Partecipando ieri al seminario “Dall’Io al sè – La cerca della felicità e la sua simbolica” organizzato dal Centro Studi Mythos a Bracciano, la relazione di Biancamaria Alberi sugli aspetti sociologici della ricerca della felicità mi ha portato a conoscenza di una stupefacente realtà che in qualche modo accende una luce di speranza nell’oscuro mondo della globalizzazione: l’indicatore Gross National Happiness adottato dallo stato del Buthan.
Il Buthan è un piccolo stato himalayano incastonato tra Cina e India, alle pendici delle vette più alte del mondo che potrebbe rappresentare oggi la realizzazione di quello Shangri-La ideale immaginato da James Hilton nel suo romanzo Orizzonte Perduto.
Nel 1972 il suo re Jigme Singye Wangchuk ideò il concetto di FIL sostenendo che “la felicità interna lorda è più importante del prodotto interno lordo”. Nel suo bizzarro modo di intendere le cose, il FIL (che gli anglofoni chiamano GNH, Gross National Happiness) rappresenta un indice alternativo al PIL, fin qui da tutti utilizzato, per misurare il grado di benessere di una nazione. Il FIL non si limita a valutare il livello di reddito (e di consumo) di una nazione, ma introduce una serie di parametri che lo affiancano arricchendolo, come il livello d’istruzione, l’accesso all’acqua potabile, la sanità gratuita, la percentuale di persone che usufruiscono del sistema fognario, l’aspettativa di vita, la qualità dell’ambiente, il tasso di criminalità. Tutto questo sembrerebbe ovvio, visto che, non necessariamente, un aumento del reddito costituisce di per sé un miglioramento della qualità della vita.
Infatti non sappiamo cosa farne di un aumento di stipendio se poi siamo costretti a spenderlo per difenderci dalla criminalità, o per acquistare medicine per curarci dai danni dell’inquinamento ambientale.
Ma non è solo questa la ragione dell’inadeguatezza del PIL. Il PIL – infatti – annichilisce l’uomo e la sua centralità, riconducendo la figura umana a un’unica dimensione, quella economica. Secondo i parametri occidentali basati sul PIL, il Bhutan risulterebbe essere una delle nazioni più povere della terra; in realtà lì nessuno muore di fame, non esistono mendicanti, né criminalità, il 90% della popolazione ha accesso gratis alla sanità e all’istruzione pubblica.Anno dopo anno, il Buthan ha messo insieme un indicatore completamente diverso, che ha al centro la felicità, un concetto che certo include anche il benessere economico, ma va ben oltre. “Il FIL si basa su quattro pilastri. – ha spiegato Lyonpo Jigmi Thinley, primo Ministro del Buthan – L’esistenza di uno sviluppo economico equo e sostenibile, che include l’istruzione, i servizi sociali e le infrastrutture, in modo che ogni cittadino possa godere degli stessi benefici di partenza; la conservazione ambientale, che per noi è particolamente importante visto che viviamo in un Paese che solo per l’8% ha un suolo utilizzabile per l’agricoltura; la cultura, intesa come una serie di valori che servono a promuovere il progresso della società; e infine il pilastro su cui si fondano tutti gli altri, il buon governo“.
Nel 2008 il re ha abdicato lasciando il trono al figlio, non più un trono da monarca assoluto, ma costituzionale. Il FIL insomma ha aperto le porte alla democrazia. Questo processo graduale ha portato benessere vero nel Paese: nell’ultimo censimento, infatti, si è detta molto felice il 52% della popolazione, felice il 45%, non molto felice solo il 3%.
“La ricchezza reale del Bhutan è che ci sentiamo umani“, dice Tshewang Dendup, un laureato presso la University of California, Berkeley, che ora lavora al Bhutan Broadcasting Service.” Forse siamo geograficamente un po’ isolati dal mondo, ma ci sentiamo parte di una comunità vivente che non è solo collegata con dei fili. Ecco perché il 95 percento di noi studenti di scambio torna a casa. In generale, dobbiamo ammettere che la gente qui è felice“.“La ricerca individuale di felicità e di libertà interiore ed esteriore è lo sforzo più prezioso.” ha dichiarato Thinley “Una politica ideale dovrebbe perciò promuovere questa impresa. Ciò che è necessario è chiedersi come i drammatici cambiamenti del 21° secolo influenzeranno le prospettive di felicità e come la tecnologia dell’informazione influenzerà la felicità delle persone“.