»

E io pensai:

«Anch’io.»

Ma non aprii bocca.

Salimmo le scale della veranda. Correva davanti e cantava una nota aria di zarzuela con una lentezza che voleva senza dubbio farmi sentire meglio l’allusione:

¿ Y si à mi no me diese la gana

De qué fuéras del brazo con él ?

- Pués iria con él de verbena

Y à los toros de Carabanchel ![1]

Di sua spontanea volontà entrò in una stanza… signore, non fui io a spingerla là… quello che accadde in seguito, non fui io a volerlo… Il nostro destino era così fatto… Bisognava che tutto accadesse.

La stanza dove entrò, ve la mostrerò subito, è una saletta tutta rivestita di tappeti, sorda e buia come una tomba, senza altri mobili che dei divani. Vi andavo a fumare una volta. Adesso è abbandonata.

Vi entrai dietro a lei; chiusi la porta a chiave senza che lei sentisse la chiusura; poi un flusso di sangue mi salì agli occhi, una collera accumulata ogni giorno da più di quattordici mesi, e, voltandomi verso il suo viso, le rifilai un ceffone.

Era la prima volta che picchiavo una donna. Ne resta tremante quanto lei, che s’era gettata indietro, l’aria inebetita, battendo i denti.

«Tu… tu… Mateo… tu mi fai questo…»

E in mezzo a ingiurie violente, gridò:

«Sta’ tranquillo! tu non mi toccherai due volte!»

Frugava nella giarrettiera dove tante donne nascondono una piccola arma, quando io le torsi la mano e gettai il coltello su un baldacchino che toccava quasi il soffitto.

Poi la feci cadere in ginocchio trattenendole i polsi con la mia sola mano sinistra.

«Concha.» le dissi, «tu da me non sentirai né insulti, né rimproveri. Ascolta bene: tu m’hai fatto soffrire al di là d’ogni umano limite. Tu hai inventato delle torture morali per saggiarle sul solo uomo che t’ha amato appassionatamente. Io ti dichiaro qui che ti possiederò con la forza, e non una volta, mi senti?, ma tante volte quanto mi piacerà prenderti prima della notte.»

«Mai! non sarò mai tua!» urlò. «Tu mi fai orrore: te l’ho detto. Ti odio come la morte! Ti odio più della morte! Assassinami allora! tu non mi avrai prima!»

È allora che cominciai a picchiarla in silenzio… Ero veramente impazzito… non so più bene cosa accadde… i miei occhi vedevano male… la mia testa non pensava più… Mi ricordo soltanto che picchiavo con la regolarità d’un contadino che batte il grano, – e sempre sugli stessi punti: in cima al capo e la spalla sinistra… Non ho mai sentito grida così orribili…

Questo durò forse un quarto d’ora. Lei non aveva detto una parola, né per chiedere grazia, né per abbandonarsi. Mi fermai quando il mio pugno divenne troppo dolente, poi le lasciai le mani.

Si lasciò cadere di fianco, le braccia stese in avanti, la testa all’indietro, i capelli sciolti, e le sue urla si trasformarono bruscamente in singhiozzi. Piangeva come una ragazzina, sempre con lo stesso tono, così a lungo quanto poteva senza riprendere fiato. A momenti, credevo che soffocasse. Vedo ancora il movimento che faceva di continuo la sua spalla martoriata, e le mani tra i capelli a trarre le forcine…

Allora ebbi talmente pietà di lei e vergogna di me, che dimenticai quasi, per un momento, la scena atroce della vigilia…

Concha s’era rialzata un po’: stava ancora in ginocchio, le mani alle guance, gli occhi alzati su di me… Sembrava che non avesse più l’ombra d’un rimprovero in quegli occhi là, ma… non so come esprimermi… una sorte d’adorazione… In principio le labbra tremavano così forte che non poteva spiccicare parola… Poi distinsi fievolmente: «Oh! Mateo! come m’ami!»

Si riavvicinò, sempre sulle ginocchia, e mormorò:

«Perdono, Mateo! Perdono! Anch’io ti amo…»

Per la prima volta, era sincera. Ma io, non la credevo più. Proseguì:

«Come m’hai battuta bene, cuore mio! Com’era dolce! Com’era bello.. Perdonami per tutto quello che t’ho fatto! Ero folle… Non sapevo… Allora tu hai sofferto tanto per me?… Perdono! Perdono! Perdono, Mateo!»

E mi disse ancora, con la stessa voce dolce:

«Tu non mi prenderai con la forza. Ti attendo tra le mie braccia. Aiutami ad alzarmi. Ti ho detto che ti riservavo una sorpresa? Ebbene, tu la vedrai subito, tu la vedrai: sono sempre vergine. La scena di ieri era solo una commedia, per farti male… perché te lo posso dire, ora: non ti amavo affatto, fino ad oggi. Ma ero troppo orgogliosa per prendere un Morenito… Sono tua, Mateo. Sarò la tua donna questa mattina se Dio vuole. Cerca di dimenticare il passato e di capire la mia povera animuccia. Io, mi ci perdo. Credo di ridestarmi. Ti vedo come non ti ho mai visto. Vieni da me.»

E in effetti, signore, era vergine…



[1] «E se io non ne avessi voglia/ che tu andassi a braccetto con lui?/ – Allora andrei con lui alla sagra/ e alla corrida a Carabanchel!»



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