di Francesco Agnoli*
*scrittore e giornalista
L’idea che un personaggio televisivo come Piergiorgio Odifreddi (un ex seminarista convertito al comunismo e all’ateismo militante, senza alcun vero merito scientifico) può far passare, è che tra matematica e religione ci sia una perfetta incomunicabilità. Di qua i numeri, da un’altra parte Dio. La storia della matematica è però lì a dirci il contrario, qui si può leggere la prima parte di questo percorso.
Sulla stessa scia di Keplero e degli altri grandi pensatori citati nella prima parte, si colloca a ben vedere tutto il pensiero matematico e in generale scientifico, per secoli e secoli, a partire dalle origini. Sempre la matematica è vista come una scoperta dell’uomo, non come una sua invenzione. Si ritiene cioè che il linguaggio matematico sia efficace, funzioni, non per caso, ma perché coglie l’oggettività di un ordine, l’esistenza di leggi universali: ordine e leggi universali che richiedono un Legislatore supremo. Un Dio “dell’ordine e non della confusione” (“God of order and not of confusion”), come ebbe a dire un altro dei più grandi matematici della storia, Isaac Newton.
Ha scritto il fisico contemporaneo Paul Davies: “Come avviene che le leggi dell’universo siano tali da favorire l’emergenza di menti a loro volta capaci di riflettere e modellare accuratamente queste stesse leggi matematiche? Come è successo che il cervello dell’uomo, che è il sistema fisico più complesso e sviluppato che conosciamo, abbia prodotto tra le sue funzioni più avanzate qualcosa come la matematica, capace di spiegare con tanto successo i sistemi più basilari della realtà fìsica? Perché la mente, che si colloca al culmine dello sviluppo, si ripiega su se stessa e si collega con il livello base dell’esistenza, cioè con l’ordine retto da leggi su cui l’universo è costruito? A mio avviso questo strano “loop” suggerisce che la mente è qualcosa che è legata ai più fondamentali aspetti della realtà fisica, sicché se vi è un significato o un fine all’esistenza fisica, allora noi, esseri coscienti, siamo di sicuro una parte profonda ed essenziale di questo fine”[6].
Eric T. Bell, autore del celebre volume “I grandi matematici”, inizia la sua narrazione partendo dai filosofi greci, per passare quasi subito a Cartesio (1596-1650) e Pascal (1623-1662). Bell ricorda, di entrambi, la fede esplicita in un Dio Creatore, e il rapporto privilegiato con il celebre matematico padre Mersenne, intorno al quale nasceva in quegli anni l’Accademia Francese di Scienze. Si potrebbero anche ricordare la dimostrazione a priori dell’esistenza di Dio di Cartesio, convinto che “le verità matematiche che voi chiamate eterne sono state stabilite da Dio e ne dipendono interamente”, e la visione profondamente religiosa del matematico Pascal, inventore, tra le altre cose, della prima “calcolatrice”, la “pascalina”. Costui, perfettamente in linea con la teologia medievale, sosteneva da un lato che “la natura ha perfezioni per mostrare che è l’immagine di Dio, e difetti per mostrare che ne è solamente l’immagine” (Pensieri, 580), dall’altro specificava così la sua visione del rapporto tra scienza e fede: “Il Dio dei Cristiani non è un Dio solamente autore delle verità geometriche e dell’ordine degli elementi, come la pensavano i pagani e gli Epicurei. [...] il Dio dei Cristiani è un Dio di amore e di consolazione, è un Dio che riempie l’anima e il cuore di cui Egli s’è impossessato, è un Dio che fa internamente sentire a ognuno la propria miseria e la Sua misericordia infinita, che si unisce con l’intimo della loro anima, che la inonda di umiltà, di gioia, di confidenza, di amore, che li rende incapaci d’avere altro fine che Lui stesso” (Pensieri, 556).
