Villa Diodati
Siamo nel Giugno 1816. Lord Byron si riunisce a Villa Diodati, la villa presa in affitto sul Lago di Ginevra con Percy Bysshe Shelley, suo vicino, la sua compagna diciannovenne Mary Wollstonecraft (che in seguito diventerà sua moglie, ma a quei tempi Shelley era sposato con Harriet Westbrook) e la sorellastra di lei Claire Clermont, legata a Byron. C'erano inoltre John William Polidori, il giovane medico di origini italiane figlio del segretario di Vittorio Alfieri, e Matthew Gregory Lewis, già autore del romanzo gotico Il Monaco. È un’estate molto piovosa: i giovani talenti della letteratura romantica sono costretti a restare al chiuso.Villa Diodati
Ci capitarono per le mani alcuni volumi di storie di fantasmi tradotte in francese dal tedesco. C’era la Storia dell’amante infedele, il quale, mentre pensava di stringere la sposa a cui aveva fatto un giuramento d’amore si trovò tra le braccia il pallido spettro di colei che aveva abbandonato. (Mary Shelley – Introduzione all’edizione di Frankenstein del 1831).
Mary Wollstonecrft Shelley
Lord Byron, ispirato dalle letture gotiche tedesche, propone ai suoi compagni una sorta di sfida: ognuno scriverà la sua storia di fantasmi. La sua proposta viene accettata con entusiasmo da Shelley, Mary e Polidori, ma in un primo memento i risultati sono scarsi. Solo John William Polidori produce un racconto su una donna con la testa di teschio che viene punita per aver spiato dal buco di una serratura, che fa terminare in modo banale. Byron inizia il suo racconto, del quale in seguito pubblicherà un frammento nel suo poema Mazeppa, ma lo abbandona perché, come Shelley, è infastidito dalla banalità della prosa rispetto alla poesia. Questo frammento però verrà ripreso in seguito da Polidori per la creazione del suo racconto Il Vampiro.Mary Wollstonecraft Shelley continuerà a pensare alla sfida a lungo e, influenzata da altri discorsi che si tengono a Villa Diodati in quei giorni, concepirà un incubo che la porterà alla stesura del suo Prometeo Moderno, meglio conosciuto come Frankenstein.
Ci furono numerose, lunghe conversazioni tra Lord Byron e Shelley delle quali io fui un’ascoltatrice devota ma quasi silenziosa. In una di queste si discussero molte dottrine filosofiche, e fra le altre la natura del principio della vita, e se ci fosse qualche possibilità che esso venisse mai scoperto e comunicato. Parlarono degli esperimenti del dottor Darwin […] che aveva conservato un pezzetto di verme in un contenitore di vetro fino a quando, per qualche straordinaria ragione, iniziò a muoversi di moto volontario. Non in questo modo, per altro si poteva dare la vita. Forse un cadavere poteva essere rianimato; il galvanismo aveva dato adito a tali possibilità: forse si sarebbero potute produrre le parti componenti di una creatura, metterle insieme e dotarle di calore vitale. […] Io vidi il pallido studente di arti proibite inginocchiato dinanzi alla cosa che aveva messo insieme. Vidi la forma orribile di un uomo disteso, e poi grazie all’opera di un potente strumento, lo vidi dar segni di vita e agitarsi con un penoso moto semi-vitale. Era spaventoso, perché spaventoso in modo supremo sarebbe stato il risultato di ogni tentativo umano di parodiare lo stupendo meccanismo del Creatore del mondo. Il creatore si terrorizzava del suo stesso successo; scappava via dalla sua opera odiosa, scosso dall’orrore. (Mary Shelley – Introduzione all’edizione di Frankenstein del 1831).
