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Di Pierfranco Bruni La Grande Guerra fa discutere. Un dibattito aperto non solo sul ruolo degli Interventismi e sulla funzione dei neutralisti o anche sulla "voce" di chi ha disertato portando nella discussione un contributo sul concetto di "anarchia". Ma un fatto è certo. La Grande Guerra è stata un evento. Un "grande" evento che ha coinvolto, nella prima fase, Nazioni a limitare dei confini italiani, e negli anni successivi l'intera Europa e il mondo trasformandolo nelle sue geografie e nei suoi assetti geopolitici. Ho sempre sostenuto che quel Risorgimento incompiuto o indefinito o non voluto ha fatto da premessa politica e culturale ad una nuova Guerra che poteva essere chiamata Quarta di Indipendenza. Il 1911 segna una "introduzione" a ciò che è stato il rapporto turco europeo nordafricano. Il conflitto in Cirenaica e in Tripolitania, ovvero nella geografia della Libia con l'intraprendenza strabica di Giolitti, costituisce l'elemento centrale ad una discussione politico militare culturale che si trasformerà soltanto con le Leggi Fasciste del 1925, con un Mussolini che detta le regole nonostante l'ingombrante questione tragica Matteotti. Il dibattito continua, appunto, anche durante le giornate di Fiume con uno scrittore comandante come D'Annunzio e la lettura imponente della Carta del Carnaro e anche con le inconcludenti settimane rosse. La Grande Guerra continua sostanzialmente un Risorgimento mancato nel tempo del Risorgimento in cammino ponendosi una questione che era quella della Identità Nazionale. Una questione che era stata posta addirittura da Giovanni Pascoli con il suo acclamato discorso tenuto a Barga nel novembre del 1911, nel quale si inneggiava alla occupazione dell'Africa del Nord per dare un posto al sole all'Italia Mediterranea. Discorso che verrà ripreso da Mussolini negli anni Trenta. La Grande Guerra continua ciò che il Risorgimento non aveva risolto: il passaggio da una visione di Patria ad una di Nazione al centro della Europa e dal centro dell'Europa a fulcro di un Mediterraneo tra le Nazioni dell'Oriente e le Economie delle Nazioni di tutto l'Occidente. Grande Evento dunque. Ora si apre un discernere che ha qualcosa di banale pur in una Memoria, condivisa o meno, che ha disegnato la storia del mondo nonostante la Seconda Guerra Mondiale. Questo discernere riguarda il concetto di "celebrazione" o soltanto di "ricordo"? Una cesellatura forte, senza più trascinare oltre, in merito fa fatta. Un eroe che muore in guerra, quando lo si ricorda, non si fa altro che celebrare il suo martirio e le sue azioni. Ma gli eroi, i martiri, i trinceristi, i frontisti li celebriamo per il loro comportamento e per l'amor di Patria oltre al fatto che si sono immolati per difendere la Patria. Ma la Grande Guerra cosa è stata? Non è stata forse una guerra al suono delle baionette tricolori, per l'Italia, per difendere la tradizione di un Popolo di una Civiltà di una Cultura? Gli Ungaretti, i Serra, gli Amendola, i Salvemini, il Mussolini socialista, il Gadda prima Fascista e poi antifascista, i Boccioni che non arriva al Fascismo come Renato Serra, gli Slataper, gli Stuparic, gli Alvaro di "Poesie in grigioverde"... vanno celebrati o meno o vanno solo ricordati? Smettiamola con questa farsa del celebrare o del ricordare un evento al quale ha partecipato una Nazione intera. Il Centenario della Grande Guerra è una Celebrazione sia sul piano militare che su quello culturale che metafilosofico del concetto stesso. E va celebrato a tutti gli effetti con i processi storici vissuti dalla griglia degli intellettuali interventisti. Perché tutti furono interventisti! Il ricordo si perde. Le celebrazioni sono eventi in un processo in cui la memoria assume il senso di un tempo non misurabile, ma universale. Imposto qui un dire filosofico. Ma una Guerra che ha reso Nazione e Patria un popolo non può essere soltanto un mero ricordare. Ed essendo un fatto solenne non usando il concetto di celebrazione significa non dare valore non solo alle azioni ma anche alle personalità. Le poesie di Ungaretti sulla Grande Guerra sono poesie del ricordo? O un soldato eroe che volontariamente va in guerra? È semplicemente banale sostenere e insistere sul ricordare. Una Nazione che difende la propria identità non è un ricordo. Ha la sua solennità. E allora perché si celebra la Resistenza? Non è stata una guerra civile? Anzi è molto piú grave e volgare usare il concetto di celebrazione in un tempo che spacca gli italiani e l'Italia in una guerra che è stata definita addirittura "civile". Può esistere una guerra civile? L'ignoranza è il vizio di una di cultura nella imbecillità delle ideologie. Cosa è stata allora l'Unita' d'Italia? Andava celebrata o soltanto ricordata? Quanti morti in quel Regno di Napoli... Già, ma fa gioco... Abbiamo eretto monumenti alla Grande Guerra in tutte le città. Abbiamo sparso monumenti agli eroi, ai militari, ai civili, ai martiri e abbiamo timore, oggi, di usare il concetto di Celebrazione? Bisogna essere nella storia per vivere la storia e non usare parole di vento senza senso... La Guerra di Troia di Sparta e anche la Rivoluzione bolscevica del 1917 sono considerate, nelle ricorrenze, celebrazioni. Così come è stata considerata celebrazione la sanguinosa e giacobina ghigliottinara relativista Rivoluzione Francese... La Grande Guerra è soltanto un ricordo? Certo, l'ignoranza è lunga a spegnersi... Ma Benito Mussolini quando diventa interventista non è Fascista. Lo si considera o no questo fatto? È il socialista Mussolini che è interventista. È un ardente interventista Socialista... Fonderà i Fasci soltanto nel 1919. La Grande Guerra va celebrata e non ricordata perché è quel Destino che restituisce al Risorgimento mancato l'idea di Patria di Nazione di Identità Nazionale. La Grande Guerra va Celebrata per i suoi martiri per i suoi eroi per i suoi combattenti per tutti coloro che l'hanno vissuta con onore dignità e sacrificio. Sul filo del Piave le acque mormorano ancora... La dignità il coraggio l'orgoglio di Patria devono farci Celebrate una Nazione...
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