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La normativa antiebraica del 1938 in Italia

Creato il 15 maggio 2015 da Retrò Online Magazine @retr_online

Nel 1938 il volto totalitario del fascismo è ormai evidente: il regime decide di rivolgere l’attenzione della popolazione italiana contro il “nemico interno” e avvia la campagna antiebraica.

Nel 1938 il regime di Mussolini è nel pieno della sua evoluzione più totalitaria: elemento fondamentale, che segna in parte continuità e in parte un forte momento di rottura con il precedente atteggiamento del regime e della società italiana, è la serie di leggi rivolte contro la minoranza ebraica italiana.

Gli ebrei in Italia.

La popolazione ebraica italiana ammontava in quel periodo a circa 40’000 individui, ben assimilati ed integrati: era sicuramente visibile e riconoscibile la presenza ebraica più praticante, come oggi, ma nel corso del tempo dopo l’emancipazione definitiva del 1848 sancita da Carlo Alberto gli ebrei si erano lentamente integrati tra la popolazione non ebraica al punto che i matrimoni misti erano ormai sempre più frequenti senza però che per questo la coesione all’interno della comunità venisse meno; la percezione di appartenere ad una tradizione comune spingeva infatti alla preferenza per i rapporti all’interno del gruppo nelle occasioni della vita quotidiana, dalla scelta del medico all’artigiano di fiducia. Geograficamente erano concentrati quasi tutti nel nord della penisola mentre al sud erano quasi assenti ancora in conseguenza dell’espulsione dai territori sotto controllo spagnolo avvenuta nel XVI secolo.

Il nemico interno.

Colpire gli ebrei sembra dunque a primo avviso una stranezza poiché il regime non si era mai rivolto ad essi con particolari attenzioni: la presenza antisemita nel Partito Nazionale Fascista c’era ma era minoritaria ed era tenuta in disparte mentre tra gli ebrei vi era chi aveva appoggiato il fascismo fin dall’inizio. C’erano infatti fascisti antisemiti ma anche ebrei fascisti e la leggera penalizzazione subita dopo i patti lateranensi, che dichiaravano la religione cattolica religione dello Stato e le altre “culti ammessi”, non poneva l’ebraismo più in difficoltà di altre confessioni religiose. L’attacco deciso agli ebrei rientra dunque in una più ampia strategia tesa a mantenere in mobilitazione la popolazione italiana, rivolgendola in questo caso, dopo il nemico esterno in Spagna, dopo l’avventura coloniale in Etiopia, contro un nemico più infido, quello interno. Considerare la svolta antiebraica come risultato di un condizionamento o di una forzatura della Germania sul regime italiano o di una pressione personale di Hitler sull’alleato Mussolini è sbagliato poiché non solo i teorici dell’antisemitismo italiano, tra cui lo stesso Mussolini, posero più volte l’accento sulla diversità del razzismo fascista da quello nazista, ma anche perché la questione ebraica non fu mai prima dell’armistizio dell’8 settembre 1943 al centro del dialogo tra i due regimi.

Mussolini e il razzismo.

Nello studiare lo sviluppo dell’atteggiamento del regime contro la popolazione ebraica è interessante andare ad osservare come Mussolini sia arrivato nel suo percorso a ritenere necessari provvedimenti razzisti e quali siano state le reazioni degli italiani e in particolare degli ebrei, che erano già ben presenti all’interno della storia del fascismo, come oppositori ma anche come sostenitori e convinti fascisti. I teorici del razzismo più apprezzati dal regime, e da Mussolini in particolare, erano quelli, come Julius Evola, che presentavano il razzismo fascista come completamente diverso da quello, più rozzo, del nazismo: ne criticavano infatti l’applicazione puramente biologica e presentavano il proprio come invece basato sull’idea di una pura matrice culturale italica da preservare. La realtà dei fatti fu naturalmente ben diversa poiché le leggi, e la loro applicazione, saranno esclusivamente su base biologica. Un primo segnale della presenza dell’antisemitismo nell’ideologia fascista era emerso quando nel 1934 di fronte all’arresto di alcuni antifascisti torinesi in gran parte ebrei una esplosione di antisemitismo aveva interessato i giornali: tutto era poi stato messo a tacere. Da parte del mondo ebraico invece vi fu grande sforzo per rassicurare il regime della fedeltà della popolazione ebraica: alcuni ebrei torinesi addirittura giunsero a dichiararsi fascistissimi dalle pagine del giornale periodico “La nostra bandiera” e criticarono le posizioni sioniste come inaccettabili.

La posizione di Mussolini stesso su questo tema come su altri cambiò considerevolmente nel corso del tempo e si espresse anche con evidenti contraddizioni: innanzitutto l’antisemitismo non era cardine dell’ideologia fascista come invece lo era per il nazionalsocialismo hitleriano e addirittura nel 1936 all’avvicinamento dell’Italia alla Germania seguito alle sanzioni della Società delle nazioni come pressione contro l’intervento in Etiopia gli ebrei rimasero fuori dalle discussioni. Non si può dunque ricercare esclusivamente le radici delle leggi del 1938 nel rapporto con la Germania, che fu d’esempio invece per la capacità di mantenere costantemente in mobilitazione la popolazione dietro le parole d’ordine che di volta in volta il regime elaborava. Il razzismo antisemita è una precisa scelta politica di Mussolini che la ritenne utile a mantenere attenta la popolazione alle indicazioni del fascismo. Quella antisemita si può intendere come la terza forma di razzismo fascista: la prima era stata quella natalista intesa a favorire l’espansione della razza italiana con l’incremento demografico e la sua conservazione, la seconda era stata quella colonialista contro le popolazioni africane in occasione della conquista d’Etiopia.

