Che cos’è la follia? Una deviazione mentale che conduce alla rovina, un dono del cielo o pura e semplice maledizione?
Sei lettere che racchiudono un concetto infinito che ha scritto la Storia dell’umanità e guidato i migliori e i peggiori degli uomini attraverso i secoli, concedendo loro di aprire la strada a tutti gli altri. Non c’è progresso senza follia, senza quell’impulso istintivo di andare oltre il limite, di meditare di gettarsi nella gola pur tremando sull’orlo del precipizio, converrebbe Poe. Ma che cosa conserva in sé quel termine? Perché non si deve temere di definirlo “immensamente vasto”? Per un fatto molto semplice: qualunque gesto – anche minimo – l’uomo abbia compiuto e compirà nelle pieghe dei secoli vede nella follia il suo motore.
La follia è innanzitutto coraggio
È l’estremo ardore che lega indissolubilmente l’essere umano a un’ideale, talvolta determinandone la gloria, talvolta conducendolo all’altra sponda dello Stige. Santa Barbara ha voluto seguire la fede di sua madre e lo fece perinde ac cadaver. Una volta fuggita, viene recuperata dalle guardie dell’Impero e imprigionata per essere torturata e messa al rogo. Che la sua anima abbia raggiunto il paradiso o no, senza dubbio il suo corpo ha soggiornato all’inferno e ha lasciato il mondo bruciando tra le fiamme. Dove ha risieduto la forza che l’ha spinta a resistere? In un coraggio più folle dell’agonia del fuoco che ha infervorato gli animi di tutti i martiri e portato la Cristianità sul trono del Medioevo. Dall’audacia all’eroismo: Giovanna d’Arco ha lasciato la campagna per il campo di battaglia, guidando la Francia alla vittoria contro gli usurpatori inglesi, i quali – una volta avuta la giovane tra le mani – la condannano a bruciare dietro l’istanza di eresia. Lei non ha mai rinnegato i propri ideali, ha lasciato la casa paterna per seguire la voce del Dio in cui credeva, persuaso un re e condotto due eserciti, non badando alla difficoltà che la perseguita dalla nascita: l’essere donna. L’emancipazione femminile ha avuto inizio nelle cavità più recondite della Storia dell’umanità: è incominciata con Ipazia e la Pulzella d’Orléans, ha proseguito con Elisabetta I, Anne Bonny e Mary Read, fino agli albori del Novecento, che hanno visto Amelia Earhart sorvolare l’Atlantico e le suffragette conquistare prima l’Inghilterra, poi l’Europa.
Come qualunque arma dai mille volti, la Follia non ha saputo resistere dal mostrare al mondo il fascino inquietante del suo lato oscuro
Nerone brucia Roma ascoltando il crepitio del fuoco che invade l’Urbe mescolarsi alle grida dei cittadini, contemplandoli fuggire in una macabra estasi che riecheggia del suono angosciante della lira. Nei suoi occhi risplende lo stesso delirio che deturpa il volto dell’Inquisizione, mentre i suoi ambasciatori intonacati sollevano l’indice verso Dio e ordinano di legare un masso alla gola di centinaia di uomini e donne perché siano poi gettati nel fiume: se muoiono sono innocenti, se si salvano sono maghi o streghe e meritano di bruciare. Malvagi imperatori, forgiatori di macchine per la tortura, alchimisti, dissennati combattenti, papi corrotti, totalitaristi… molti si sono fatti portatori del fascio di una follia spietata e omicida. Questi eventi hanno sì portato a un regresso temporaneo della società, ma al contempo hanno determinato un impulso all’azione per altri uomini, che hanno visto nella loro attualità il momento più proficuo per elargire conoscenze e filosofie immortali, proponendo opposizioni e talvolta consacrando i loro studi e sacrificando la loro vita a un ideale più alto e follemente eterno. Anche dal seme di una follia maligna e disumana la Storia dell’umanità è riuscita a crescere in potenza. Si pensi a una delle accezioni più immediate del termine: la pazzia. L’Illuminismo – massima espressione dell’ingegno umano e proclamatore della superiorità dell’intelletto di fronte a qualsiasi altra forma di costrizione mentale, a partire dalla religione – conquista il Settecento.