Dopo Cartesio e Pascal, nella lista dei grandi matematici della storia, Bell pone il già citato Newton, e, dopo di lui, Leibniz (1646-1717): siamo sempre di fronte ad un filosofo, metafisico, giurista, fisico e matematico, che oltre a perfezionare il calcolatore già inventato da Pascal e ad offrire un importante contributo al calcolo infinitesimale, era fermamente convinto, sino a dimostrarla a priori, dell’esistenza di Dio, visto come “soggetto di tutte le perfezioni, cioè l’essere perfettissimo”. Dopo Leibniz, che già a ventun anni aveva scritto un trattatello intitolato “Testimonianza della natura contro gli atei”, Bell ricorda il grande Leonardo Eulero (1707-1783), definito “il matematico più prolifico della storia”: siamo nell’età della nascente miscredenza, degli atei materialisti francesi, alla d’Holbach e alla Diderot. Eulero, invece, è un fervente protestante che ogni sera raduna la famiglia per leggere insieme brani della Bibbia. Leggiamo un aneddoto curioso su di lui: “Invitato dalla grande Caterina a visitare la sua corte, Diderot consacrava i suoi ozi a convertire i cortigiani all’ateismo; avvertita, l’imperatrice incaricò Eulero di mettere la museruola al frivolo filosofo. Era una missione facile, perché parlare di matematica a Diderot, era come parlargli cinese…Diderot fu avvertito che un matematico d’ingegno possedeva una dimostrazione algebrica dell’esistenza di Dio e che l’avrebbe esposta davanti a tutta la corte, se avesse desiderato ascoltarla; Diderot accettò con piacere…Eulero si avanzò verso Diderot e gli disse gravemente e con un tono di perfetta convinzione: ‘Signore, a+b alla n, fratto n, uguale a x: dunque Dio esiste: rispondete‘. Questo discorso aveva l’aria di essere sensato agli orecchi di Diderot. Umiliato dalle pazze risate che accolsero il suo silenzio imbarazzato, il povero filosofo domandò a Caterina il permesso di tornare in Francia…”. Sappiamo che Eulero si era limitato a fare un po’ di commedia, in quell’occasione, ma anche che in seguito provò a fornire “due solenni dimostrazioni dell’esistenza di Dio e dell’immortalità dell’anima”[7]. Non interessa qui sapere quanto quelle dimostrazioni siano veramente efficaci, quanto notare che anche Eulero non trasse dai suoi studi matematici motivi per la miscredenza, al contrario!
Anche il grande matematico italiano Paolo Ruffini, cattolico fervente, scriveva pochi anni dopo Eulero, nel 1806, una dimostrazione matematica dell’esistenza dell’anima, mentre il matematico napoletano Vincenzo Flauti cercò di dimostrare Dio per via matematica nella sua “Teoria dei miracoli”. Imitato in questo tentativo ardito da George Boole (1818-1864), pioniere della logica matematica, nel suo “Leggi del pensiero” e da uno dei più grandi geni della matematica e della logica di tutti i tempi, Kurt Gödel (1906-1978), il quale tra gli anni ’40 e gli anni ’70 del Novecento, intento com’era “ricondurre il mondo ad unità razionale”, scrisse pagine fitte di formule tese a dimostrare l’esistenza di un Dio non solo come Ente Razionale ma con gli attributi del Dio cristiano[8]. Gödel era filosoficamente un realista, credeva cioè nella matematica come scoperta (“le leggi della natura sono a priori”, non una “creazione umana”); criticava fortemente lo “spirito dei tempi” suoi, improntato al materialismo ed al meccanicismo; da battista luterano qual’era, e da matematico, professava la fede in un Dio trascendente, “nel solco di Leibnitz più che di Spinoza”; sosteneva l’irriducibilità della mente al cervello, dei processi psichici a spiegazioni solamente meccaniche, e affermava che “il cervello è un calcolatore connesso a uno spirito” individuale ed immortale; riteneva “confutabile” l’idea che il cervello umano “sia venuto nel modo darwiniano”, per cause puramente meccaniche e casuali e rifletteva sul fatto che il mondo, dal momento che “ha avuto un inizio e molto probabilmente avrà una fine nel nulla”, non si giustifica da se stesso[9].
