Magazine Cucina
Franca Levo Calvi vive a Savona, pur passando lunghi periodi in campagna vicino al lago di Osiglia. Dopo la laurea in filosofia e la specializzazione in biblioteconomia, decide, quarantenne, di lasciare prima il lavoro amministrativo, poi l’insegnamento, dedicandosi alle sue passioni, tra le quali anche la scrittura. “Istintiva, troppo sensibile, cerca di mantenere, proprio tramite lo scrivere, un equilibrio instabile in una società che non le è consona, e di cui cerca di mettere in luce gli aspetti contrastanti. Fatalista, fa dell’ironia e del sentimento armi per comunicare con chi la legge e con chi le è accanto. Condivide la vita con Mauro, coniuge accondiscendente, la figlia Giulia, ventenne immersa nel suo mondo tecnologico- virtuale, e con l’amatissimo gatto Leonardo”.
Per il concorso letterario di Villa Petriolo 2010 “La gaia mensa” scrive il racconto “Una serata speciale”.
Racconto “Una serata speciale” di Franca Levo Calvi
L’uomo, coperto da uno strato di maglioni scoloriti e da un pastrano lungo e logoro, camminava, stringendosi al petto un sacchetto di carta, come fosse la cosa più preziosa al mondo.
Rabbrividendo di freddo, impugnò più forte il collo della bottiglia che fuoriusciva dal pacco, sorridendo.
Da quanto tempo era che non assaggiava un sorso di vino come si deve, DOC gli aveva detto il proprietario del negozio dei vini, mostrandogli l’etichetta.
“Vede questo Nebbiolo, guardi, guardi bene. Il padre di tutti i vini lo chiamano e a ragione. Solo uve di altissima qualità, che danno un buon equilibrio tra colore, corpo, acidità, aromi, robustezza alcolica. Ha fatto un’ ottima scelta! .”
Sembrava non rendersi conto di quanto distante fosse il suo accalorato e professionale discorso e anche incomprensibile per l’uomo dai panni logori che stava davanti a lui, silenzioso.
Il Neto, così era chiamato dagli altri vagabondi del quartiere, guardava infatti solo la bottiglia e non sentiva le parole appassionate del venditore, perso in un ricordo che andava oltre le bottiglie eleganti del negozio, andava ad un altro tempo.
Andava ad un vino fatto da generazioni dei suoi. Un vino senza nome né marchio, che riempiva di calore le notti d’inverno, su nella cascina. Un vino che era stato pestato in allegria da ragazzi e ragazze ridendo, si ricordava bene quelle risa, ancora adesso , e quel profumo forte.
Neto si riscosse all’entrare di un cliente e, con quel suo fare un po’ da orso, mise sul tavolo i venti euro richiesti e tese la mano. “Niente pacchetto, lo voglio così.” disse con tono deciso.
Abbracciato al suo bottino, l’uomo ripensava a quanto avesse speso per del semplice vino, ma a sentire il vinaio sembrava avesse acquistato un tesoro! Meglio, perché altrimenti quei venti euro se li sarebbe giocati tutti ai dadi, nel bar di Valerio.
No, aveva fatto bene, quella serata speciale se l’era meritata: aveva aiutato un suo vecchio amico a sgombrare una soffitta, mai lavorato così tanto e allora il padrone di casa gli aveva messo in mano la banconota da venti euro, sorprendendolo. Dopo un “grazie” borbottato piano, aveva salutato l’amico, e aveva camminato in quelle vie eleganti che gli facevano un po’ rabbia e un po’ soggezione ed era finito davanti ad un negozio dove sembrava vendessero oro, mentre erano bottiglie di vino avvolte in carta dai mille colori con lucette che si spegnevano e si accendevano. Era entrato e adesso così aveva il suo vino, il suo compagno in quella sera di vigilia di Natale.
Lasciato velocemente il centro, si diresse verso la sua dimora, non vedeva l’ora di stappare quella meraviglia e farsene subito una bella sorsata.
