Tante volte ho scritto in questi ultimi mesi di Europa, spread, bolla speculativa, Grecia in default, Italia sotto scacco, e ogni volta ho messo al centro dei nostri guai le potenti oligarchie speculative e la Germania. E badate, certe cose non sono dette così, tanto per dire. Tanti sono gli indizi che lo fanno pensare. Persino Visco lo ammette: l’Italia è entrata nell’euro spinta dai tedeschi. E perché? Perché loro desideravano un euro deboluccio per poter mantenere — se non proprio incrementare — il loro export, altrimenti demolito da un’Italia rimasta fuori dall’Euro. Prodi aggiunge infine che la Germania dall’Euro ha avuto tutto da guadagnarci.
Dunque è stata una strategia? Probabile. E siccome siamo nel campo delle opinioni, dico di più: se è stata tale, è stata una strategia premeditata all’indomani dell’unificazione tedesca, quando la Germania dell’ovest dovette farsi carico del relitto dell’est. All’epoca i tedeschi si ritrovarono con la parte orientale della loro nazione economicamente distrutta e i ricchi dell’ovest (soprattutto le banche) dovettero metterci oltre che l’anima tanti, anzi tantissimi soldi per poter riavviare il motore economico dell’est.
Fu allora — credo — che i tedeschi accelerarono per l’integrazione europea (anche in ragione di un disegno più grande che andava ben oltre). Del resto il trattato di Maastricht fu siglato proprio nel 1992, e cioè a un anno di distanza dalla riunificazione sotto la leadership di Helmut Kohl. Ed è da quel momento che parte il processo che avrebbe portato mezza Europa a integrarsi attraverso la moneta unica (l’Euro), sotto la spinta e l’egida di molte potenti lobbies speculative e bancarie.
Il sospetto che i tedeschi abbiano dunque approfittato della situazione e fatto pagare i costi della riunificazione della loro nazione all’intera Europa è un sospetto che si avvicina alla realtà. Altrimenti non si spiega il perché l’Italia venne fatta entrare fin dal primo giorno, nonostante i suoi conti pubblici e il suo debito pubblico, secondo i parametri di Maastricht, fossero ben lontani dai paletti fissati dallo stesso trattato. E altrimenti non spiega perché di lì a qualche anno anche la Grecia venne fatta entrare nel club, nonostante la sua evidente debolezza economica e finanziaria. Certo, i greci truccarono i conti per entrare, ma siamo sicuri che i tedeschi, così perfettini, così rigorosi e attenti pure ai dettagli, non se ne fossero accorti?
La verità è che probabilmente se ne accorsero ma fecero finta di nulla. Un altro pollo da spennare era entrato nel pollaio. Male che fosse andata, i greci, come gli italiani, sarebbero fuoriusciti dall’euro con le ossa rotte (come qualcuno — del resto — prospetta proprio oggi). Intanto però, negli anni dell’unificazione sia l’Italia che la Grecia (ma anche l’Irlanda, il Portogallo e la Spagna) hanno contribuito (e non poco) a rendere l’euro quel tanto debole da favorire l’industria e il commercio tedesco, esaurendo nel contempo la loro spinta economica. È indubbio che a questo risultato hanno contribuito pure i paesi dell’Est, come la Polonia e la Romania, ma è chiaro che l’ingresso nell’UE di queste nazioni ha danneggiato soprattutto i paesi del Mediterraneo, non certo la Germania che in questi anni è solo cresciuta, quando il resto dell’Europa della zona euro precipitava nel buio della crisi economico-finanziaria.
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Ora però è necessario conciliare questa ricostruzione con l’idea che l’Europa sia in verità un sistema gestito da un potere finanziario sovranazionale con lo scopo di trasformare il vecchio continente in un superstato dominato da una ristretta oligarchia attraverso un sistema falsamente democratico che possa concorrere con il rampante oriente ad armi pari. La realtà è che le due cose possono convivere (e forse sono interdipendenti). La Germania infatti rappresenta il giusto modello sociale ed economico al quale ispirarsi e sul quale realizzare nel tempo il progetto. È un paese rigoroso, poco incline alla fantasia, non caldo, e capace di utilizzare le risorse che ha a disposizione come pochi. È un paese ambizioso e ha bisogno di espandersi politicamente ed economicamente nel continente (ricordiamo il Nazismo) per procacciarsi nuove risorse. Quale modello migliore, dunque, per chi intende costruire una nuova Europa?
Insomma, per quanto il desiderio ci porti a dare una visione democratica e libera dell’Europa, dove l’interesse pare essere quello dei cittadini europei, ogni atto, ogni comportamento delle istituzioni europee e tedesche, inducono a ritenere che in verità ci sia ben altro dietro. Poi qui la fantasia si scatena, e ognuno la pensa un po’ come vuole tra club Bilderberg e Trilateral Commission. Quello che è certo è che suonano eloquenti le parole di Jaques Attali: «Ma cosa crede, la plebaglia europea: che l’euro l’abbiamo creato per la loro felicità?» Come dargli torto?
di Martino © 2012 Il Jester