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La morte della condivisione e la Rete gossippara

Creato il 28 marzo 2013 da Intervistato @intervistato
Recentemente, durante una lezione, spiegavo ai miei studenti che “la condivisione è uno degli atti che possiamo compiere e che innesca la viralità dei contenuti, insieme con il voto (leggi “like” o “+1”) e il commento”. 
La morte della condivisione e la Rete gossippara Mentre parlavo mi sono reso conto, però, che il concetto di condivisione che stavo spiegando era puramente meccanico ed emozionale: un paio di click, magari una riga per dire quanto piaceva o non piaceva quel contenuto e via. Il tutto, però era, ed è, piuttosto lontano da quello che solo pochi anni fa, intesseva di sé la “filosofia di Internet”.
Giuseppe Granieri, nel suo Blog generation, spiega bene come i blogger fossero dediti a trovare “contenuti interessanti in Rete e a condividerli con gli altri”. Un lavoro a volte certosino di ricerca, selezione e “messa a disposizione collettiva” di nuovo sapere. D’altronde la Rete stessa, non certo Arpanet ma Internet in sé, nacque per collegare Università e quindi “mettere a sistema” il sapere. L’obiettivo era la tanto sbandierata “intelligenza collettiva, superiore alla semplice somma di quelle che la compongono”. In buona sostanza il concetto era che il ragionare insieme, il mettere in rete le intelligenze, avrebbe portato a un arricchimento collettivo altrimenti irraggiungibile separatamente.
Tornando a ciò che stavo spiegando ai miei studenti, appare evidente che non sia più così. Si condivide nell’ottica della semplice trasmissione di una informazione, poco di diverso dalla tendenza, nelle riunioni fra amici, del dire “ma lo sai cosa è successo o cosa hanno fatto Tizio o a Caio?” e ad accompagnare e ad accogliere questa informazione solo espressioni emotive, istintive: bello, brutto, divertente, sconcertante, incredibile, ecc. La torsione del concetto di condivisione, operata dai Social Network lo ha portato molto ma molto vicino a ciò che viene chiamato Gossip. Più che “condividi”, lo script di Facebook si dovrebbe chiamare “trasmetti” o “spiffera”.
E’ la dinamica del passaparola, mi risponderà qualcuno. In fondo, il web altro non è che la proiezione digitale della società umana e quindi ne replica le dinamiche, bello o brutte che siano. Qui però il problema non è che questo fenomeno sia bello o brutto, giusto o sbagliato è che non ci porta a nulla, anzi, ci crea parecchi problemi, a cominciare ad esempio, dalla sempre minore affidabilità delle informazioni che viaggiano sulla Rete. La dinamica del gossip non prevede ovviamente né una verifica della veridicità dell’informazione né, tantomeno, alcuna preoccupazione in termini di responsabilità rispetto al fatto che, comunque, stiamo “pubblicando qualcosa”.
Se a questo aggiungiamo i tempi del Web e le dinamiche dell’attenzione delle persone, appare abbastanza ovvio che, alla fine, si reagisca in maniera istintiva, immediata, trasmettendo emozioni e non “sapere” e che, anzi, si tenda ad evitare di usufruire di contenuti complessi, impegnativi. Anche questo post, per esempio, sarà sicuramente troppo lungo per la maggior parte delle persone che ci entreranno in contatto.
Ma che ne è del buon Jon Postel, vero padre fondatore di Internet, che nel 1981, postulava la legge che porta il suo nome e che descrive il “funzionamento sociale” della Rete: “Sii prudente in quello che fai, sii liberale in quello che accetti dagli altri” (“be conservative in what you do, be liberal in what you accept from others"), che poi vuol dire che in Rete è necessario essere “prudenti” e quindi rigorosi, rispettosi, esatti e precisi per quel che riguarda ciò che si propone agli altri. Mentre bisogna essere “liberali” ovvero disposti ad ascoltare e favorire e rispettare la libertà di pensiero e d'iniziativa altrui nell’atto di ricevere.
In sostanza Postel postulò che la Rete è un ecosistema sociale il cui motore è la comunicazione basata sullo scambio, sull’ascolto, sul rispetto dell’altro, sull’apporto di valore da parte di ognuno, sull’interazione. Chi entra e comunica in Rete si assume una responsabilità per ciò che dice o fa ma anche una responsabilità verso l’altro, ovvero l’impegno a interagire, ad ascoltare, a condividere. Appunto, a condividere, in un’ottica di impegno e contributo in termini di valore, non certo di gossip.
Questa legge è ormai lettera morta, in una Rete dove fluiscono miliardi di contenuti e in cui la viralità è uno strumento sempre più incoraggiato per fini commerciali e dove finanche i cosiddetti influencers si misurano non tanto sulla qualità di ciò che dicono quanto su quanto riescano a ingaggiare le loro communities: la visibilità prima di tutto.
Mi rileggo e ho la sensazione di aver parlato come i simpatici vecchietti che dicono “eh, ai miei tempi le cose erano diverse”. Sarà, ma io continuo a pensare che questa Rete gossippara e sempre più simile alla televisione commerciale sia, più che altro, una gigantesca occasione mancata.
Daniele Chieffi | @danielechieffi


