Salvatore Camilleri ha fatto convergere nella poesia siciliana, vita, sogni ed interessi trasformandola in un reale modo di vivere la vita
Catania non è soltanto una città di scontri e di omicidi è essenzialmente una città d’arte che ha dato i natali a personaggi che – tratteggiando i caratteri poetici e culturali della loro terra – sono penetrati nel tessuto ostico del classicismo. Tra di loro Salvatore Camilleri è riuscito a riscattare, nei contenuti e nella forma, la poesia siciliana donando lustro e dignità ad un linguaggio che altrimenti sarebbe rimasto estraneo e relegato ai margini della cultura dominante.
Letterato catanese, esponente principale del Trinacrismo formato da un gruppo di giovani poeti siciliani del secondo dopoguerra, pubblicò in quella difficile epoca la rivista La Strigghia. Inizia in tal modo la sua esperienza giornalistica che lo condurrà, successivamente, a collaborare con il Corriere di Sicilia rivalutando in quel contesto i poeti siciliani del cinquecento e del seicento. Ma altre note riviste di poesia siciliana accolgono i suoi scritti prima di trasferirsi a Vicenza, dove pubblica l’Antologia del sonetto siciliano. Dopo dieci anni torna a Catania e divulga un libro di ortografia siciliana ed un’antologia di poeti contemporanei
Con un’incisiva analisi stilistico-linguistica riesce ad estrapolare dalla poesia l’essenza di un popolo e della terra di Sicilia, cardini essenziali che forgiano la sua vita e nel contempo segnano “La rinascita della poesia siciliana” riassunta e trasferita in un saggio carico di sfumature e di struggente intensità dialettica.
Per molti anni Camilleri, impegnato in un difficile lavoro di ricerca di “ripulitura” del dialetto siciliano per riportarlo ai valori di una vera lingua, trova nella poesia l’unica verità possibile che possa ristrutturare le parole di un italiano che si va ormai cristallizzando. Scopre nell’idioma dialettale ampie zone inesplorate che possono condurre ad un linguaggio nuovo e profondamente siciliano, ma non solo rivaluta le radici insite in ogni dialetto decodificandolo come iniziale espressione della comunicazione. Ed anche se le sue idee si fanno spazio lentamente, focalizzano l’attenzione sulla perdita di sensibilità artistica nel momento in cui “non ci si sofferma a contemplare la bellezza del suono” che il linguaggio dialettale produce con la sua primitiva autenticità.
E’ per questo che nella poesia di Salvatore Camilleri esiste la forza di un rinnovamento poetico quando, ad esempio, descrive la flora con termini quali l‘airuni cinnirusu o l’aciddazzu varbutu e la fauna dell’isola amata decantando calippìsi e durbi, giummari e pigni narini, carrubbi e ervajanca, perché non emargina il linguaggio poetico ma alimenta coloro che lo abitano, e quelli che lo ascoltano traggono da esso emozioni ancestrali riconducibili agli archetipi della natura umana spesso schiacciata dalla formalità linguistica.