La normativa antiebraica.

Nel luglio del 1938 la normativa antiebraica fu preannunciata dalla pubblicazione del “Manifesto della razza”, subito accolto e diffuso con entusiasmo dalla stampa, che tracciava le linee guida di quello che doveva essere il razzismo fascista. Fu poi creata all’inizio di agosto la “Direzione generale per la demografia e la razza”, nuovo organismo che si sarebbe dovuto occupare esclusivamente della campagna e dell’applicazione dei successivi provvedimenti antiebraici. Il primo atto della “Demorazza” fu un censimento di tutti gli ebrei italiani, che non si configurò come una semplice statistica della presenza ebraica ma come una completa schedatura di ogni singolo individuo di “razza ebraica”, nell’organizzazione del quale si dimostrò particolarmente efficace. Iniziative di esclusione ed espulsione interne all’apparato statale nei settori a cui il regime teneva di più, la scuola e l’esercito, arrivarono ai primi di settembre, e infine il 17 novembre iniziò la promulgazione dei “Provvedimenti per la difesa della razza”.

L’aspetto totalitario della normativa antiebraica.

Nonostante i “Provvedimenti per la difesa della razza” fossero di stampo diverso da quelli nazisti si rivelarono comunque molto incisivi e opprimenti: l’indicazione “discriminare non significa perseguitare” significò nei fatti il divieto di matrimonio con “ariani”, l’esclusione degli ebrei dalle scuole, dall’esercito, da tutti gli uffici pubblici, dal Partito Nazionale Fascista; furono inoltre introdotte limitazioni al possesso di beni immobili e allo svolgimento di attività economiche, molti ebrei stranieri a cui era stata data la cittadinanza la videro revocata e furono espulsi. La “discriminazione”, istituita per diminuire il peso della normativa antiebraica su coloro che si fossero distinti per meriti verso la patria e il regime fu concessa a pochi e si rivelò una pratica degradante e umiliante, così come l’arianizzazione, per ottenere la quale bisognava dimostrare di non essere figli di ebrei. Dunque se la legislazione non prevedeva la reclusione fisica nei ghetti non fu per questo meno dura, poiché gli ebrei si ritrovarono esclusi in quanto tali dalla vita della società. Proprio in questo aspetto emerge particolarmente la spinta totalitaria del fascismo del triennio 1936-1939: obiettivo del regime, oltre a colpire gli ebrei, era indirizzare i comportamenti degli altri cittadini in modo che fossero essi stessi ad emarginarli escludendoli dalla propria vita quotidiana. Fu un successo: gli ebrei non erano ben presenti nell’immaginario degli italiani in quanto tali perciò il negoziante vicino casa o l’impiegato nell’ufficio accanto assunsero il ruolo del nemico interno infiltrato un po’ in tutti i settori della società e si venne a creare un clima di diffidenza e sospetto.

Una seconda veduta del campo.
Photocredit: fondazionefossoli, CC BY-SA 3.0

Dopo l’armistizio.

L’armistizio dell’8 settembre del 1943 segnò una svolta drammatica: la maggior parte degli ebrei italiani si trovava infatti nella zona occupata dall’esercito tedesco e in quelli della nuova Repubblica Sociale Italiana. Nel corso dell’occupazione tedesca quasi 8000 ebrei furono catturati e deportati nei campi di sterminio. È fondamentale analizzare il ruolo del fascismo e degli italiani nelle deportazioni poiché settori della storiografia hanno cercato di sminuirne il ruolo nella collaborazione insistendo sulla mancanza di documenti e testimonianze dirette di accordi espliciti tra RSI e occupanti: innanzitutto la RSI era totalmente subalterna all’autorità tedesca e non c’era dunque nemmeno bisogno di accordi scritti, inoltre la prova della collaborazione esiste ed è fattuale, cioè il campo di Fossoli, vicino Modena, luogo di transito e smistamento degli ebrei arrestati in Italia e avviati “verso ignota destinazione”. Il ruolo del campo era questo già dal 1943 quando era sotto controllo italiano e lo rimase poi quando fu preso in carico dai tedeschi che affidarono agli italiani il compito di occuparsi di rifornimenti e del controllo dei trasporti.

La colpa degli Italiani.

Da parte italiana vi fu certo, soprattutto dopo l’8 settembre, chi decise di rischiare anche la propria vita per aiutare i perseguitati dalla RSI e dai tedeschi occupanti, e nella resistenza la presenza ebraica fu consistente anche se la questione delle deportazioni non fu mai presa in considerazione come a se stante: ciò è però più che comprensibile poiché in una tale situazione di confusione i problemi da affrontare erano molti e pur senza particolari attenzioni o differenze rientrarono tutti a pieno titolo nella lotta partigiana antifascista. Per quanto riguarda invece gli italiani che decisero di schierarsi dalla parte della Repubblica di Salò non bisogna tentare assoluzioni né di sminuirne le colpe: le autorità fasciste a partire dal 1938 decisero di colpire gli ebrei esclusivamente per finalità politiche usandoli come strumento per aumentare la pressione totalitaria sulla società tutta, mentre dal 1943, quando si trovarono rette solo dalla presenza militare tedesca, collaborarono con tutte le risorse possibili, dalla delazione di singoli cittadini alle forze militari della RSI fino a vere e proprie bande armate semi-indipendenti, alle deportazioni degli ebrei catturati verso i campi di sterminio.

Tags:antiebraica,campo,deportazione,fascismo,fossoli,genocidio,normativa,olocausto Next post

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