L’articolo incriminato parte da un recente gossip: l’annuncio a reti unificate e a suon di tamburi, tra una semifinale e una finale di europeo, tra un colpo di testa e uno di tacco, della gravidanza della morosa di Balotelli. Lo statuario padano un po’ scuretto (Borghezio dixit) aveva risposto, da gran signore e dimostrando piena fiducia nella fedeltà del corpo della ragassa: “Si, ma voglio il test del DNA”. Ecco, prendendo spunto dal caso baby Balotelli, l’avvocato Bernardini, che di cause matrimoniali e disfide genitoriali di alto bordo se ne intende, ha scritto un pezzo piuttosto critico nei confronti di certi comportamenti femminili, come quello di coloro che usano la gravidanza come mezzo per sistemarsi con uomini ricchi e potenti. Un fenomeno che, nel dorato mondo delle veline e dei calciatori, delle giovani rampanti vogliose di seguire il comandamento del Dio Silvio “sposatevi uno ricco”, è una realtà o comunque una tentazione irresistibile. Leggevo giusto su un giornale da spiaggia del divetto nemmeno diciottenne Justin Bieber che, dopo un rapporto occasionale con una fan più matura, praticamente una pedofila, sarebbe stato richiesto di assumersi le sue responsabilità di futuro padre.
Ecco, se vogliamo evitare in futuro che una ragazza assolutamente in buona fede si becchi l’insinuazione cafona del fidanzato pallonaro miliardario e magari l’allusione maligna a mezzo stampa, bisognerebbe riflettere sul perché ancora oggi tante ragazze amano vincere facile con l’ovulazione al momento giusto, con l’ovetto kinder (nel senso di bambino), lasciato come ricordo sul comodino del ganzo danaroso.
Le femministe da tastiera che si sono arrogate il diritto di decidere che cosa è buono e giusto leggere, guardare e pensare e guai se non dai loro ragione, sul “la regina è nuda” invece ci si sono incazzate di brutto. Non volendo cogliere l’occasione per fare autocritica sui comportamenti che, provenendo dalle donne, ne danneggiano l’immagine più delle pubblicità in perizoma, vanno in giro cariche di settarismo ideologico come bobine di Tesla, pattugliando notte e giorno i mezzi di informazione alla ricerca del maschilismo, della misoginia e del sessismo al fine di fulminarne all’istante gli autori o autore. Autore si, non autrici perché, tra una gogna e l’altra, le drughe si dilettano a violare l’italiano come comanda la loro Danta Alighieri di riferimento che, in nome del linguaggio antisessista, vorrebbe declinare al femminile anche il cazzo e nel frattempo romperlo anche a noi che scriviamo come ci hanno insegnato alle elementari le nostre povere maestre. Quando io scrivo queste cose, per avere la scusa di non rispondermi sul merito, mi dicono che sono solo provocazioni gratuite. Mi graffiano, si mettono a piangere accusandomi di aver loro spezzato il cuore con il mio antifemminismo, di attirare con i miei scritti velenosi i falsificatori di siti femministi che poi vanno da loro a molestarle. Tutto vero, non sto scherzando. Se non fosse che quel settarismo da guardie rosse è pericoloso perché altrettanto infantile e violento ci sarebbe da riderci sopra. Invece, siccome sono convinta che questo femminismo ottuso ed opprimente faccia solo danni, anche a me in quanto donna diretta interessata, non smetto di farlo notare e quindi lo ripeto per l’ennesima volta. Queste signore sono le fautrici di una rivoluzione culturale dove le donne hanno sempre ragione, non sbagliano mai, non sono mai disoneste e stronze, mai puttane e mai cretine. Un regno magico tutto al femminile (la Città delle Donne sognata da Fellini che diventa realtà) dove la Ducia ha sempre ragione, dove la Grande Sorella ci controlla pensiero e parola e dove gli uomini, a quel punto, diventano solo superflui oppure serpenti velenosi da schiacciare. Un mondo di autocelebrazione ed autoassoluzione urbe et orbe dove sento dire che alle donne maltrattate – che si sono magari scelte liberamente i loro carnefici – spetterebbe non solo la dovuta e doverosa assistenza psicologica e legale ma casa, lavoro e ogni tipo di tutela sociale; le altre invece, evidentemente, quelle che si sono scelte uomini amorevoli, che non alzerebbero mai un dito su di loro, se non hanno casa e lavoro, se lo possono prendere, direbbe Cetto, ‘ntu culu? Peggio per loro che non contribuiscono ad incrementare le cifre dell’industria del femminicidio, questa categoria inventata, a scopo propagandistico, come la neolingua della Grande Fratella, per sostituire quelle troppo banali di omicidio e lingua italiana. Femminicidio come olocausto che giustifica ed emenda qualsiasi eventuale colpa e responsabilità e marchia a fuoco sul braccio delle donne in quanto tali il marchio indelebile di vittime. Industria che tiene in vita artificialmente un femminismo in morte cerebrale da anni perché incapace di andare oltre la tentazione del separatismo e fallito nel suo compito fondamentale: rifondare la società attraverso l’educazione dei figli in mano alle donne. Le madri continuano a crescere un numero statisticamente eccessivo di puttanelle che da grandi vogliono fare le veline, scoparsi il calciatore ricco e sistemarsi e arroganti pascià incapaci di gestire sentimenti e relazioni con donne che non dicano loro sempre si come le loro mammine. Femminismo che vede nelle donne, come unici difetti, la volontà di parlare in dissenso, di superare finalmente il trauma di essere nata donna e lo smettere di piangersi addosso, visto che alle nostre latitudini nessuno ci impone l’infibulazione faraonica da bambine ma possiamo fare praticamente tutto ciò che ci garba. Quando si dicono queste cose, arrivano le graffiate in faccia e l’epiteto di “donna che odia sé stessa”. Curiosa definizione che, l’ho già ribadito, è presa pari pari dal classico armamentario propagandistico delle lobbies prevaricatrici che vogliono intimidire e zittire il dissenso interno, come nel caso dei “self-hating jews”, gli intellettuali e rabbini critici nei confronti del sionismo reale. Un comportamento che è tipico delle ideologie fallite che si arroccano sull’autovittimizzazione assieme ai loro ultimi giapponesi nella jungla e che passano il tempo a controllare l’ortodossia dei pensieri altrui. Un retaggio del secolo scorso che ancora ci trasciniamo dietro ma non vogliono capirlo. Mi è piaciuto un concetto espresso da Annamaria Bernardini nel suo articolo: quello della “energia aggressiva delle donne che, come schiave liberate, sono passate dal buio alla luce, facendosene accecare“. (cit.) Se l’uomo reagisce con l’aggressione omicida sempre più di frequente nei confronti delle donne, la risposta non è certo la pretesa che la donna abbia sempre ragione e l’instaurazione del reato di negazione del femminicidio come olocausto, ma un’analisi del problema da tutti i punti di vista, quello delle donne e quello degli uomini. Analizzando i rispettivi disagi. Da parte nostra bisogna ripensare i nostri comportamenti e domandarci se, a volte, non sia vero, come dice Bernardini, che siamo incapaci di gestire una libertà sacrosanta ma che a volte pretende di cominciare dove finisce quella degli altri: uomini o donne che siano. “Anche con gli occhi spalancati… non riesco a vedere niente.” (Takeshi Kitano, “Zatoichi”.)