La fusione

Da Galadriel
[la storia antica quattordicesima parte]
Leo lasciò il diario aperto vicino al letto di Lelay e si ritirò nella sua stanza, sfinita, umiliata e delusa ma pronta a ricominciare a lottare per il figlio tanto amato. 
Lal era totalmente cambiata, l’amore per Lelay e il canale che si era creato fra loro era così potente, che ogni piccola sensazione che uno dei due provava, arrivava dritta all’altro.
Se Lelay era preda della bestia, Lal cadeva in uno stato di trance, quasi una malattia, il suo bel viso si trasfigurava, un sudore freddo le ricopriva la bella e sericea pelle, dolorosi spasmi le contraevano lo stomaco e, fra le sue sopracciglia disegnate come ali di un gabbiano, si formava una profonda fessura.
L’intesa con Lelay non aveva quasi nulla di umano, si parlavano con gli occhi, con la mente, con i profumi, con gli odori. Bastava il semplice pensiero e si trovavano nel loro nido.
Ma quella maledetta bestia, infida serpe, diabolicamente bastarda, concimava con veleno il giardino di Eden, la casa delle Esperidi che il loro amore aveva spontaneamente generato. Le crisi di Lelay erano violente, lui si trasfigurava, i suoi occhi emanavano una luce maligna, le sue parole pugnali taglienti che trafiggevano la gentile anima di Lal, che ne ebbe paura e orrore.Ma l’amore di Lal era più forte, forte come la morte, capace di combattere quella bestia infernale che si prendeva il suo Lelay, e lei non glielo avrebbe ceduto mai, la sua ostinazione era più forte, era una guerriera, arrendersi significava morire e non ne aveva intenzione alcuna.
Ma prima di agire, si recò dal Baba, all’interno della foresta, tra gli alberi di bambù, che sussurravano al vento, dove il teak e il sandalo spandevano il loro profumo, e l’ebano le faceva pensare ai corvini ricci di Lelay. In quella solitudine meditativa, aiutata dal Baba, raccolse le energie, alimentò l’intenzione, e dopo alcuni giorni tornò presso la dimora paterna.
Lelay aveva vissuto quei giorni nella più cupa disperazione per la sua assenza, e appena seppe del suo ritorno chiese di vederla. Era l’occasione che Lal attendeva.
Lo attese nel luogo più sacro che conoscesse, all’ombra del maestoso albero di Bodhi, sul cui tronco era stato scolpito il radioso viso di Buddha.
Lelay le corse incontro, i lineamenti contratti per l’emozione mista all’angoscia di quell’attesa, la strinse, in quell’abbraccio forte e potente in cui Lal si perdeva completamente, e nel quale tutti i suoi sensi trovavano appagamento.
Lelay le prese il viso, la guardò come per imprimersi bene nella mente ogni suo lineamento, Lal gli sorrideva felice.
Non ci furono parole, furono solo sensi, sprazzi di immagini dei loro corpi frementi di desiderio, di abiti leggeri che come morbide foglie, cadevano sul manto erboso, mani avide esploravano la pelle rorida, le labbra si socchiudevano, le braccia, liane che si avvolgevano sulle loro membra, il loro respiro si mischiava.
Lal si lasciò completamente andare, e Lelay fu dentro di lei. Le loro anime si fusero, come i loro corpi che divennero un solo unico essere, la cui parte eterea li portò in una dimensione sottile, e lì, la loro unione si completò. Quel loro fondersi non era solo il piacere effimero della carne, no, era il piacere sublime di un orgasmo mentale, di un totale perdersi nell’altro.
Al di là dell’umana materialità essi si spinsero fin quasi al totale abbandono corporeo, in una unica fusione che sigillò per sempre il loro legame. Ne furono consapevoli senza bisogno di parole, inutili strumenti della logica percezione del razionale.
Non si sarebbero divisi mai più, essi si appartenevano, da sempre e per sempre, qualunque evento il destino avesse avuto in serbo per loro, insieme per la vita o da essa divisi, non si sarebbero mai separati, fino alla fine dei giorni.

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