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La FIAT brasiliana

Creato il 31 ottobre 2010 da Mdeconca

betimUn articolo particolarmente interessante di Tito Boeri, su La Repubblica, chiarisce quali sono le differenze fra i sistemi di produzione brasiliani e quelli italiani.
Perché a Betim (BRA) la produzione è più efficace? In sostanza, anticipando la lettura dell’articolo, il lavoro degli operai è ripagato con la ripartizione del 50% dei profitti in busta paga, nella misura del 20% dello stipendio. In Italia l’incidenza è invece del 5%.

Non meno trascurabile poi il discorso relativo al mercato: in Brasile non c’è la concorrenza di mercato che invece la Fiat deve fronteggiare in Europa.

La Fiat alla brasiliana

Repubblica — 29 ottobre 2010   pagina 137   sezione: PRIMA PAGINA

PERCHÉ la Fiat realizza circa la metà dei suoi profitti in Brasile e ha conti in rosso in Italia? È questa la vera domanda da porsi. Una domanda per capire se abbiamo la possibilità di trattenere nel nostro paese un’ impresa multinazionale, che, dopo lo scorporo, parla sempre meno italiano. È una domanda utile anche per valutare quanto il nostro paese possa riuscire ad attrarre investitori stranieri. Non sono certo i richiami morali ai soldi in passato versati dai contribuenti italiani all’ azienda torineseo le classifiche sul grado di competitività dei vari paesi (non a caso citate a sproposito dallo stesso Marchionne), a guidare le strategie localizzative delle imprese multinazionali. Contano i profitti. Perché dunque bene in Brasile e non in Italia? Ecco alcune possibili risposte. È un problema di costo del lavoro. È la tesi implicitamente sostenuta da molti commenti alle esternazioni di Marchionne. Il Brasile viene descritto come un deserto dei tartari. Ma nessuno si è preoccupato di raccogliere dati a riguardo. In realtà un operaio medio della Fiat Automoveis (Fiasa) di Betim guadagna quasi 800 euro netti al mese, circa 1056 euro a parità di potere d’ acquisto con un operaio italiano che di euro ne porta a casa un po’ meno di 1200. Si tratta di quattro volte il salario minimo (che esiste in Brasile e non in Italia). I datori di lavoro pagano poi sul salario lordo il 20 per cento in contributi sociali più un altro 11,5 per cento legato a contributi a vari fondi (per l’ educazione, per l’ assicurazione contro gli incidenti sul lavoro, per la formazione, etc.). Da notare che Fiasa versa ai propri dipendenti quasi la metà del salario medio dei dipendenti Ford, Mercedes, Toyota e Volkswagen in altre parti del Brasile Il fatto è che i salari in quel paese, a differenza che in Italia, sono fortemente differenziati sul territorio a seconda delle condizioni del mercato del lavoro locale. Le tasse sono più basse. Si è detto dei contributi sociali. Le tasse sui redditi da lavoro sono attorno al 25 per cento più un9 per cento di contributi sociali. Dunque il cuneo fiscale sul lavoro è più basso che in Italia, ma non di molto. Le tasse sui profitti sono oggi attorno al 25% in Brasile, contro il 27,5% in Italia. Le rendite finanziarie sono tassate al 25 per cento contro il 12,5 per cento in Italia. Anche in questo caso non si vedono questi grandi vantaggi per Fiat. È più facile licenziare. Secondo gli indici dell’ Ocse i costi dei licenziamenti sono comparabili nei due paesi. Solo lievemente più bassi (di circa il 10 per cento) in Brasile, dove comunque non ci sono Casse Integrazioni Guadagni che alleggeriscono fortemente i costi di eventuali esuberi di personale. La produttività del lavoro è più alta. Questa è forse la spiegazione che si avvicina di più alla realtà. A Betim si producono circa 78 auto per dipendente contro le 53 di Melfi, le 37 di Termini Imerese, le 30 di Mirafiori, 24 di Cassino e le 7 di Pomigliano. Certo, i modelli prodotti in Italia sono spesso di gamma più alta, ma da notare che in