Si potrebbe continuare a lungo, nella lista dei grandi matematici credenti, citando Carl Friedrich Gauss (1777-1855) considerato da molti “il principe dei matematici”, che fu un uomo dalla natura profondamente religiosa, abituato a leggere il Nuovo Testamento in lingua greca, convinto che “il mondo sarebbe un non senso, l’intera creazione una assurdità, senza immortalità” dell’anima e senza Dio[10]; il cecoslovacco Bernad Bolzano (1781-1848), sacerdote cattolico, che diede importanti contributi alla matematica, anticipando alcune idee di Cantor; il norvegese Niels Henrik Abel (1802-1829), figlio e nipote di ecclesiastici protestanti; il tedesco Karl Theodor Wilhelm Weierstrass (1815-1897), un matematico tedesco, spesso chiamato “padre dell’analisi moderna”, di cui portano il nome teoremi, teorie e oggetti matematici, figlio di un protestante convertito al cattolicesimo e cattolico anch’egli (tanto da insegnare in varie scuole cattoliche)[11]; il tedesco Bernhard Riemann (1826-1866), considerato uno dei massimi matematici di sempre, anch’egli figlio di un pastore protestante, che fu sempre spirito “religiosissimo” e devoto[12]. Oppure potremmo citare il grande Georg Cantor (1845-1918), figlio di padre luterano e di madre cattolica, grande appassionato di filosofia e teologia medievale, così simpatizzante per la Chiesa cattolica da desiderare il consenso alla autorità cattolica romana riguardo alle sue speculazioni sui numeri infiniti (speculazioni che confinavano, diciamo così, con la metafisica e la teologia).
Da: Francesco Agnoli, Scienziati dunque credenti, Cantagalli, Siena, 2012
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Note
[6]. Citato in Bersanelli-Gargantini, “Solo lo stupore conosce”, Rizzoli 2003
[7]. E. Bell, “I grandi matematici”, Sansoni, Firenze, 1966, p.147-148.
[8]. R. G. Timossi, “Prove logiche dell’esistenza di Dio da Anselmo d’Aosta a Kurt Gödel. Storia critica degli argomenti ontologici”, Marietti 1820, Genova Milano, 2005.
[9]. Gabriele Lolli, “Sotto il segno di Gödel”, Il Mulino, Bologna, 2007, in particolare cap. VIII. Lolli ricorda anche quattro lettere scritte da Gödel alla madre, nel 1961, per esprimere “le sue ragioni per credere in un’altra vita”, mentre ad un amico malato, Gödel scriveva: “L’affermazione che il nostro ego consiste di molecole di proteine mi sembra una delle più ridicole mai sentite…”.
[10]. G. Waldo Dunnington, “Carl Friedrich Gauss: Titan of Science”, The Mathematical Association of America, 2004, pp. 298-311. Dunnington riporta questa frase di Gauss: “Ci sono domande le cui risposte io porrei ad un valore infinitamente più alto che quello della matematica, per esempio quelle riguardanti l’etica, o il nostro rapporto con Dio, il nostro destino ed il nostro futuro; ma la loro soluzione resta irraggiungibile sopra di noi, fuori dall’area di competenza della scienza”. Inoltre nota il biografo che il grande matematico amava moltissimo il seguente passo di James Thomson: “Padre di luce e vita! Dio Supremo!/Il Bene insegnami, insegnami Te!/Salvami da follia, vanità e vizi,/da ogni ricerca vana; nutri l’anima/di sapienza, di pace e di virtù -Sacra, carnale, eterna beatitudine!”.
[11]. Félix Klein, Róbert Hermann, “Development of mathematics in the 19th century”, Math Sci Press, 1979, p.260.
[12]. John Derbyshire, “Prime obsession: Bernhard Riemann and the greatest unsolved problem on mathematics”, J. Nenry Press, 2003: viene riportata anche la lapide posta sulla sua tomba, in cui si legge “Qui riposa in Dio Bernhard Riemann…”, e in conclusione una frase di san Paolo: “Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio”.