di Gianpiera Mancusi
E’ stata la Liberia di Ellen Johnson Sirleaf la protagonista del Premio Nobel per la Pace 2011. “Umile e onorata” sono le prime parole che il primo Capo di Stato donna di un Paese africano ha pronunciato ricevendo, ad Oslo, il premio assegnatole dalla Norwegian Nobel Committee per la sua “battaglia non violenta a favore della sicurezza delle donne e del loro diritto alla piena partecipazione nell’opera di costruzione della pace”. Un’edizione tutta in rosa quella dello scorso anno: per lo stesso motivo sono state premiate anche l’avvocatessa per i diritti umani Leymah Gbowee, liberiana anche lei, e Tawakkol Karman, una delle militanti più impegnate nella lotta per la democrazia in Yemen.
La più antica repubblica africana
La nascita della Liberia, come entità politica, si deve all’arrivo degli afroamericani che stabilirono una colonia di “liberi uomini di colore” sulle sue sponde nel 1822 sotto il controllo della American Colonization Society (ACS). Fondata in America nel 1816, tale associazione era composta da Quaccheri favorevoli all’abolizione della schiavitù e da schiavisti che volevano eliminare una possibile minaccia dei neri liberi per la “loro società”. Il 26 luglio 1847 i coloni proclamarono l’indipendenza e promulgarono una costituzione con la quale ufficialmente diedero vita alla Repubblica di Liberia. Il modello al quale si ispirarono erano gli Stati Uniti, tanto che la capitale del nuovo Stato venne chiamata Monrovia in onore di James Monroe, quinto Presidente americano e prominente sostenitore dell’opera di colonizzazione del Paese africano. La vita politica della giovane repubblica fu dominata dal True Whig Party, un partito composto dai coloni e dai loro discendenti (i cosiddetti Americo-Liberiani). Sebbene tale partito praticasse una politica di esclusione ed emarginazione degli indigeni (ossia le popolazioni che abitavano quelle terre prima del loro arrivo), il Paese visse in pace e, grazie all’appoggio e all’assistenza degli USA, iniziò una forte spinta alla modernizzazione. Durante la Seconda Guerra Mondiale, la Liberia beneficiò del programma Lend-Lease[1], grazie al quale vennero costruiti il porto e l’aeroporto nella capitale. Crescita e pace durarono fino agli anni ‘80 quando Tolbert venne rovesciato con un colpo di Stato organizzato da un gruppo si sottoufficiali dell’esercito guidati dal Sergente Maggiore Samuel Doe.Il colpo di Stato significò la fine della dominio degli Americo-Liberiani. Venne formato un nuovo governo che, nel 1985, emanò una nuova costituzione. Samuel Doe venne eletto Presidente sebbene le elezioni non vennero ritenute valide dalla comunità internazionale. Doe iniziò una politica di repressione dell’opposizione, soprattutto dopo aver sventato un tentativo di colpo di Stato. Violenza e crisi economica fecero crescere il dissenso interno. Nel 1989 Charles Taylor, un ex-componente del governo Doe, che era stato allontanato qualche anno prima per appropriazione indebita, formò il National Patriotic Front of Liberia (NPFL) e lanciò l’insurrezione che, grazie all’appoggio di stati vicini come Burkina Faso e Costa d’Avorio, diede inizio alla prima guerra civile liberiana. Nel settembre 1990 Doe venne catturato e giustiziato dai ribelli. Tuttavia la sua morte non portò, come sperato da molti, la pace. I ribelli, infatti, si divisero in varie fazioni: la guerra civile si tramutò in un conflitto etnico, con sette e fazioni che combattevano per il controllo delle risorse della Liberia (in particolare diamanti e legname). Iniziò, così, la fase più sanguinosa della guerra civile: 200 mila liberiani persero la vita e un milione cercò rifugio nei Paesi limitrofi. Nel 1995 le fazioni ribelli firmarono la pace e, nel 1997, Taylor venne eletto Presidente. Ma repressione e governo arbitrario furono i caratteri distintivi anche del governo di Taylor. La Liberia venne isolata dall’intera comunità internazionale a causa del coinvolgimento nella Guerra Civile della Sierra Leone. Taylor fu accusato di aiutare i ribelli del Fronte Unito Rivoluzionario (RUF) attraverso la vendita di armi in cambio di “diamanti di sangue”, nonché di dirigere personalmente alcune operazioni del RUF, durante le quali i ribelli uccisero, torturarono e rapirono migliaia di civili, tra cui numerosi bambini. Con queste premesse, la pace durò poco: nel 1999 l’insurrezione anti-governativa nel nord-ovest del Paese diede inizio alla seconda guerra civile liberiana. Dopo forti pressioni internazionali, Taylor diede le dimissioni da Presidente nell’agosto 2003 e si recò in esilio in Nigeria. Il conflitto provocò circa 250,000 vittime e lasciò il Paese in rovina e invaso da armi. Venne costituito un governo di transizione che traghettò il Paese fino alle elezioni del 2005. Le Nazioni Unite inviarono una forza di peacekeeping(UNMIL) per monitorare gli accordi di pace e procedere al disarmo dei combattenti: la UNMIL che, ancora oggi, vede 15,000 soldati impegnati sul terreno è una delle missioni più costose nella storia dell’ONU.
