La hot line del presidente
Creato il 20 luglio 2012 da Bagaidecomm
@BagaideComm
Il caldo, si sa, può dare alla testa. A quanto pare anche l’anticiclone Minosse ha fatto qualche vittima e nel conto, purtroppo, rientra pure il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Questa almeno è l’unica ipotesi che mi viene in mente per giustificare, senza mettere in dubbio la buona fede del Capo dello Stato, la sua ultima uscita: sollevare, davanti alla Corte Costituzionale, il conflitto di attribuzioni contro la Procura di Palermo. Decisione presa di comune accordo con il super consigliere giuridico del Quirinale, un tale Loris D’Ambrosio, in seguito ai risvolti nell’inchiesta sulla trattativa tra Stato e Mafia. Le prerogative del Presidente sarebbero state violate dalla mancata distruzione di alcune intercettazione telefoniche che coinvolgono lo stesso Napolitano. Per la cronaca, ad essere intercettato era Nicola Mancino, un uomo con un curriculum di tutto rispetto: ex Presidente del Senato, ex Ministro dell’ Interno, ex Vicepresidente del C.S.M. e, dulcis in fundo, indagato per falsa testimonianza proprio al processo che riguarda la famosa (e, soprattutto, certa) trattativa. Non voglio entrare nel merito della vicenda perché ci sono degli organi che dovranno stabilire cosa e giusto e cosa e sbagliato e perché, sinceramente, anche un bambino di 5 anni sarebbe in grado di capire qual è la verità. Ciò che invece mi sembra opportuno sottolineare è il gran caos che sorge ogni qualvolta vi siano in ballo delle intercettazione telefoniche. Al di là del fatto che la fattispecie è regolata dalla Legge e che uno studio effettuato da una commissione nominata dal nostro Parlamento ha stabilito che l’ordinamento italiano risulta essere quello che meglio disciplina il tutto, ritengo che vi sia un problema logico di cui nessuno si occupa. Partendo dal presupposto che le persone oneste non hanno nulla di cui vergognarsi, sarei curioso di capire il motivo dell’agitazione di Napolitano. Se, come è obbligatorio supporre fino a quando non verrà dimostrato il contrario, il Presidente non ha niente da nascondere, dovrebbe lui per primo chiedere alla Procura di Palermo (se non ci fosse il limite del Codice di Procedura Penale) di poter render pubbliche le tanto discusse telefonate in modo tale da fugare ogni dubbio. Più in generale, chi decide (come i politici) di fare vita pubblica si sottopone ad un controllo molto più stringente di quello a cui è sottoposto un normale cittadino (“Il diritto della stampa di informare su indagini in corso e quello del pubblico di ricevere notizie su inchieste scottanti prevalgono sulle esigenze di segretezza.” Corte Europea dei Diritti dell’ Uomo, 7/06/2007). Molto più cinicamente, è ovvio che chiunque, in quanto elettore e contribuente, ha il diritto di sapere se il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio ha rapporti molto stretti con squallidi faccendieri, o di sapere se il Presidente del Consiglio passa le notti precedenti ai vertici europei in compagnia di signorine di dubbia fama o di sapere se il Capo dello Stato si attiva per tutelare i diritti di un indagato in misura maggiore di quanto già non faccia la Legge. Bisogna poi considerare che la responsabilità politica è ben diversa dalla responsabilità penale. E’ quindi chiaro che un politico possa essere chiamato a rispondere del suo operato (in questo caso ricostruibile da documenti legittimamente raccolti) anche laddove non vi siano ipotesi di reato. E se, come sistematicamente accade, chi ricopre cariche pubbliche viene pizzicato a parlare con degli indagati (o peggio, con dei condannati) di questioni di una certa rilevanza (e se permettete, la trattativa non è proprio una cosa da nulla), non vedo perché chi, attraverso il proprio voto, ha permesso loro (in via più o meno diretta) di accedere a certe uffici non debba, qualora sia possibile e legittimo, esserne informato.
Carlo Battistessa
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