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La madre

Creato il 21 maggio 2013 da Audrey2

La Madre

Titolo originale: Mama
Regia: Andrés Muschietti
Sceneggiatura: Neil Cross, Andrés Muschietti, Barbara Muschietti
Genere: Horror
Anno: 2013

In principio fu questo cortometraggio, Mamà, di Andy Muschietti. Guillermo Del Toro se ne innamora e decide di allungare due minuti di film in cento. Per farlo gli serve, ovviamente, una trama che ricami sul rapporto tra Mama e le bambine — Victoria e Lily. Ci si mettono in tre per spremere fuori una sceneggiatura debole debole, che ricalca parecchi cliché della ghost story: spettro di donna tormentato a causa della perdita del figlio, accudisce come sue due bambine che un padre disperato voleva uccidere in un bosco. Questo è il nocciolo della questione. Ho avuto il chiodo fisso del cinema horror giapponese, qualche anno fa, perciò mi ha fatto subito pensare a un mix tra Ju-on e Dark Water. E questo significa che, essendomi fatta le ossa con i J-Horror — che ho sempre trovato più terrificanti, in ogni confronto con i rifacimenti americani — ero già preparata all’idea che non avrei visto niente di speciale. Cosa che è ben diversa dall’essere prevenuti, okay? Non guardo film con il preciso intento di farli a pezzi, con tanto di “L’avevo detto, io!”. Sapevo cosa aspettarmi, tutto qui. E, in linea di massima, è andata come avevo immaginato. Però è anche vero che, nonostante la noia, un paio di guizzi il film li ha regalati. Nel mezzo del “già visto”, c’è qualche buona idea sia a livello di script che di regia. E qui, lo dico subito, parlo da assoluta profana: so giusto giusto cosa sia un campo lungo, perciò giuro che non mi metterò a ravanare nel linguaggio tecnico né tirerò in ballo tecniche cinematografiche; dirò solo quelle che sono state le mie impressioni.
Per quel che mi riguarda, La Madre è un film dalla resa altalenante, che funziona solo finché l’elemento orrorifico viene intravisto o, meglio ancora, finché lo si intuisce e basta: per esempio, dai sorrisi che la piccola Lily rivolge a qualcosa che si trova alle sue spalle, in alto, nel buio. Qualcosa che tu, spettatore, non vedi, per cui l’impressione è quasi che Lily sorrida a qualcosa che si trova accanto a te. Dietro di te. E poiché la giovanissima interprete, Isabelle Nélisse, è parecchio brava, il risultato è abbastanza da brivido.

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Isabelle Nélisse e Megan Charpentier, nella parte di Victoria, sono ciò che tiene in piedi il film. Ammetto di averle trovate molto più che inquietanti in parecchi momenti, anche se le strade delle due sorelle divergono presto: Victoria, essendo più grande, non ha dimenticato il padre e non ha disimparato a parlare, perciò il suo reinserimento nella nuova famiglia è più veloce e completo. Lily, invece, continua a restare la selvaggia che lei e la sorella erano al momento del loro ritrovamento, a cinque anni dalla scomparsa. E continua a restare legatissima a Mama, tanto che questo rapporto così stretto vanifica i pochi progressi fatti dalla bambina, che per quasi tutto il film continuerà a muoversi esattamente come lo spettro: non gattona né cammina sulle mani e sui piedi in modo goffo. Affatto. È rapida, silenziosa, a tratti ondeggia, a tratti avanza a scatti. Ride e gioca con Mama e anche questa è una cesura netta tra le due sorelle. Forse perché Victoria si rende conto, per quanto le voglia bene, che Mama è pericolosa. Che fa del male. E quando lo fa, non è come quando si arrabbia con lei e Lily: quando lo fa, uccide.