Ma, guardando avanti, passato l’angolo che lo allontanava dal centro, dalle luci, dalla gente, si sorprese a vedere una piccola luce dietro i vetri della casa diroccata in cui aveva trovato riparo qualche mese prima.
Ma cosa poteva essere? Con una espressione torva pensò che solo qualche altro vagabondo come lui poteva essersi rifugiato in quella topaia, magari pensando di trovarci qualcosa da mangiare, forse da rubare.
Neto si affrettò verso la casa e dalla finestrina guardò al’interno: infagottato in un giaccone più grande di lui, un vecchio era accosciato a gambe incrociate tentando di accendere un moccolo di candela, ma troppo era il tremito delle mani. La donna accucciata al suo fianco rideva e togliendoli di mano i fiammiferi riuscì ad accendere il cero.
Il barbone esitò. Cosa ci facevano lì quei due? E adesso cosa doveva fare? Entrare e farli sloggiare o passare la notte della Vigilia con loro?
Spinse l’uscio e i cardini arrugginiti cigolarono.
Il vecchio e la donna sollevarono la testa di scatto.
“Chi siete? Che ci fate a casa mia?” li apostrofò senza preamboli con quel suo vocione da baritono.
Subito la donna si alzò e guardandolo fisso con due occhi stranamente luminosi, esclamò: “Tua? Scusa ma non pensavamo fosse abitata, siamo entrati per ripararci dal freddo e..”
Senza lasciarla terminare, Neto appoggiò con forza la bottiglia sul tavolino, facendolo traballare. “E invece qui ci sto io, il Neto, e nessun altro, se non voglio io!”.
Il vecchio e la donna si guardarono e anche l’uomo si alzò, il viso spaventato. La donna però non si fece intimorire e avvicinandosi all’uomo e abbassando la voce gli chiese se poteva fare a loro il favore di farli rimanere, almeno per quella notte così fredda, quando tutti erano nelle loro case, al caldo, a mangiare e fare festa, mentre loro venivano da lontano, avevano camminato tutto il giorno e, indicando il vecchio tremante, gli confessò che il padre non stava bene e ….”. Neto quasi non ascoltava più, immobile, colto di sorpresa e nello stesso tempo attirato da quella donna che si rivolgeva a lui chiedendo, pregandolo quasi, di non cacciarli.
.“Basta, mi avete già seccato. -la interruppe- Ma solo per stanotte, eh? Non fate i furbi, che io li so mettere a posto quelli che mi vogliono imbrogliare!”
Un sorriso si dipinse sui volti dei due , e la donna gli afferrò una mano stringendola forte mormorando un “grazie” sottovoce, un poco accorato.
Fu facile poi mettere sul tavolo tutto ciò che possedevano per la cena della Vigilia: non era molto, ma tra due pani e un salamino e la bottiglia di vino Nebbiolo faceva bella mostra di sè un Babbo Natale di cioccolata, che avevano dato loro quelli del centro di accoglienza.
La bottiglia fu la prima ad essere stappata e, una sorsata per uno, degustata: fu allora che Neto ricordò le parole di lode del commerciante e sentì veramente scendere nel corpo un vivace calore.
E guardando i suoi compagni si rese conto che anche loro lo stavano gustando, con un brillio negli occhi, e fu contento di aver deciso di dividerla con loro, in quella sera di Vigilia che si era trasformata in una serata davvero di festa.
Ben presto anche il freddo si fece sentire meno e fra i tre l’atmosfera divenne come quella di amici che si rivedevano dopo tanto tempo e rievocano le memorie passate.
E così si incrociarono i racconti delle loro serate di vigilia da bambini, in campagna, serate fatte di povere cose, ma indimenticabili.
