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La fine di una dinastia?

Creato il 08 giugno 2012 da Basketcaffe @basketcaffe

Ciò che è successo l’altra notte ha tutta l’aria di un classico passaggio di consegne. I giovani che superano i vecchi, gli allievi che sorpassano i maestri. Per Oklahoma City una vittoria che li consacra nell’olimpo delle contenders dopo una scalata ricca di significato, come ha fatto notare Gregg Popovich in conferenza stampa post partita: eliminati i Dallas Mavericks, campioni uscenti, i Los Angeles Lakers ed ora i San Antonio Spurs. Tre squadre, 10 degli ultimi 13 titoli NBA. Per San Antonio una sconfitta accettabile, dopo aver dato il massimo contro una squadra talentuosa e fin troppo atletica, e che sembra mettere la parola fine su una delle più grandi dinastie della storia dell’NBA.

Dall’anno da rookie di Tim Duncan, 4 titoli in 14 anni, sempre ai playoffs, sempre record vincenti, sempre nelle prime posizioni in regular season, gli Spurs hanno saputo rinnovarsi ed attraversare ere cestistiche diverse modificando roster e modo di giocare. Tanto per avere un’idea, nella stagione 97/98 il leader era l’ammiraglio David Robinson ed in squadra c’erano ben tre attuali allenatori NBA, Avery Johnson, Vinny Del Negro e Monty Williams. A distanza di tutti questi anni sono rimasti solo due superstiti di quella squadra, due sicuri Hall of Famer, Timmy Duncan e Gregg Popovich.

Certo, non è la prima volta che a fine stagione vengono bollati come finiti, pronti per una casa di riposo, ed ogni volta riescono ancora a stupire tutti l’anno successivo grazie alla magia nera di Pop ed alla longevità dei propri veterani. C’è chi dice che ci stupiranno ancora una volta, perché la leadership offensiva si è trasferita ad un più giovane Tony Parker, perché sanno sempre tirare fuori delle gemme dal draft (ma quest’anno hanno solo la penultima scelta del 2° giro) e perché… abbiamo già detto che Popovich pratica le arti oscure?

Non fatevi però ingannare, la finestra per gli Spurs si è chiusa ed il motivo è che un certo caraibico, ex promessa del nuoto, non riesce più a stare 40 minuti in campo e non ha più l’atletismo per difendere il ferro ed essere un fattore in attacco. Per quanto ne vogliano Ginobili, Parker e Popovich, Tim Duncan, da molti considerato l’ala grande più forte di sempre, è sempre stata la chiave delle vittorie degli speroni. Un giocatore capace di segnare a piacimento in attacco contro qualunque difensore ed allo stesso tempo di ancorare la difesa più forte dell’ultimo decennio. Come ha fatto notare Jonathan Tjarks, Duncan è stato probabilmente il giocatore più completo di una generazione d’oro di lunghi, più forte in post basso di Garnett e migliore in difesa di Shaq o di Nowitzki. Anche se un certo numero 23 ci ha fatto credere il contrario, il basket è un gioco in cui più alto sei e più sei capace di impattare il gioco, e non è un caso che, tolto appunto il suddetto signore, nella storia dell’NBA gli anelli sono stati vinti sotto canestro, da lunghi dominanti in attacco e/o in difesa. In ordine cronologico: Nowitzki/Chandler, Bynum/Gasol, Garnett, Duncan, Shaq, i Wallace, ancora Shaq e Duncan, Olajuwon, Kareem, Russell, etc. Le eccezioni sono pochissime. Quella vecchia volpe di Gregg Popovich conosce bene questa legge non scritta ed ha provato a sfidarla trasformando la sua squadra in una perfetta macchina offensiva, cercando di segnare più degli avversari sfruttando il tiro più efficiente della lega, la tripla dall’angolo. Come sappiamo adesso, questo non è bastato contro una squadra molto solida in difesa, con due lunghi come Perkins ed Ibaka che sanno proteggere il ferro ed una serie di giocatori perimetrali molto atletici, capaci di recuperare sulle rotazioni difensive.

Nicolas Batum indica - weeklyfantasysportal.com

L’età ha fatto la sua parte ed i minuti giocati dalle stelle delle due squadre sono emblematici: in 6 gare, 42 minuti di media per Durant (23 anni) e 38,5 per Westbrook (anche lui 23) mentre dall’altra parte solo 33 di Duncan (36), 29 di Ginobili (34). Solo il più giovane Parker (30 anni), è riuscito a stare in campo quasi quanto i giovani Thunder, con 37 minuti circa a partita. In una lega competitiva come l’NBA, 5/10 minuti in più in campo della tua stella fanno tutta la differenza del mondo.

Se questo fosse fantabasket, gli Spurs sarebbero una squadra da rifondare subito, quest’estate, sfruttando il contrattone ($21 milioni) in scadenza di Duncan, cercando di dare via quello di Stephen Jackson ($10 milioni) e ripartendo da scelte al draft e da giovani talenti. La realtà potrebbe non allontanarsi troppo dalla fantasia, con Duncan che se dovesse continuare a giocare, verrebbe rifirmato a cifre molto inferiori a quelle attuali, liberando spazio salariale. Inoltre sono anche in scadenza una serie di contratti fra cui Danny Green, Gary Neal, Diaw, Blair con una team option, che danno una certa flessibilità a Buford, senza scordare che gli Spurs hanno ancora a disposizione la clausola per amnestizzare uno dei loro contratti, cioè di tagliare e liberare dal salary cap il contratto di un giocatore pur continuandolo a pagare, ed in questo caso il principale indiziato è proprio Captain Jack ed i suoi 10 milioncini. Tutto questo spazio potrebbe essere usato per inseguire uno dei vari free agent disponibili ed a questo proposito è ben risaputa l’infatuazione che gli Spurs hanno per Nicolas Batum, restricted free agent dei Blazers, che potrebbe definitivamente esplodere l’anno prossimo. Ultimo dettaglio, quest’estate gli speroni potrebbero raccogliere i frutti ormai maturi di alcuni draft del passato. Nando De Colo (23esima scelta al 2° giro del draft 2009) dovrebbe approdare in Texas e ci sono buone probabilità che venga seguito da Erazem Lorbek (16esima scelta al 2° giro del draft del 2005!). I due giocatori seguirebbero le orme di Tiago Splitter, Beno Udrih, Manu Ginobili, tutte scommesse europee vinte dal front office degli Spurs (in questo, il migliore della lega), ma anche di Scola e Dragic, draftati e poi ceduti rispettivamente a Houston e Phoenix.

Ieri notte per Duncan e compagni si è chiusa la finestra per un ultimo anello, ma la capacità di prendere sempre la scelta giusta è merce più unica che rara fra gli uffici delle franchigie NBA, ed è per questo motivo che i San Antonio Spurs potrebbero ritrovarsi a lottare ai piani alti molto prima di quanto si pensi.


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