“Il giardino dei Pazzi”, uno delle tante opere di Goya che rappresenta la Follia
Incredibilmente, è un documento innocente – anzi, liberatore – come i Diritti dell’Uomo e del Cittadino a leggere nella follia il sinonimo di deviazione, malattia mentale, maledizione da isolare che non si può combattere. Con un simile retaggio, tra i fumi della Rivoluzione Francese, Philippe Pinel trova una nuova gabbia in cui segregare i poveri malati lontano dai criminali: le case di cura. Così, nel cuore dell’Ottocento gli istituti di segregazione vengono chiusi perché i manicomi possano sorgere sulle loro ceneri. Niente di più inesorabile. Ci sono documentazioni e testimonianze scritte da chi ha visto uomini e donne aggirarsi per i corridoi sudici di una struttura più simile a un penitenziario che a un ospedale, da chi li ha sentiti gridare sotto i ferri dei “medici” in un supplizio infernale, avvolti in camicie di forza e sottoposti a tormenti che lo scrittore più scellerato stenterebbe a immaginare. Il sangue in quelle nicchie scorre al pari della paura attraverso i corpi dei pazienti là “detenuti”. Trattandosi di matti, tutto è concesso: qualunque patimento sarà stato soltanto immaginato. Dai manicomi vittoriani agli ospedali per l’accoglienza degli shell shock case al tramonto della Grande Guerra, fino alle camere degli orrori naziste, certamente la follia non ha saputo porsi limiti: ha ecceduto in tutto, qualunque forma l’uomo abbia desiderato farle assumere. Di nuovo, essa è stata maestra dell’uomo, insegnandogli a inventare un avvenire meno tetro: la Storia si è da sempre appoggiata alla follia per ammaestrare la mente umana, non facendosi scrupoli a versare parte del suo succo nella mente di qualche eletto, sottoforma di genio, perversione, valore o brutalità, per immolare quei corpi all’altare dei ricordi e far progredire quella pazza umanità, rammentando al mondo che nessuno nasce sano.
Chi è dunque il folle? Che cos’è il matto? Un assassino, un malato o un genio?
Tutte e tre le cose. Talvolta tutte e tre le cose insieme, e non solo questo. Qualunque folle è stato folle per la propria epoca, perché ha compiuto azioni o scritto versi che hanno meritato i roghi più famosi del mondo, il cui fumo è arrivato a sfiorare gli apici del XXI secolo, pervadendo ancora le nostre narici e le coscienze dei figli dell’Inquisizione. In pochi vantano la fama di “matti eterni”, così riconosciuti agli occhi di tutte le ere, qualunque cosa abbia visto la loro firma, che si siano macchiati di crimini efferati o che abbiano danzato sull’orlo di quell’abisso scavato nelle pagine di un libro dalla penna di un matto per eccellenza: Edgar Allan Poe. Che si tratti del padre del Giallo e del Noir o del contrabbando degli scritti lussuriosi del marchese De Sade la certezza è una sola: qualunque luogo la Veneranda Signora abbia calpestato porta i segni profondi della sua presenza, solchi in cui sono stati disseminati paura, coraggio, forza, determinazione, brama di vendetta, fantasia, ingegno, che si sono uniti nelle radici dei secoli e hanno fatto risorgere la pianta del progresso, qualunque fosse la loro precedente origine.
“Mi hanno chiamato folle; ma non è ancora chiaro se la follia sia o meno il grado più elevato dell’intelletto, se la maggior parte di ciò che è glorioso, se tutto ciò che è profondo non nasca da una malattia della mente, da stati di esaltazione della mente a spese dell’intelletto in generale”
– Edgar Allan Poe
Goya amava trattare il tema della Follia, la vedeva insita nella propria società
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