Quanto costa un titolo di studio e, vale ancora la pena laurearsi? Il lungo percorso formativo è ancora un valido aiuto per il mercato del Lavoro? Sono le domande a cui la redazione di Fuori Tg in onda su Rai3 tenta di dare risposte.
L’università è un malato terminale ma, considerarla solo un pezzo di carta è riduttivo. Gli italiani continuano ad amare molto la cara, vecchia, rassicurante laurea. La stragrande maggioranza pensa che “l’obbligo di possedere uno specifico titolo di studio per poter esercitare una determinata professione” sia una garanzia maggiore. Insomma, il valore legale della laurea rappresenta ancora una certezza per chi si affaccia sul nostro difficilissimo mercato del lavoro. Lo dimostra, il risultato del sondaggio proposto dal Ministero dell’Istruzione per sondare il parere degli italiani riguardo all’importanza del valore legale del titolo di studio che ha raggiunto il 75%, di favorevoli del riconoscimento del valore l
egale della laurea. Esperimento-pilota e nuovissima forma di confronto, voluto dal ministro dell’Istruzione Francesco Profumo e fortemente contestato dagli studenti che sono tornati in piazza per gridare il loro “no” ad una eventuale abolizione per l’accesso ad alcune professioni e alle carriere nella pubblica amministrazione, adottando come simbolo della protesta, un rotolo di carta igienica. A significare che “il titolo di studio non può essere carta straccia”, spiegano gli studenti.Il sondaggio online sul valore legale della laurea, se debba cioè valere come condizione si ne qua non per esercitare le professioni, ha dimostrato che tre italiani su quattro non vogliono rinunciare al “pezzo di carta”.
Un sondaggio che vede schierati da una parte i conservatori che non intendono mettere in discussione il titolo di studio quale unica garanzia per continuare gli studi stessi, per essere ammessi agli esami di Stato, per esercitare una professione e essere iscritti a un Albo. Dall’altra i riformatori, che partendo da un principio libertario e utilitaristico, negano allo Stato il ruolo di unico certificatore di competenze utili alle professioni, rivendicando il valore della pratica e dell’esperienza individuale. Nella consultazione il nostro governo ha voluto domandarsi se siano richiesti titoli non necessari o troppo specifici per l’accesso ad alcune professioni e come sia possibile ripesare titoli e voti di laurea assegnati in contesti diversi e quindi non paragonabili. Più in generale, ci si chiede se il titolo di studio sia un’effettiva garanzia di qualità e se non sia possibile trovare un sistema che incentivi le università a diversificare l’offerta formativa e creare un mercato competitivo.
La laurea è un requisito essenziale ma, il rischio è quello di dare peso all’ateneo di provenienza e non alla laurea, fatto che incentiva la competitività e la discriminazione. L’università dovrebbe essere accessibile a tutti. Di fatto alcuni atenei sono diversi per qualità formativa, soprattutto quelli privati, e questo diventa un ostacolo economico aggiuntivo alla situazione attuale che vede abbassarsi notevolmente il numero degli iscritti, il 60% in meno e l’abbandono del 18% delle matricole al primo anno. Un calo preoccupante dovuto alle difficoltà economiche delle famiglie, all’ abolizione del diritto allo studio legato ai tagli e alla scarsa percezione dell’utilità della formazione come risposta al mercato attuale. Tanto più che le iscrizioni alle università telematiche stanno crescendo a ritmi record: attualmente sono oltre 42 mila gli aspiranti laureandi iscritti a corsi online, una crescita del 40% in un solo anno. Una scorciatoia da vero boom, nonostante manchi una vera regolamentazione sui requisiti di accreditamento e sui controlli.La laurea di oggi vale veramente poco considerando gli stipendi attuali e questo è un segnale molto negativo per la nostra formazione. Il malfunzionamento del nostro mondo lavorativo è dato dal fatto che una larga parte di laureati non trova lavoro stabile, o non trova un lavoro compatibile con il suo curriculum accademico. Una situazione che scoraggia lo studente che passa ore davanti a libri che non saranno compatibili con il suo futuro lavoro e che, soprattutto, non gli garantiranno un futuro stabile. La disparità tra università e i diversi criteri di votazione, creano delle “differenze” tra università peggiorando sempre più i confronti e svalutando il vero valore della laurea come titolo di studio. La crisi attuale sta facendo emergere le falle del sistema: la politica, il sistema bancario e la disoccupazione giovanile.
Insomma, incrociando le tendenze, vien da concludere che la laurea non perde il suo appeal, a fronte della condizione disastrata degli atenei e soprattutto questa benedetta laurea la si vuole ad ogni costo, senza guardar troppo per il sottile sul dove, ma una facoltà non vale l’altra, e online gli standard medi sono ancora parecchio bassi. Anche se l’Italia si dimostra fanalino di coda dell’Europa, con un sistema universitario obsoleto che, a quanto pare, ritarda l’entrata nel mondo del lavoro e rende più difficile un futuro agli studenti, alla lunga conviene investire sulle competenze acquisite nel percorso formativo, perché di fatto rende più dei bot o delle azioni.