Percy Bysshe Shelley
In un primo momento Mary vorrebbe limitarsi ad un racconto, ma, in seguito, spronata da Shelley, che ha fiducia nelle sue doti di scrittrice e la incoraggia ad una stesura più complessa (la Shelley è figlia d’arte: suo padre è il filosofo William Godwin, presso il quale ha studiato lo stesso Shelley, e sua madre era Mary Wollstonecraft, celebre attivista per i diritti delle donne, morta nel darla alla luce), dà origine al suo capolavoro, che pubblicherà anonimo nel 1818.Questo racconto terrificante è il primo e il più famoso lavoro pubblicato dalla scrittrice inglese Mary Shelley (1797-1851), moglie del poeta romantico Percy Bysshe Shelley (1792-1822). Nata da una sfida ad inventare un racconto horror e ispirata da un incubo, la storia della Shelley narra di un giovane studente idealista che crea un essere umano da corpi umani esanimi e vi infonde la forza della vita, salvo poi rendersi conto della natura grottesca della sua creatura e delle terribili conseguenze delle azioni di quest’ultima.
RECENSIONE Il romanzo si apre in forma epistolare: il Capitano Robert Walton scrive a sua sorella dalla nave con la quale sta tentando di compiere un’impresa in cui nessuno è mai riuscito: attraversare i ghiacci del Polo Nord ed esplorare nuove terre. Racconta della sua storia, delle sue speranze, e della sua solitudine finché un giorno l’equipaggio non scorge un essere che sembra di forma umana, ma di statura gigantesca, che, con una slitta guidata dai cani, li supera a gran velocità. Il giorno dopo gli uomini vedono un’altra slitta simile alla deriva su un grande frammento di ghiaccio e traggono in salvo un uomo, al quale Walton si affezionerà, e che gli racconterà la sua storia. Si tratta di Victor Frankenstein un giovane scienziato svizzero, assetato di conoscenza fin da giovane.
Confesso che né le strutture del linguaggio, né i codici del governo, né la politica dei vari stati avevano per me una qualche attrattiva. Erano i segreti del cielo e della terra che desideravo apprendere; e sia che mi interessassi della sostanza esteriore delle cose o dello spirito interno della natura o dell’anima misteriosa dell’uomo, le mie ricerche erano sempre rivolte alla metafisica o, nel suo senso più elevato, ai segreti del mondo fisico. Tanto è stato fatto, esclamò lo spirito di Frankenstein, io otterrò di più, molto di più; seguendo il cammino già tracciato, io aprirò una nuova strada, esplorerò poteri sconosciuti, e svelerò al mondo i misteri più profondi del creato.Dopo la morte della madre, Frankenstein si reca a studiare le scienze in Germania e qui, dopo studi approfonditi di chimica e delle varie teorie scientifiche dei suoi tempi, ha la scintilla che a nessun altro è stata concessa: comprende come fare a dare la vita, a creare un essere vivente. Unendo quindi pezzi vari di cadaveri e con impulsi elettrici dà vita ad un essere mostruoso, del quale egli stesso prova orrore. Incoscientemente abbandona la sua stessa creatura al suo destino, anche a causa di una febbre cerebrale provocatagli dalla sofferenza per lo scempio che ha commesso. Dopo sei anni trascorsi in Germania, Frankenstein sarà costretto a tornare a Ginevra per la morte del fratellino William e scoprirà di essere egli stesso, indirettamente, l’artefice di quell’omicidio e dell’esecuzione di Justine, la giovane domestica accusata del delitto. Infatti, William è stata la prima vittima del mostro da lui creato.
Incontratolo nella solitudine delle Alpi, il Demonio, come Frankenstein chiama la sua creatura, gli racconta di tutte le sue vicissitudini dal momento in cui si è svegliato nel laboratorio dello scienziato, fino a quel momento. In realtà il Demonio originariamente aveva un animo gentile, chiedeva solo un po’ di affetto; ma qualsiasi forma di calore umano gli è stato negato a causa del suo terribile aspetto. La sofferenza e la solitudine del mostro sono uno dei temi fondamentali e più commuoventi del libro: l'isolamento, l’anelare ad una qualsivoglia forma di calore umano, che gli è purtuttavia negata a causa del suo aspetto, ci fanno riflettere sulla crudeltà del giudicare le apparenze. Non sempre ciò che è orrido fuori è necessariamente brutto e malvagio anche dentro; sono le tribolazioni, i ripetuti rifiuti e le conseguenti delusioni e l’emarginazione che possono esacerbare anche i caratteri più miti, rendendo crudele anche l’essere dalla natura più innocua.