Brasile il numero di auto per addetto è raddoppiato in dieci anni proprio mentre si passava a modelli di qualità superiore. Come n o t a A n d r e a G o l d s t e i n s u lavoce.info, un fattore importante in questi guadagni di produttività è stato il legame fra retribuzione e risultati che ha portato a distribuire ai lavoratori quasi il 50 per cento degli incrementi di produttività ottenuti dal 2000 in poi. Oggi fino al 20 per cento del salario di un operaio di Betim è legato a questa parte variabile del salario. Che è davvero variabile nel senso che può andare a sottrarsi alla parte fissa della retribuzione quando non si raggiungono i risultati prestabiliti. In Italia queste componenti della paga contano molto meno (attorno al 5 per cento) e possono solo aggiungersi alla retribuzione di base. Non è contemplata variabilità verso il basso. C’ è minore concorrenza in Brasile che in Italia. Stranamente nessuno sembra essersi interrogato a riguardo. Eppure è sicuramente un fattore importante. Spiega anche perché la Fiat non riesca a penetrare mercati molto più competitivi in paesi emergenti come la Cina e l’ India. Vero che tutte le grandi case automobilistiche sono ormai presenti in Brasile, ma la Fiat ha ancora un vantaggio legato al fatto di essere stata la prima impresa a investire massicciamente nel gigante sudamericano, un mercato dove le prime cinque imprese catturano quasi il 90 per cento del mercato contro il 50 per cento in Italia. È un problema di domanda. C’ è un limite alla capacità di esportare autovetture anche perchéi modelli vanno adattati alle diverse realtà locali. La Fiat in Italia produce per lo più per un mercato saturo come quello europeo. Vuol dire che può aumentare la produzione solo incrementando ulteriormente la propria quota di mercato. In Brasile può aumentare il fatturato anche perdendo quote di mercato in virtù della forte crescita della domanda in questo paese dove c’ è un’ automobile ogni 6 abitanti contro le due autovetture ogni tre abitanti dell’ Italia. Quali lezioni trarre dunque? Non è possibile competere con il Brasile in quanto a crescita del mercato potenziale. Se tornassimo a crescere, potremmo alimentare una domanda più ricca di automobili, probabilmente sempre più sicure e sofisticate (fattore considerato tuttora poco rilevante in Brasile, dove anche i nuovi modelli spesso non hanno l’ airbag), ma è bene che da noi non aumenti ulteriormente il rapporto fra automobili e abitanti, anche se Tremonti lo ha incluso tra i suoi indicatori di benessere. Marchionne probabilmente vorrebbe che anche in Italia ci fosse poca concorrenza, magari in virtù di ulteriori aiuti di Stato. Ma anche questo è un prezzo che non vogliamo certo pagare per trattenere Fiat in Italia. La bassa produttività è dovuta a impianti in parte obsoleti e mal utilizzati. Per indurre Fiat ad investire in nuovi macchinari è utile approvare al più presto una legge sulle rappresentanze sindacali. Perché chi investe ha bisogno di avere di fronte in azienda, e non solo a livello nazionale, interlocutori in grado di prendere impegni cogenti sul rispetto degli accordi raggiunti prima di attuare l’ investimento. La bassa produttività è anche dovuta a incentivi sbagliati. Anche per questo è utile che il sindacato prenda la palla al balzo dopo le promesse di Marchionne in Tv chiedendo ora alla Fiat di impegnarsi a trasferire ai lavoratori almeno la metà dei guadagni di produttività che verranno conseguiti, così come avvenuto in Brasile. Per farlo bisogna definire subito regole che leghino saldamente le retribuzioni ai risultati dell’ azienda. La bassa produttività è il vero problema del nostro paese. Ed è un problema che, per fortuna, può essere affrontato e da cui Fiat non può certo chiamarsi fuori. © RIPRODUZIONE RISERVATA – TITO BOERI


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