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La Nazionale e i suoi tifosi (by Bruce Wayne)

Creato il 04 luglio 2013 da Simo785

La Nazionale e i suoi tifosi (by Bruce Wayne)

1990-2006 – Cronistoria della Nazionale e dei suoi tifosi durante i Mondiali

Tangentopoli non aveva ancora fatto tremare la Prima Repubblica, e le bombe della mafia non avevano ancora disseminato il terrore lungo la penisola. Era molto diversa da quella di oggi, l’Italia che si apprestava ad ospitare i Mondiali del 1990.

Era appena uscita dai ruggenti anni Ottanta, quando con un po’ di fantasia ci si poteva scoprire “yuppie” e Milano era, per tutti, una città da bere. Ed in qualche modo quell’euforia collettiva, data da un benessere ormai stratificato e dall’emergere di una sensibilità collettiva meno “municipale” e più “cittadina” (fatti sempre i dovuti distinguo e le necessarie proporzioni, si intende), si riversò anche sul modo in cui gli italiani seguirono le varie tappe della Coppa del Mondo.

Gli stadi erano pieni. Sempre. E “Notti magiche” (ovvero: il punto più basso della carriera artistica di Edoardo Bennato e Gianna Nannini) per poco non sostituiva l’Inno di Mameli. Schillaci? Semplicemente era il nuovo Paolo Rossi. Ed Azeglio Vicini, naturalmente, non aveva nulla, ma proprio nulla da invidiare all’ormai mitico Enzo Bearzot.

Finì con la finale per il terzo posto, durante la quale gli Azzurri si imposero con un 2-1 sull’Inghilterra. In semifinale erano stati buttati fuori ai calci di rigore dall’Argentina di Maradona, che poi venne sconfitta in finale dalla Germania grazie ad un rigore inesistente.

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Tangentopoli c’era già stata, e la mafia un anno prima aveva barbaramente ucciso Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Sulla panchina della Nazionale italiana sedeva Arrigo Sacchi, uno dei più notevoli tecnici tirati fuori dal Milan di Berlusconi nell’ultimo scorcio degli anni Ottanta. Ma il tecnico di Fusignano non aveva considerato un fatto fondamentale: quello di vivere in un Paese in cui tutti, specie nei bar e nelle piazze, sono suoi colleghi.

Così il fatto che in passato non avesse convocato gente come Baggio o Vialli faceva sì che non fosse un nuovo Bearzot, ma solo l’ennesimo nato con la camicia che credeva che allenare una squadra fosse un po’ come leggere la Fenomenologia dello Spirito di Hegel. Ed in effetti i primi risultati riportati a Usa ’94 non fecero molto per allontanarlo da quel ritratto.

Poi, però, ci fu la resurrezione di Roberto Baggio, che nell’immaginario collettivo prese per mano la Nazionale e la condusse a confrontarsi, in finale, col Brasile. Poco contò il fatto che fu anche ma, certo, non solo grazie al “divin codino” se, ai quarti e in semifinale, la Spagna e la Bulgaria non riuscirono quasi a toccar palla.

Poi coi brasiliani fu un lungo ed estenuante 0-0, finché non furono i rigori a decretare la nostra sconfitta. A sbagliare furono Franco Baresi – sono rimaste celebri le sue lacrime sulla spalla di Sacchi a fine partita –, Daniele Massaro e Roberto Baggio. Un errore che non gli si può rimproverare, se si considera che anche Zico e Platini, in passato, lo commisero e, soprattutto, se si pensa che (diversamente da quanto accadde ai quarti e in semifinale), gli ottavi di finale contro la Nigeria li vinse praticamente da solo.

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Berlusconi aveva governato per nove mesi, e poi la Lega Nord lo aveva impallinato sulle pensioni. Nel mentre c’era stato il tempo di vedere l’Ulivo di Romano Prodi vincere le elezioni, Alessandro Del Piero e Francesco Totti affermarsi come legittimi eredi di Baggio e Bobo Vieri assomigliare sempre più ad un novello Giorgio Chinaglia.

E fu proprio Vieri a scatenarsi, sui campi verdi dei Mondiali di Francia ’98. Mentre gli italiani scoprivano che il computer può avere anche la connessione internet (che però, all’epoca, equivaleva ancora ad isolare il telefono di casa come se si stesse parlando con qualcuno ed era lentissimo), infatti, l’ex attaccante dell’Atletico Madrid, che l’anno successivo avrebbe condotto la Lazio allo scudetto, segnò cinque gol nelle prime quattro partite del torneo, togliendo parecchie castagne dal fuoco ad un Cesare Maldini che, tutto sommato, non aveva dato una grande impronta di sé alla squadra.

Poi fu la volta della Francia di Zinedine Zidane ai quarti di finale. Un lungo 0-0 culminato ancora una volta coi calci di rigore. Che, di nuovo, ci rimandarono a casa. A commettere l’errore decisivo, stavolta, fu Gigi Di Biagio, preceduto da Demetrio Albertini.

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La Nazionale si presentò in Corea, nel 2002, con quello che doveva essere il migliore – ed invece, a conti fatti, è risultato il peggiore – C.T. degli ultimi anni. Giovanni Trapattoni, infatti, riuscì non senza fatica a qualificarsi agli ottavi di finale dove perde ai supplementari contro la Corea del Sud. E certo, a ripensare oggi all’arbitraggio di Byron Moreno viene ancora la pelle d’oca. Ma diciamoci pure che se Coco e Panucci fossero stati un tantino più svegli, forse, non avremmo subito i due gol che ci rispedirono a casa dopo il vantaggio firmato da Vieri.

Ma gli italiani non si interessarono molto a quel Mondiale. L’11 settembre aveva gettato sul mondo l’ombra livida del terrorismo fondamentalista, e le immagini del G8 di Genova del 2001 non si erano ancora cancellate dalla mente dei nostri connazionali. Il tutto venne interpretato in chiave strettamente politica, e nelle piazze e nei bar si parlò più di quali erano stati i passi falsi della Figc che di cosa non aveva funzionato in quella squadra.

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Nel 2006 internet era ormai già una realtà ben affermata negli usi quotidiani degli italiani. Opinionisti e studiosi di ogni estrazione si occupavano della blogosfera e si chiedevano se mai essa avrebbe potuto assumere, nel Bel Paese, la funzione – molto molto politica – che già aveva iniziato a svolgere negli Stati Uniti, e c’era stata già una buona proliferazione di siti. Certo, non era ancora l’internet 2.0 (quello dei social network). Ma, altrettanto certamente, era uno strumento adoperato dalla stragrande maggioranza delle persone.

E i Mondiali? Ci si accorse che si stavano disputando solo a partire dai quarti di finale. Fu allora, infatti, che molti italiani si ricordarono dell’autogol di Zaccardo durante la partita con gli Stati Uniti e della vittoria sull’Australia agli ottavi. Poi, ovviamente, il seguito andò in crescendo: tolta di mezzo l’Ucraina grazie a Zambrotta e Toni, i nostri connazionali non poterono che infiammarsi per la semifinale con la Germania (un altro 2-0, ottenuto stavolta grazie a Grosso e Del Piero) e per la finale con la Francia, che ci vide vincere ai rigori per la prima volta dopo quasi vent’anni.

Fu un atteggiamento “opportunistico”, insomma. Un tifo strettamente collegato al risultato conclusivo. E, forse, anche una riprova di una mutata sensibilità degli italiani di fronte alle prestazioni della Nazionale.


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