«Quando mi guardavo attorno non vedevo né sentivo nessuno come me. Ero dunque un mostro, una macchia sulla terra, da cui tutti gli uomini fuggivano e che tutti gli uomini rinnegavano? Non posso descriverti l’agonia che mi infliggevano queste riflessioni; cercai di disperderle, ma con la conoscenza il dolore aumentava. Oh, se fossi rimasto per sempre nel mio bosco natio, e non avessi conosciuto né sentito nulla al di là delle sensazioni di fame, di sete e di caldo!»Victor Frankenstein dovrà pagare pesantemente la colpa di essersi voluto sostituire al Creatore, eppure fino all’ultimo istante non si rende conto di essere lui il vero Mostro, e non la sua creatura.
Frankenstein, pur essendo considerato spesso un romanzo horror è in realtà il primo romanzo di Fantascienza: il tema principale, infatti, non è la paura che il mostro genera, bensì il terrore per un futuro in cui gli uomini, per il puro desiderio di andare avanti nella ricerca scientifica e fare sempre nuove conquiste, arrivino a compiere degli atti immorali e crudeli.
Non vi condurrò, avventato ed entusiasta come ero io, alla vostra distruzione e infallibile miseria. Imparate da me, se non dai miei consigli, almeno dal mio esempio quanto sia pericolosa l’acquisizione della conoscenza e quanto è più felice quell’uomo che crede che la sua città natia sia il mondo, di colui che aspira a diventare più grande di quanto la sua natura gli permetta.
Robert De Niro - La Creatura
(Frankenstein 1994 di Kennet Branagh)
Frankenstein di James Whale
con Borid Karloff (1935)
Frankenstein Junior (1974)
di Mel Brooks con Gene Wilder
MARY SHELLEY (nata Wollstonecraft) nacque a Londra il 30 agosto 1797 da genitori illustri. Il padre era il celebre filosofo e scrittore William Godwin (1756-1837) e la madre l’attivista per i diritti della donna Mary Wollstonecraft ( 1759-1797) autrice della Rivendicazione dei diritti delle donne (1792).
Come lei stessa scrive nell’introduzione a Frankenstein, in Standard Novels Edition (1831), trascorse gran parte della sua infanzia in campagna, specialmente in Scozia, “a nord, sulle rive deserte e tristi del Tay, vicino a Dundee “. Qui passò molto del suo tempo scrivendo storie e, ancor più, fantasticando. A soli sedici anni, Mary incontrò e si innamorò di Percy Bysshe Shelley (1792-1822), poeta romantico inglese che, come molti giovani poeti del tempo, affascinato dalle idee di William Godwin, ne frequentava la casa. Si sposarono nel 1816, dopo la morte della prima moglie di Shelley, Harriet Westbrook. Benché giovani e innamorati, non andavano incontro ad un felice futuro. La loro vita matrimoniale fu breve e costellata da gravi lutti: solo uno dei loro quattro figli sopravvisse all’infanzia, e lo stesso Shelley morì annegato durante una tempesta nel 1822. Sebbene Mary fosse una donna appagata dalla vita familiare e dal lavoro letterario del marito, fu proprio quest’ultimo a insistere affinché la moglie coltivasse il proprio talento di scrittrice. Il suo romanzo Frankenstein apparve nel 1818. Dopo la prematura scomparsa del marito, Mary Shelley continuò la sua attività di scrittrice. Tra i suoi lavori più conosciuti ricordiamo i romanzi Valpurga (1823) e L’ultimo uomo (1826). Scrisse inoltre alcuni racconti di viaggio e delle note interessanti alla collezione di poesie del marito, Poetimi Works, pubblicata nel 1839. Mary Shelley mori a Londra nel 1851.