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C’è una scena molto bella, che esemplifica un po’ il rapporto Lily/Mama e quello tra Victoria, Mama e Annabel — l’altra, la madre-intrusa, di cui Mamà è gelosa. È quella in cui si vede Lily giocare tutta felice, contendendo una coperta con qualcuno. Quando la macchina da presa allarga l’inquadratura per comprendere nella scena anche Annabel, che sta sbrigando alcune faccende domestiche, Victoria compare dietro di lei, seria e cupa, e con una scusa riesce a impedirle di entrare nella stanza che condivide con la sorella. Che, nel frattempo, sta volando — sempre ridendo.
Altri momenti che ho trovato geniali sono quelli in cui Victoria, che è miope, guarda Mama senza le lenti. Il modo distorto e sfocato in cui vede lo spettro è orribile, le toglie quel poco di umanità che le è rimasto a dispetto di tutto. Non per niente, ogni volta Victoria si affretta sempre a rimettere gli occhiali.
Particolarmente azzeccati, poi, sono i disegni che le sorelle usano per comunicare. Soprattutto quelli che scorrono all’inizio del film, nei quali si vede il progressivo abbrutimento di Victoria che, all’inizio, viene mostrata come una figuretta stilizzata che cammina sulle gambe, ma che poi comincia a muoversi come Lily. E come Mama.
Nonostante il processo di recupero delle bambine venga accantonato con un “sono passati otto mesi”, Victoria e Lily mi sono piaciute. Non così i protagonisti adulti, che risultano superficialmente caratterizzati — imho.
Annabel, interpretata da Jessica Chastain, è una musicista rock. Nella sua prima entrata in scena, esulta per non essere rimasta incinta del compagno Lucas, lo zio delle ragazzine. Durante il film, il suo rapporto con le sorelle si limita alla buona notte. Ci sono solo un paio di scene che mostrano il lato materno di Annabel — una delle quali l’ho trovata toccante: quella in cui scalda con il suo fiato le mani di Lily. Eppure, alla fine, è lei che affronta lo spettro, in uno scontro che dovrebbe opporre l’amore di una madre a quello di un’altra. Onestamente, non mi è sembrato che a questo confronto si sia arrivati in modo soddisfacente. Doveva esserci per copione e c’è stato, ma… bah!
Lucas, interpretato da Nikolaj Coster-Waldau, era una figura più emotivamente coinvolta — è lui che, per cinque anni, ha cercato le nipoti fino a ridursi sul lastrico — ma è stata spedita in panchina per tutta la parte centrale del film. In ogni caso, e nonostante faccia solo da contorno, Nikolaj Coster-Waldau è un gran bel vedere.

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Quanto a Mama, a parte l’interpretazione dell’attore spagnolo Javier Botet, non funziona. Non quando viene inquadrata. Finché resta un’ombra che passa velocissima alle spalle di Annabel fa perdere un battito al cuore. Be’, la prima volta, almeno. Quando comincia a materializzarsi, è la rovina: l’orrenda CGI le dà l’aspetto di uno scopettone per pavimenti sfilacciato dall’uso e con un viso che pare preso in prestito da un alieno, di quelli chiamati Grigi. Non ho capito il perché di questi tratti somatici così sconclusionati, ma l’effetto mi è parso ridicolo: invece di fare paura, Mama sembra uno spauracchio posticcio. Anche quando il suo volto torna ad assumere sembianze umane. E poi, che cavolo sono quei versi che fa? Sembra uno scoiattolo! Per non parlare del fatto che, quando si muove, le sconocchiano tanto le ossa che pare di sentire una ciotola di Rise Krispies che scoppiettano nel latte! Potenziale orrorifico buttato nella latrina. E questo nonostante Javier Botet le dia delle movenze davvero, ma davvero impressionanti.

In genere, gli effetti speciali non mi sono piaciuti granché. Anche nel finale — che già di suo è un pochetto telefonato. Sarebbe potuto essere comunque bello e tristissimo, se non che non solo ci hanno infierito su con la CGI, ma anche con script e interpretazione degli attori, con la solita eccezione di Isabelle Nélisse e Megan Charpentier.
Insomma, alla resa dei conti, questo film è un meh! Non avevo elevate aspettative, ma le ha deluse lo stesso, nonostante quei due, tre momenti in cui è riuscito a fare breccia e a emozionarmi o inquietarmi.



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