The death of sharing and the gossipy Web
Recently during one of my lessons, I was explaining to my students that "sharing is one of the things we can do that triggers the virality of content, along with the vote (read "like" or "+1") and the comment."
As I was talking I realized, however, that the concept of sharing that I was explaining was purely mechanical and emotional: a couple of clicks, perhaps a line to explain why we like or dislike that content and that's it. It is all very far from what, just a few years a go, made the "philosophy of the Internet".
Giuseppe Granieri, in his Blog generation, explains very well how bloggers were dedicated to finding "interesting content on the web and sharing it with others". A sometimes weary work of research, selection and publication of new knowledge. The web itself, not Arpanet but Internet itself, was born to connect Universities and make knowledge available. The goal was the much advertised "collective intelligence, superior to the simple sum of the ones composing it". In essence, the concept was that reasoning together, putting intelligences together, would have brought to a collective enrichment that was impossible to reach separately.
Coming back to what I was explaining to my students, it appears obvious that it's not like that anymore. We share in the optic of the simple transmission of an information, not very different from the tendency, during friends reunions, of saying "do you know what happened or what Tizio or Caio did"? and to accompany this information only with emotional instinctive expressions: nice ugly, funny, surprising, incredible, and so on. The torsion of the concept of sharing, oeprated by social networks, has taken it much nearer what is commonly called Gossip. More than "Share", the Facebook button should be called "Transmit" or "Whisper".
It's the word of mouth dynamic, someone will answer me. In the end, the web is nothing more than the digital projection of human society and thus replicates its dynamics, whether they be nice or ugly. Here the problem isn't that the phenomenon is ugly or beautiful, right or wrong, it's that it doesn't take us anywhere, and actually only creates more problems, starting for example from the scarce reliability of information travelling on the web. The gossip dynamics doesn't include a verification of the veridicity of information per se, nor any preoccupation in terms of responsibility of the fact that we're actually publishing something.
If we add the times of the Web and the dynamics of people's attention, it appears pretty obvious that, in the end, we react in an instinctive, immediate way, trnsmitting emotions and not "knowledge" and that we tend to avoid complex content. This post itself, for example, will surely be too long for the majority of people who will see it.
But what happened to the good Jon Postel, true founding father of the Internet, who in 1981 formulated the law which carries his name and that describes the social function of the web: "Be conservative in what you do, be liberal in what you accept from others", which means that online it is necessary to be careful, and thus rigorous, respectful, exact and precise regarding what we propose to others. And we must be liberal,  which means open to listen and favor and respect the freedom of thought and initiative of others in the act of receiving.
In substance Postel said that the web is a social ecosystem in which the engine is the communication based on exchange, listening, respect of one another, bringing value, interaction. Who enters and communicates online has the responsibility for what they say and does, but also a responsibility towards the others, which is the taslk of interacting, listening, sharing. Sharing in a view of added value, not gossip.
This law is now dead, on a web where billions of contents flow and in which the virality is a tool that is more and more encouraged for commercial reasons, and where even the so called influencers are measured not on the quality of what they say, but on how well they can engage their communities: visibility before everything else.
I read myself and I have the sensation of having written like those nice old people who say "well, when I was young things were quite different". Might be, but I continue to think that this gossipy web, more and more similar to the commercial television is, more than anything, a huge missed opportunity.
Daniele Chieffi | @danielechieffi 

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