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Non indossavano il fez e l’orbace, anche se qualcuno ancora sfoggia tatuaggi col capoccione. Non erano neanche i ventimila preannunciati dai promotori dell’esibizione muscolare voluta dal governatore Giuseppe Scopelliti. Però erano in tanti. L’organizzazione del consenso è una materia che l’ex sindaco di Reggio maneggia con abilità. Un presidente giovane tra i giovani, un po’ come il “Chiambretti night”. Simpatico, bello e probabilmente pure profumato. Come vuole il gran capo, che però non si può più nominare, talmente è caduto in disgrazia. Non come la sinistra brutta, sporca e pessimista: “bisogna sempre avere ottimismo, mentre i leader della sinistra sono sempre pessimisti”. È tutto qua il segreto del successo. E per questo, “non possiamo consegnare il paese a gente del genere” e “chi non salta comunista è”.
Ed io che pensavo si fossero liquefatti. In Calabria, poi, sarebbe legittimo sospettare l’abbattimento di un meteorite simile a quello che provocò l’estinzione dei dinosauri alla fine del Cretaceo. Il partito democratico, affidato ancora ai placebo del commissario Musi, “non perviene” da tempo immemorabile. Il resto di quel che fu il Pd è sul crinale, in meditazione sul da farsi. Si vocifera di un prossimo ingresso dell’Api rutelliana nella giunta regionale e persino quel comunistone di Loiero potrebbe accasarsi a destra. In Parlamento però, ché in Calabria occorrerebbe un chilo di bicarbonato per fare digerire una pietanza del genere. Raffaele Lombardo ha infatti spalancato all’ex governatore le porte del suo Mpa, partito di confine che ricorda un po’ l’enciclica Mater et magistra di Papa Giovanni XXIII: “Mater et magistra piace alla sinistra; madre e maestra piace alla destra; e se la guardi dentro piace anche al centro”. Una collocazione ancora tutta da decidere, ma quello è l’ultimo dei problemi. Come dire: “in base al vento, verrà sistemata la vela”.
Torniamo alla manifestazione di Cosenza. Una prova di forza, senza alcun dubbio. Ma rivolta non contro questa sinistra impalpabile ed evanescente. Non ce ne sarebbe bisogno perché, da quel versante, Scopelliti ha ben poco da temere. Il destinatario della cartolina culturista va rintracciato altrove. Gli indizi portano a Roma, dove, indipendentemente dalla caduta o meno del governo, è ormai universalmente accettata la fine del ciclo berlusconiano. L’uscita di scena del cavaliere provocherà conseguenze a cascata, smottamenti già anticipati da alcune significative prese di distanza. Chi può, cerca di non restare intrappolato sulla tolda insieme all’orchestra che continua a suonare come se nulla fosse, mentre il Titanic affonda. Non per niente Scopelliti tiene due piedi in tre scarpe. Il Pdl, del quale è tuttora coordinatore regionale, nonostante la chiarezza delle parole e dell’esempio di Angelino Alfano in tema di incompatibilità; la Lista Scopelliti, esempio plastico di lista “coca-cola” invisa a via dell’Umiltà; il laboratorio del Partito del Sud di Micciché, presidiato dal fedelissimo Alberto Sarra. Le vie di fuga non mancano. Così come i voti, checché se ne dica. La capacità di intercettare il favore dei giovani non si discute neanche, visto il successo – già sperimentato a Lamezia – dell’estensione del modello Reggio su scala regionale: nani, ballerine, convention mirabolanti e spettacoli a go-go.
Popolarità e seguito non possono essere considerati un demerito. Lo è, purtroppo, il vuoto pneumatico di una sinistra tenera e inciuciante che, invece di fare opposizione durissima, non si preoccupa di smentire le accuse di partecipazione alla gestione clientelare del potere (da ultimo, la vicenda della Fondazione Campanella). Esiste, evidentemente, un deficit di leadership, causato dal deserto che – parafrasando Tacito – è stato fatto senza peraltro portare alla pacificazione. Di più, c’è un problema di credibilità. Che è come il coraggio di don Abbondio. Se non ce l’hai, non te la puoi dare.
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