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La mancata “primavera” algerina

Creato il 11 luglio 2011 da Bloglobal @bloglobal_opi

di Giuseppe DenticeLa mancata “primavera” algerinaL’ondatarivoluzionaria che si è propagata da gennaio nel magre e Vicino Oriente haavuto origine in Algeria. Questa, tuttavia, sembra essere una delle pocherealtà del panorama che non dovrebbe conoscere una caduta del proprio Capo diStato – e questo in ragione del proprio retroterra storico-culturale edell’assetto politico-istituzionale – pur continuando ad essere caratterizzatada proteste, anche piuttosto violente.
Loscorso 6 luglio, infatti, il capo della daira– la struttura amministrativa che dipende dalla wilayat, l’istituto della Provincia in arabo – di Sidi Aissa èstato ferito a coltellate nel corso della sommossa scatenata dallapubblicazione dell’elenco degli assegnatari di 256 case popolari. In un’altramunicipalità, ad Ain-Smara, c’è stata un’altra violenta manifestazione con ilblocco dell’autostrada. Anche lo scorso 21 giugno nella città di Adrar, asud-ovest di Algeri, erano scoppiati una serie di scontri violenti framanifestanti e polizia: anche in questo caso erano stati provocati dallapubblicazione dell’elenco dei beneficiari dell’assegnazione di case popolari:delle 16000 richieste, solo 375 sono state accolte, secondo quanto pubblicatodallo stesso governo algerino.
Aqueste motivazioni vanno aggiunte quelle che hanno provocato le proteste neimesi invernali: l’incremento eccessivo dei prezzi di prima necessità (zucchero,olio e grano) provocato da una bolla speculativa alimentare scoppiata nel 2009,l’alto tasso di disoccupazione (le fonti ufficiali parlano del 11%, ma fontidel Dipartimento di Stato americano si pronunciano per un più realistico 25%),l’alto tasso di inflazione, il basso livello di salari, un inefficienteservizio di acqua potabile, tagli alle forniture di gas ed elettricità, ecc. Aconoscenza dell’opinione pubblica solo con l’inizio della “Primavera araba”,queste proteste, tuttavia, non erano una novità per il paese nordafricano. Giàin passato dimostrazioni contro le autorità algerine ve ne erano state, mastroncate sul nascere dalla governancemilitare. L’Algeria gode, infatti, di un primato: è il primo Paese al mondodove sono scoppiate più proteste. Solo nel 2010 ve ne sono state un centinaio emigliaia di altri episodi minori.
Purrimanendo dunque alta la tensione, il Presidente Bouteflika sta riuscendo amantenere sotto controllo la situazione anche grazie alle promesse di riforme,innanzitutto di tipo economico e sociali per combattere la disoccupazione, inparticolare giovanile, sostenendo la creazione di nuovi posti di lavoro eincentivando le imprese. E come primo passo verso un effettivo cambiamento, loscorso 22 febbraio ha revocato lo stato di emergenza nazionale, in vigore dal1992, pur rimanendo valido in tutte quelle situazioni che, di volta, in volta,vengono considerate situazioni di terrorismo e sovversione
Mala capacità di Bouteflika di restare ancora saldo al potere non èfondamentalmente data dall’intraprendenza politica o dall’entità delle riformepromesse. La sua forza è dovuta all’appoggio della classe militare che, inrealtà, controlla effettivamente il potere in Algeria, rappresenta la legge,controlla ed influenza l’intera vita del Paese. In particolare, Bouteflika hapotuto mantenere il potere, nonostante la diversità di vedute, grazie aMohammed “Tewfik” Mediéne, Capo del Département du Renseignement et de laSécurité (DRS) – l’apparato di intelligencemilitare algerino – e figura chiave del regime. Il tutto accompagnato dal fattoche le opposizioni, per quanto unite fra di loro attraverso la recente piattaformadel Coordinamento Nazionale per il Cambiamento e la Democrazia (CNDD – unmovimento che riunisce sindacati, società civile e partiti di opposizione alPresidente –, in realtà sono molto deboli.
Eccoche le proteste sembrano essere gestite con piena consapevolezza dall’esercito– come dimostrato dall’imposizione del divieto di affollamento istituito dalgoverno nelle ultime settimane –, il quale, anziché dividersi e tentennaresulla posizione ufficiale da assumere, come è avvenuto in Tunisia ed Egitto, haserrato i ranghi e appoggiato la presidenza di Bouteflika. La differenza tra lasituazione algerina e le altre risiede, appunto, in questo. L’Algeria non cadràfino a quando l’esercito deciderà di sostenere, ovviamente per i propriinteressi, l’attuale sistema. Interessi dettati non solo da motivi economici epolitici, ma anche e soprattutto dal timore che si riproponga una situazione diguerra civile che provochi spaccature all’interno degli stessi militari. Se BenAlì e Mubarak  sono caduti allorquando imilitari si sono schierati dalla parte dei manifestanti (diverso ancora il casodello Yemen in cui si sono innescate dinamiche relative ai rapporti delle tribùcon il potere di Saleh), Bouteflika, invece, rimarrà con ogni probabilità alpotere fino a che l’esercito lo riterrà opportuno.
Ciònon significa che non possa essere possibile un cambiamento di rotta o unallontanamento del Presidente, ma che, probabilmente, la situazione resterà inuna sorta di stasi o che tutto cambierà affinché nulla effettivamente cambi. Secaduta sarà, questa avverrà in un lungo periodo e quando avverrà significheràche le rivolte saranno state più intense e, conseguentemente, le repressioniancora più dure.* Giuseppe Dentice è Dottore in Scienze Internazionali (Università di Siena) 

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