La donna di ferro
Laureata ad Harvad, “la Thatcher della Liberia” inizia la sua carriera politica nel 1979 come Ministro delle Finanze. Da qui in poi la sua vita si intreccia inevitabilmente con il destino del Paese. Costretta all’esilio dopo il colpo di Stato di Samuel Doe, inizialmente sostiene l’opposizione capitanata da Charles Taylor, aiutandolo nella ricerca di finanziamenti[2].Nel 1991 ritorna in Liberia e nel 1992 viene nominata Direttore in Africa del Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP). Nel 1997 decide di sfidare proprio Taylor ma, accusata di tradimento, è costretta nuovamente all’esilio. Tuttavia la donna di ferro, come viene chiamata dai suoi sostenitori, non si dà per vinta. Quando nel 2003 Taylor lascia il potere, diventa il Capo della Governance Reform Commission che ha il compito di guidare il Paese verso la pace. Si presenta alle elezioni del 2005 con il suo Partito dell’Unità e, contro ogni pronostico, batte lo sfidante, l’ex giocatore di calcio George Weah, diventando così la prima donna Capo di uno Stato africano. Tra i suoi primi atti c’è proprio la richiesta di estradizione dell’ex-dittatore Taylor dalla Nigeria e la consegna di questi alla giustizia internazionale. Nonostante avesse affermato di non voler correre per un secondo termine, nel 2010 si ricandida vincendo nuovamente le elezioni.
“Quando l’aereo non è ancora atterrato, non cambiare i piloti” è stato la slogan della sua ultima campagna elettorale. Secondo quanto da lei stessa affermato, dietro la sua attività politica c’è il desiderio di “portare la sensibilità materna e le emozioni alla presidenza” e di incoraggiare le donne africane a ricoprire cariche politiche. “L’Africa sorgerà, e prospererà, quando le donne potranno occupare il loro legittimo posto come partner istruiti e adeguati nella loro società” ha detto, intervenendo in videoconferenza nella seduta plenaria delle Giornate Pio Manzù intitolate quest’anno “XXI femminile – dal secolo breve al secolo delle donne”. Secondo Sirleaf, il modo più veloce per raggiungere tale traguardo è il rafforzamento del ruolo della donna nell’ambito familiare, l’emanazione di leggi di tutela della dignità femminile, la costituzione di un apparato di garanzia contro i crimini che le coinvolgono e iniziative volte a favorire la loro alfabetizzazione.
Questi sono stati gli interventi che Sirleaf ha promosso in Liberia e che hanno ampliato la rappresentanza femminile negli organi esecutivi, legislativi e giudiziari, nonché nelle amministrazioni locali. Il suo impegno verso le donne è stato recentemente premiato: proprio nel 2010 la Liberia è stata insignita del prestigioso premio Millennium development goal three[3]. Un bel riconoscimento per un Paese che fino a pochi anni fa era considerato uno Stato canaglia.
* Gianpiera Mancusi è Dottoressa in Scienze Internazionali (Università di Siena)
[1] Lend-Lease programme, conosciuto in Italia come legge Affitti e Prestiti, era il programma americano mediante il quale gli Usa fornirono una grande quantità di materiale bellico alla Gran Bretagna, Francia, Unione Sovietica e Cina e altre nazioni alleante durante gli anni ‘41-‘45.[2] Il suo appoggio all’ex dittatore liberiano, accusato di crimini contro l’umanità e attualmente a giudizio presso la Corte Penale Internazionale all’ Aja, costituisce il momento più oscuro della sua sfavillante carriera politica.
[3] Gli otto obbiettivi del millennio sono traguardi che 191 Paesi si sono impegnati a raggiungere entro il 2015. L’obiettivo tre riguarda la promozione dell’uguaglianza di genere e dell’empowerment della donna.