> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" height="200" width="600" alt="La linea scura di Edmond Baudoin >> LoSpazioBianco" class="aligncenter size-full wp-image-45327" />
Tra le caratteristiche del fumetto francofono, c’è la scuola della “Linea chiara”, che ha come caposcuola l’Hergé di Tintin e ha avuto tra i suoi massimi esponenti a livelli internazionale personalità del calibro di Yves Chaland, Serge Clerc, lo spagnolo Daniel Torres, gli olandesi Joost Swarte e Ever Meulen.
Accanto a questi c’è anche una “Linea scura”, ben in anticipo sulle atmosfere scure dell’americano Mike Mignola per cui fu coniata questa definizione, che “non si interroga solo su quello che l’occhio vede, ma anche su quello che c’è dietro agli occhi”, per usare le parole di Baudoin su Alberto Giacometti, un gruppo di autori che parte da Alberto Breccia e José Munoz, e arriva ai francesi Jacques Tardi, David B. e Blutch, gli italiani Stefano Ricci e Davide Reviati, e, naturalmente, Edmond Baudoin.
Nato a Nizza nel 1943, Baudoin è uno dei grandi della BD francofona come dimostra la sua presenza nei cataloghi dei principali editori del settore che annoverano almeno un suo libro – tra cui anche un libro per la giapponese Kodansha – anche se la maggior parte della sue opere si dividono tra L’Association, Seuil e Futuropolis/Gallimard.
La sua opera è stata poco esplorata dagli editori italiani: forse su qualche libreria online si trova anche “Veronica”, edito da Rasputin! libri nel 1999, e non una delle sue opere migliori, mentre solo da poco è arrivato “Piero”, toccante autobiografia dell’artista da cucciolo edita da Coconino, che è anche il racconto del toccante legame con il fratello, e della nascita della sua passione per il disegno e poi per la narrazione a fumetti.
È un libro che andrebbe messo accanto a un’altra straordinaria autobiografia, “Il grande male” di David B.: anche qui abbiamo un rapporto con un fratello nato sul tavolo da disegno, l’uso del fumetto come linguaggio espressivo, l’ipotesi di un passaggio di un’ideale “staffetta artistica” da un fratello all’altro, come se attraverso l’opera di uno possa vivere anche quella mai realizzata dell’altro.
Baudoin non doveva infatti diventare “artista” ma ragioniere, come suo padre, nonostante fin da piccolo avesse dimostrato un’attitudine particolare per il disegno. Solo che la sua famiglia non poteva permettersi di mantenere due figli all’istituto d’arte, era necessario che almeno uno facesse un “lavoro sicuro”, e la scelta è ricaduta sul fratello Piero, mentre Edmond si è incamminato verso ragioneria. Poi, alla fine degli studi, le cose si ribaltano: Piero decide che il mondo dell’arte lo ripugna e si ritira a fare il semplice decoratore, chiudendo i suoi disegni in un cassetto. Intanto Edmond ha continuato a disegnare, e sarà il disegno a spingerlo, a trent’anni, a raccogliere il testimone del fratello: lascia il “posto sicuro” da ragioniere (come negli stessi anni farà l’ingegner Vittorio Giardino), ed entra nel mondo del fumetto, da dove, per la fortuna dei lettori, non sarebbe più uscito.
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