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La moneta della scienza: Trasimaco e gli indici bibliometrici

Creato il 17 maggio 2012 da Btfp @btfp1

Nel primo libro della Repubblica di Platone il sofista Trasimaco sostiene due tesi famose, una politica e l’altra morale: per chi l’impone la giustizia è l’utile del più forte; per chi la pratica un bene altrui.  Il sapere della scienza politica, che impiega il concetto di giustizia, serve per l’utile di chi, essendo al potere, ne è dotato per definizione, e non per quello delle comunità umane di cui si occupa.

Socrate cerca di dimostrargli che, in una scienza, una cosa sono gli effetti e le motivazioni di chi l’esercita e un’altra il suo oggetto e le sue ragioni interne. Il pilota, andando per mare, migliora la sua salute, ma non per questo diventa medico. Il medico guadagna il suo onorario, ma non per questo diventa un esperto dell’arte di farsi pagare o misthotiké. Una cosa è saper fare il medico o il pilota, un’altra essere esperti di marketing. La gente si rivolge al medico o al pilota non in primo luogo perché sono bravi a farsi pagare, ma perché le loro competenze procurano dei vantaggi; tanto è vero che le capacità per le quali il medico e il pilota sono richiesti non verrebbero sminuite se decidessero di  lavorare gratis. Il guadagno che la pratica di una disciplina arreca a chi l’esercita le è esterno e non può definirla (345e ss) – né, tanto meno, valutarla.

Trasimaco è un sofista: come tale, trae il suo prestigio sociale e il suo reddito dalla sua competenza. Per questo si vergogna fino ad arrossire quando Socrate gli fa notare che, se uno scienziato cerca di schiacciare il suo interlocutore anche quando, secondo i princìpi della sua disciplina, questi ha ragione, si comporta come un ignorante e non come un esperto. La volontà di prevalere può essere una componente importante delle scelte dello studioso, ma non può entrare nella discussione scientifica senza soffocarla. Il sofista può teorizzare la competizione ma non può essere coerentemente un ricercatore da competizione. In una discussione scientifica fatta seriamente – Socrate l’aveva capito benissimo – si può vincere anche perdendo.

Quentin Massys, Cambiavalute
Chi vuol valutare la ricerca contando le citazioni pensa che la competizione nel gioco degli indici bibliometrici sia indispensabile per stimolare i ricercatori alla produttività: tratta, dunque, le ragioni interne alla scienza come inessenziali e assume come motivante un criterio esterno. In questa prospettiva, direbbe Trasimaco, la ricerca è l’arte di farsi citare. Realisticamente non dovrebbero scandalizzare le pratiche di manipolazione e di pressione volte ad aumentare i propri indici bibliometrici. Se il valore di un ricercatore o di una rivista non è interno alla ricerca e ai contenuti che pubblica, è ben comprensibile che ricercatori e riviste si comportino da massimizzatori razionali di citazioni, con espedienti che hanno poco a che fare con l’ethos della scienza.

Trasimaco, che era entrato nella conversazione del primo libro con una scena d’effetto, forse autopromozionale, alla fine capisce che un esperto che sa esclusivamente autopromuoversi è soltanto un esperto di autopromozioni, e arrossisce: il comportamento strategico di chi vuole prevaricare non è identico a quello di chi cerca un sapere solido, perfino con lo scopo sofistico di venderlo sul mercato. Ma forse dovrebbe arrossire altrettanto chi ha talmente disconosciuto i valori interni della ricerca da non rendersi conto che le citazioni possono rimanere la moneta della scienza soltanto se non sono la moneta di nient’altro.


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