Vogliamo rassegnarci a capire che non siamo a Roma?
Nè a Sanremo, nè a Taorimina?
Siamo a Bologna, una delle città più fredde e umide dell’universo.
Eppure ci siamo messi in testa che dobbiamo stare seduti fuori dai bar, come in via Veneto, anche con meno tre.
Bene.
Questo che cosa comporta? comporta che il problema numero uno è riscaldare la gente per evitare l’ibernazione.
“Dai, mettiamoci fuori, tanto ci sono i funghi”.
Ecco, il rapporto con il famigerato fungo non è mai stato facile; intanto bisogna accenderlo e quando il cliente ci prova si sentono per strada gli spari secchi come di un fucile scarico.
Clac, clac, clac; e subito due madonne.
Allora arriva il cameriere che accende il fungo con un piccolo clic e ti fa sentire un cretino.
Alla fine ci si siede e succedono le seguenti cose:
1) il fungo produce nel giro di tre minuti una temperatura Farenheit paragonabile solo a quella della sala macchine di un transatlantico; così uno muore abbrustolito fra atroci stenti; poco prima si erano abbrustolite le patatine e le arachidi risultando, comunque, più gradevoli.
2) il fungo fa un caldo pazzesco ma non omogeneo per cui metà della faccia, e quindi anche del corpo, è, praticamente, ai Caraibi e lìaltra metà è in Alaska; metà volto è paonazzo dal caldo e l’altra metà dal freddo; a qualcuno è caduta, sgretolandosi sotto il tavolino, metà faccia mentre l’altra è rimasta su, ed era sudatissima.
3) il fungo si spegne senza avvisare e l’escursione termica è come uscire dal bagno turco ed entrare in una cella frigorifera di un macellaio sorseggiando, sorridenti, un frizzantino; il giorno dopo si sorseggiano delle tachipirine perchè hai 40 di febbre.
4) qualcuno tenta di accendere la sigaretta infilandola nei buchini, ma la sigaretta esce trasformata in una torcia che impaurisce i presenti.
Insomma, le incandescenti cappelle che costella i dehor della città funzionano a volte sì e a volte no.
E allora ecco spuntare altre novità nel tentativo di rendere confortevole il 90% di umidità di Bologna.
Ci sono i “padelloni”, che sono delle specie di lampade attaccate al muro che mandano calore e che rimandano immediatamente ai centri di abbronzatura.
Anche loro diventano incandescenti e uno, mentre prende l’aperitivo, a volte ci vola contro convinto di essere una zanzara e viene arrostito in un secondo con quel piacevolissimo sfrigolio che fanno le zanzare d’estate quando vanno a morire sulle apposite lampade killer.
Infine la novità è quella dei “soffioni” di vetro, con dentro incendi di proporzioni colossali che se li vedi dal fondo della strada accorri o chiami i pompieri pensando che il bar stia andando a fuoco.
Le fiamme si alzano dentro questi tubi illuminando facce tenebrose di uomini abbronzati e colbacchi di signore eleganti che, se troppo vicini al vetro, possono incendiarsi creando uno spettacolare effetto, consigliabile con il sottofondo del tema di Lara del Dottor Zivago.
A volte, da lontano, quelle fiamme fanno pensare alle entrate delle case romane del tempo di Cesare, o ai templi dell’antica Grecia.
Invece sono i templi della Falanghina.
Comunque il problema non è risolto.
Qualcuno sta progettando di dotare i bar all’aperto di pavimenti riscaldati che quindi creino un calore uniforme; il problema potrebbe diventare quello delle scarpe.
O c’è qualche ditta che lancia la moda delle scarpe d’amianto o le nostre povere suole di gomma che portiamo d’inverno si liquefaranno lasciandoci incollati al pavimento.
Che faccia faremo quando ci gratteranno via una volta che ci siamo seccati?