Ilario D’Amato. Dopo essere stata battezzata con la mostra collettiva Polis dello scorso Ottobre, la Nea Artgallery di Napoli, neonata e polivalente galleria d’arte situata nel centro storico a pochi passi dall’Accademia di Belle Arti, ha presentato la prima personale con Pulcinella essenza liquida ideata da Nicola Russo e realizzata dall’abile manualità artistica dei fratelli Scuotto. Protagonista assoluto della scena è la celebre maschera di Pulcinella che opera all’interno dello stesso spazio espositivo una moltiplicazione feroce e carica di simbologie. Lo spettatore della mostra assiste a quella che potremmo definire come “gestazione di un simbolo”. Analizzando attentamente questa potente maschera, senza tener conto dei luoghi comuni che la contemporaneità vi ha costruito sopra, risulta evidente come Pulcinella è, da sempre, il simbolo di Napoli, incarna la sua anima popolare, rappresenta lo sberleffo dei potenti e la rivincita sociale sui soprusi del padrone. Fra tutte le maschere della tradizione artistica italiana è l’unica a non aver subito mai un vero e proprio tramonto, registrando anzi continue rinascite e sempre maggiore popolarità. Roberto De Simone ha scritto: “Pulcinella è la maschera per eccellenza del mondo popolare campano, una maschera che si riferisce innanzitutto all’espressione della morte. Una valenza di morte… ha l’abito bianco, confezionato con le lenzuola, un camicione completato dal coppolone o cappello a punta, pure di stoffa bianca; una valenza di morte.. ha la maschera che copre il volto. Una maschera nera che si può ribaltare in una coloritura bianca del volto ottenuta con farina o gesso, e che rende ancor più spettrale la maschera stessa”[1].
L’esposizione dei fratelli Scuotto elimina da questa figura il senso di morte che De Simone, nella sua analisi antropologica, ha tracciato e ci presenta invece una vitalità esaltante che si evidenzia attraverso la proliferazione di immagini e di metafore. In queste opere non vi è però il Pulcinella della tradizione teatrale e della grande commedia dell’arte, ma la sua forma embrionale che viene presentata in diversi contesti e stati di costituzione. Si parte dalla Famiglia in-formazione dove l’embrione sotto vetro viene inquadrato al centro di due genitori ideali e lontanissimi nel tempo con i quali si vuole rimandare alla nascita di quest’antica maschera in quella che Franco Toscano, nella prefazione del catalogo della mostra, ha definito: “la stagione degli oracoli e degli enigmi” anche se poi verrà canonizzato “negli anni spaventati dell’Impero Romano, quando per ogni esigenza eleggevano un Dio, con tutte quelle mode e religioni che arrivavano da Oriente (…)”. Sotto forma di tanti piccoli feti umani conservati sotto spirito si forma poi la Colonna Infame ,con la quale pare conservarsi, nelle pose irriverenti delle piccole figure, tutto il carattere sconcio e talvolta spietato del personaggio maturo. Il percorso espositivo quindi si snoda a partire da una lontana e misteriosa nascita alla cristallizzazione del suo intimo carattere, Pulcinella viene sacrificato su un palo (Impalato), conservato sotto vetro come anima sopita di una città in affanno (Dormiente) e finisce quasi col contaminare un alto simbolo assoluto quale S. Gennaro, che per l’occasione indossa anch’egli una maschera e mostra il suo cuore in reliquia (San Gennaro in maschera). Racchiuso in barattoli di vetro come placenta umana, questo germe si nutre del tempo e allo stesso tempo rilascia la sua “essenza liquida” che pulsa e scorre incessantemente nelle vene della popolazione. L’immagine finale è quella di un esercito in battaglia, uno stuolo di spiritelli che forma una vera e propria Macchina da guerra pronta ad una riscossa che sembra imminente ma non si realizza mai. Tutto termina in questo carro simbolico che calpesta con le sue ruote le cronache quotidiane del passato e del presente e si appresta a sfondare con il suo ariete le porte di un futuro se non migliore, sicuramente diverso, perché qualcosa deve cambiare, una rivoluzione è necessaria.
[1] Vincenzo De Simone, Carnevale si chiama Vincenzo, Roma, De Luca Editore, 1977.