Mentre raccontava il vecchio Biagio sorrideva e, mettendosi in piedi, mostrò il paio di scarponcini che gli erano stati dati, quasi nuovi, con le stringhe in pelle :“Non ho mai avuto scarpe così, ma ti dico una cosa: le altre non le ho buttate, me le porto dietro, non si sa mai!” e tutti e tre scoppiarono a ridere, per mandar via la malinconia.
La bottiglia di Nebbiolo finì così divisa fra loro mentre il vecchio Biagio iniziò a raccontare dei giorni di Natale in campagna, quelli della sua infanzia, sei tra fratelli e sorelle, tutti in una stanza. Vicino c’era la stalla dei pochi animali che tenevano per il latte e le uova.
” Contadini si nasce” proferì solennemente e a quelle parole a Neto si inumidirono gli occhi. Era proprio così, ben lo sapeva lui, che fra le colline di Boscorosso aveva passato l’infanzia a lavorare con il padre quella terra dura, a raccogliere mele, a ripulire le pochi viti che però davano un vino rosso che pure da lontano, da Vadago, da Gimona, venivano a comprare.
Fu così, fra racconti del passato e della loro giovinezza, che vennero alla memoria i pochi ma attesi doni che per Natale erano messi vicino al camino, almeno per i più piccoli: un cavalluccio di legno, una bambola di pezza, una cerbottana, il dono più ambito dai ragazzini.
Lui era il terzo di cinque maschi e ricordava bene quando aveva scoperto la mamma sgusciare lesta con qualche pacchetto ancora in mano: si erano guardati e a Neto era venuto da piangere: “Ma per poco, era una favola per i miei fratelli piccoli” aveva aggiunto, con la voce divenuta più roca..
Era così assorbito dai ricordi che non si era accorto che Biagio e la figlia avevano tirato fuori dalle tasche dei loro logori cappotti due pacchetti , che avevano messo sul tavolo: “Noi ancora adesso ci facciamo i regali, altrimenti non è Natale!” affermò il vecchio con la voce che tremava, così come tremavano le sue mani mentre li porgeva a Neto, che un poco imbarazzato li aprì. Ne uscì un sacchetto di noccioline allo zucchero e un mandarino.
“Eh, è stata dura non mangiarli, ma ne valeva la pena, eh, lo abbiamo potuto dare a te che sei stato così ospitale e a fare festa con noi e poi permetterci anche di dormire qui, con te”. Neto non parlava, ma teneva i doni nelle mani, mentre la commozione stava per sopraffarlo ed allora fece finta di aver bisogno di uscire, perché non si accorgessero che lui, sempre rozzo e prepotente, stava piangendo.
Rientrato, le parole non servirono più: raccolsero tutte le coperte e gli abiti che c’erano, spostarono il tavolino e la panchetta e si accoccolarono vicini vicini, per tenersi caldo più che potevano. Al finire della luce delle candele, si addormentarono.
La notte li avvolse, mentre la scia di una stella cadente passava sopra di loro.
Neto, vuoi per il calore vuoi per le due dita di vino in più, dormì sodo fino a tardi, molto più del solito. Aperti gli occhi si alzò a sedere in mezzo a vecchi abiti e coperte
Era solo.
Ma aveva davvero dormito così a lungo, ed insieme a quei due vagabondi?
“ Ecco che se la sono svignata portandosi magari via i resti della cena .” pensò.
Poi si alzò, si strofinò gli occhi e guardò fuori: una splendida giornata di sole e un cielo terso, senza nubi. Ma sussultò quando il suo sguardo si posò sulla panchetta di lato al tavolino: vi erano appoggiati lustri e rilucenti un paio di scarponi con le stringhe di pelle.
Biagio, gli scarponi nuovi di Biagio. D’un lampo fu alla porta , la spalancò, corse fuori guardandosi all’intorno, ma non vi era nessuno.
E allora capì che non serviva vi fosse qualcuno perché tutto era già stato ed era stato bello così, lasciandogli in ricordo non solo gli scarponi lucenti con le stringhe di pelle.
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