Subito a Tripoli, poi a Parigi, quindi a Berlino e Londra per poi, come Garibaldi, passare l’Atlantico e sbarcare in America Latina. Pier Luigi Bersani ha iniziato il suo giro del mondo in otto giorni. Ha un sogno in testa: fare come Hollande in Francia, essere Hollande in Italia. Che ha fatto Hollande a Parigi? Ha unito sinistra e centro. Bersani sogna di fare la stessa cosa. Non da oggi o da ieri sera ma dalla primavera scorsa, quando il socialista sconfisse Sarkozy. Era maggio quando diceva queste cose: «La vittoria di Hollande nasce dalla confluenza di elettorato di sinistra e di centro democratico, contro una destra fortemente condizionata da una pulsione reazionaria. La saldatura tra forze di sinistra e forze moderate costituzionali è un tratto di fondo della situazione europea ed è l’alternativa al ripiegamento regressivo della destra. Ma quando ne parlo, in Italia, mi si chiede sempre quale foto preferisco». Già, la foto di Vasto. Ne è passato di tempo, non molto ma sembra un secolo. Qualcuno è uscito di scena, come Antonio Di Pietro.
Qualcun altro, il poeta di Bari – Nichi di Bari – è stato determinante per la vittoria di Bersani alle primarie. Alla fine, si sono ritrovati nello stesso “profumo di sinistra”. E ora il figlio del benzinaio di Bettola vuole terminare il viaggio e raccontare in Europa e al mondo che lui unirà ciò che è diviso e porterà lo schieramento progressista al governo dell’Italia e lui farà ciò che non sono stati in grado di fare né D’Alema né Veltroni: entrerà a Palazzo Chigi dalla porta principale con il consenso popolare. Questo è il sogno di Pigi Bersani – Palazzopigi – ma, come diceva Montanelli, i sogni muoiono all’alba.
«Niente favole» ha detto subito il vincitore delle primarie più belle del mondo nella grande festa democratica del cinema Capranica. Tra le favole bisognerà mettere, però, anche i misteri di Parigi che ci racconta proprio Bersani dicendo di sé: «Se Hollande lo ha fatto in Francia perché io non posso farlo in Italia?». Semplice: perché Roma non è Parigi e la situazione italiana, sia quella statale sia quella politica, non è la situazione francese. Si capisce la baldanza di Pierluigi che, come un novello Robespierre, sente d’avere il vento della storia dietro le spalle, ma da uomo di esperienza qual è dovrebbe fare attenzione e andarci cauto perché non è detto che dietro alle spalle ci sia sempre il vento. Non è tempo né di rivoluzione francese né di rivoluzione italiana. E, per stare al tema scelto da Bersani – “niente favole” – è bene raccontarla tutta. Perché la versione di Bersani è monca. Dice: «C’è la possibilità di invertire un ciclo decennale delle destre». Ecco, questa è una favoletta. Non c’è stato nessun ciclo decennale delle destre ma un ciclo ventennale delle destre e delle sinistre che è passato alla storia come “berlusconismo” ma dentro questa definizione e questa scatola di Pandora c’è anche l’antiberlusconismo. La storia, soprattutto quando è così vicina alla cronaca, è meglio raccontarla tutta e bene. Si può capire l’entusiasmo di Bersani e la sua voglia matta di immaginarsi alla testa di un politica nuova che ha il compito storico di marciare verso il governo del Paese. Lo si può capire, ma non condividere né approvare. Perché questa marcia non è un appuntamento con la storia ed è solo l’altra parte del pendolo berlusconiano: l’Anti.
C’è poi il vendolismo. Vendola rappresenta un problema serio, molto serio che si può riassumere in questa formula: non è tanto che sia contrario a Casini, quanto che è contrario a Monti. E, per essere ancora più chiari: non è che sia contrario a Monti, ma è contrario alla politica che il governo Monti ha fin qui svolto ridando all’Italia una credibilità internazionale senza la quale si possono fare e vincere tutte le primarie di questo mondo che tanto il mondo guarda da un’altra parte. È vero quanto ha detto proprio Bersani l’altra sera al Capranica per spiegare la vittoria su Renzi: «Se dieci naufraghi stanno in mezzo al mare, il capo non è quello che ha carisma, ma quello che offre maggiore sicurezza». Ma è proprio con questa sicurezza che ora Bersani deve fare i conti: perché si tratta di una sicurezza troppo statica, ferma al limite dell’immobilità. La sicurezza gli ha fatto vincere le primarie, ma ora quella stessa sicurezza è già diventata un ostacolo da superare piuttosto che una risorsa su cui confidare. Bersani parla dal centro di questa sicurezza come si parla dal centro del cuore della sinistra e, lo voglia o no, per governare l’Italia ci vogliono altri numeri e un’altra politica. Ecco perché il buonsenso dice che i sogni muoiono all’alba perché bisogna crederci fin quando si dorme ma una volta che si è desti è sempre meglio rendersi conto della realtà, altrimenti si casca male. Questa idea di Bersani di un fronte progressista europeo e mondiale ricorda troppo da vicino una cosa che fu chiamata, con sprezzo del ridicolo, “l’Ulivo mondiale”. Va ricordato come finì quella storia?
tratto da Liberalquotidiano.it del 4 dicembre 2012