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La Mahmoud Darwish Foundation

Creato il 24 ottobre 2014 da Chiarac @claire_com_

Annamaria Bianco qualche settimana fa è andata a Ramallah e ha visitato il museo dedicato al poeta palestinese Mahmoud Darwish, la Mahmoud Darwish Foundation. Ne è nata l’occasione per farcela conoscere, e un utile spunto di riflessione.

di Annamaria Bianco

La Mahmoud Darwish Foundation è un’istituzione relativamente giovane, fondata a Ramallah il 4 ottobre 2008, poco dopo la morte di Darwish, allo scopo di salvaguardarne il lascito culturale, letterario e intellettuale e ricordare il suo impegno esemplare per la causa palestinese.

Le attività della fondazione si concentrano però non soltanto sulla raccolta dei suoi lavori, ma anche sull’organizzazione di altre attività artistiche e, a questo proposito, è stato stabilito un premio annuale “The Mahmoud Darwish Award for Creativity”  indirizzato ad intellettuali palestinesi e non.

Il gioiello della fondazione, tuttavia, resta al-Birwe Park: un museo di tre acri, disegnato da Ja’afar Tuqan, che sorge sulla collina dove è stato sepolto il poeta, a lui interamente dedicato. Questo include una hall, uno shop, un teatro all’aperto, che può ospitare più di 500 persone, ed uno splendido rigoglioso giardino, verde come sa esserlo solo l’erba di Palestina.

(Courtesy di A.B.)

(Courtesy di A.B.)

(Courtesy di A.B.)

(Courtesy di A.B.)

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L’occasione di visitarlo mi si è presentata repentinamente, durante un viaggio improvvisato di quattro giorni in Palestina, a settembre; il più bello ed indimenticabile della mia vita.

Nonostante l’istituzione del cessate il fuoco a Gaza, la galleria ospitava ancora quadri ispirati e dedicati agli eventi drammatici di luglio/agosto, sui quali vigilava, dal podio, un ritratto di Darwish.

(Courtesy di A.B.)

(Courtesy di A.B.)

(Courtesy di A.B.)

(Courtesy di A.B.)

La mostra permanente consiste invece dei manoscritti originali del poeta, dei suoi effetti personali, i suoi biglietti di viaggio, i suoi infiniti documenti, i suoi premi, le sue fotografie e le sue interviste, mentre le pareti sono tappezzate dai suoi versi e dalle copertine dei suoi libri tradotti in praticamente tutte le lingue del mondo.

(Courtesy di A.B.)

(Courtesy di A.B.)

(Courtesy di A.B.)

(Courtesy di A.B.)

Per chi, come me, si è nutrito delle sue poesie per anni, camminare fra quei corridoi è stata un’esperienza mistica.

Eppure non è possibile fare a meno di chiedersi se lui, il Mahmud Darwish che non ha mai voluto definirsi poeta di un’intera nazione, avrebbe davvero voluto tutto questo; se si sarebbe mai sentito davvero al suo posto, celebrato in questo modo; se avrebbe mai desiderato una sepoltura così monumentale, con la sua personalità semplice.

Il suo scrittoio vuoto, isolato nella penombra della sala, sembra ancora aspettare il suo ritorno, come se non vi fosse altro posto più adatto a lui per riposare.

(Courtesy di A.B.)

(Courtesy di A.B.)

I poeti restano per sempre seduti alla loro scrivania, in un modo o nell’altro, in attesa di essere letti, riletti; riscritti.


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