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Alla base della credenza nella licantropia e nei rituali di bestialità (ossia nella metamorfosi temporanea o non di un essere umano in lupo o in altre trasformazioni animali) vi è l’umano desiderio di abbandono all’istinto selvaggio per sondare quelle sensazioni di intenso ritorno alla natura.
Ogni cultura ne fornisce diverse rappresentazioni accompagnate da diverse usanze ma con una matrice rituale comune. Per quello che riguarda il classicismo compare, ad esempio la leggenda di Licaone, figlio di Pelasgo, primo re di Arcadia che viene posto da Pausania nella “guida della Grecia” in un contesto rituale di metamorfosi in lupo
Anche nella letteratura latina compare il mito della trasformazione in animale attraverso Ovidio che nelle sue “Metamorfosi” narra di passaggi di dei in uomini o in animali ma anche di esseri umani in vegetali.
Trasformazioni che in diversi contesti assumono diversi significati quali la valorizzazione o la condanna, la temporaneità o la definitività, metamorfosi collettive o altre individuali, volontarie e personali o attraverso un tramite (divinità, stregone ecc…).
Si continua poi con altri popoli quali quello indiano in cui lo sciamano attraverso imitazioni dell’animale prescelto, date sia dal travestimento che dal comportamento, celebra rituali con finalità propiziatorie o venatorie a seconda delle cerimonie.
Sopratutto in questo caso, l’imitazione dell’animale (che mischiata al travestimento fornisce chiari simbolismi metamorfici) scandisce l’apprendimento che l’uomo può trarne da esso. Gli indiani osservavano scrupolosamente il comportamento delle bestie nelle varie situazioni e non a caso i loro spiriti guida venivano rappresentati da animali.
Nelle antiche popolazioni germaniche e scandinave, i lupi mannari (ulfhednar “uomini vestiti di pelli di lupo”) e i berserkir (guerrieri rivestiti di pelliccia d’orso) rientravano tranquillamente nell’organizzazione della società in qualità di eccezionali combattenti che vestivano di pelli di animali e in occasione della battaglia ne acquistavano il potere, la furia e la maggior resistenza al dolore.
Questi guerrieri compivano pratiche magiche iniziatiche come prove di coraggio, resistenza alla sofferenza fisica e metamorfosi rituale in animale. Naturalmente il fine era quello di avvicinarsi il più possibile all’invincibilità.
Abbiamo così visto come i rituali di bestialità abbiano fini diversi quali la trance sciamanica a
fini propiziatori e venatori (ossia di vantaggi ottenibili attraverso la ritualità e cerimonie di caccia), la semplice realizzazione del desiderio di ritorno all’origine animale a fini conoscitivi e infine l’utilizzo dell’istinto e della sua forza a scopi guerrieri.
Per ciò che concerne la possessione demoniaca all’interno del sabba, ovviamente differente dal concetto di “possessione diabolica” in uso al cattolicesimo in giustificazione a quelle che invece sono malattie mentali come l’ossessione, la depressione, l’isterismo, essa è magicamente intesa come un richiamo consapevole delle energie primordiali che sussistono in coesione con l’universo ed è correlabile, nella maggior parte dei casi, alla luna piena che illumina splendidamente i boschi.
La sua intera fase raccoglie in se la dolce espressione del fecondo ventre materno, il riflesso in essa della luce solare. Noto è anche l’influsso della luna piena sull’aspetto romantico dell’uomo, sull’istinto animale, sulle maree, sul raccolto nei campi, sulla semina e sulla pesca.
Non vi è da stupirsi se il suo disco divenne il simbolo della notte, della madre feconda, del culto della luna – madre ossia di Lilith.
Passiva nel riflettere il sole ma attiva nelle influenze che esercita sulla terra.
Come il sole è il signore del giorno, la luna è la signora della notte
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