di Daniel Angelucci
La nuova Amministrazione guidata dal Presidente Xi Jinping ha apportato dei cambiamenti considerevoli alla complessiva politica estera della Cina. Nonostante l’obiettivo primario del “capitolo esteri” di Pechino rimanga lo stesso, e cioè, la promozione di un ordine internazionale equilibrato e pacifico, risulta oltremodo attuale chiedersi in quale direzione stanno cambiando le aspirazioni, la strategia e la posizione stessa della Cina nell’ordine globale nonché le delicate relazioni, da un lato, con gli Stati Uniti, dall’altro, con la Corea del Nord.
Attraverso la sua politica estera, la Cina ha la pretesa di raggiungere la modernizzazione e lo sviluppo dell’economia nazionale nel quadro di relazioni pacifiche con gli altri Stati e aderendo a principi di correttezza e giustizia. Uno dei pilastri della politica estera in esame è quello di dare slancio allo sviluppo interno attraverso attività estere come, ad esempio, il reperimento di risorse naturali. D’altra parte, come confermato il 9 ottobre anche dalla US Energy Information Administration (EIA), il Dragone ha soffiato agli Stati Uniti il primato mondiale per le importazioni nette di petrolio e carburanti. In questa ottica il Governo cinese sostiene che la diplomazia è al servizio della prosperità nazionale e debba porre condizioni favorevoli a beneficio della cittadinanza cinese
Sul piano delle strategie, l’investitura del nuovo Presidente Jinping, ha reso Pechino un attore maggiormente consapevole e proattivo sullo scacchiere internazionale. In estrema sintesi sono tre i cambiamenti della politica estera cinese attraverso cui Pechino nutre la speranza di divenire una nuova potenza mondiale.
In primo luogo, invece di guardare alle questioni internazionali da una prospettiva prettamente “sino-centrica”, ora Pechino tende ad inquadrare le questioni secondo una angolazione più globale finendo cosi per utilizzare i “trend” internazionali per rivisitare le proprie azioni diplomatiche.
In secondo luogo, la Cina prende ora molte più iniziative su questioni di importanza globale e che esulano dal contesto orientale, dimostrando una rinnovata volontà di assumere responsabilità in queste questioni. Non solo la Siria, naturalmente, ma anche l’impegno a poter esprimere una propria posizione in merito al conflitto israelo-palestinese.
In terzo luogo, Pechino sta ponendo una maggiore enfasi sull’innovazione e sulla consapevolezza e ciò è dimostrato da iniziative come gli interventi diplomatici della first lady, la maggiore comunicazione con i Paesi vicini e la volontà di perseguire un nuovo tipo di relazione da “grande potenza” con gli Stati Uniti.
A tutto ciò fa da cornice l’intenzione di divenire, sì una grande potenza, ma non secondo gli stereotipi del passato e questo implica la non tolleranza delle interferenze di forze straniere nelle sue decisioni diplomatiche, la rinuncia al perseguimento di posizioni egemoniche e, invece, il perseguimento di un sentiero di sviluppo pacifico.
L’attuale sistema internazionale è basato su una pluralità di reti e di rapporti, tanto che, sia che si tratti di una impresa, di un Paese o di un individuo nessuna singola entità può progredire senza l’adesione ad una rete. Ne consegue che le relazioni tra grandi potenze accedono oggi ad una dimensione in cui a relazionarsi non sono i singoli Paesi ma le reti di questi.
In questo senso la Cina è sulla via di trovare il suo posizionamento nel nuovo ordine mondiale soprattutto cercando di perfezionare la propria partecipazioni ai grandi networks quali l’associazione dei Paesi emergenti BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) e la partnership con l’ASEAN (Association of South East Asian Nations). Il Primo Ministro Li Keqiang ha difatti dichiarato nel recente vertice di quest’ultimo (9-10 ottobre in Brunei) che Cina e Paesi del Sud Est asiatico devono potenziare le reciproche relazioni, promuovendo nel prossimo decennio la cooperazione in sette punti chiave: aggiornamento della Free Trade Area, rafforzamento della cooperazione finanziaria regionale e della prevenzione dei rischi, cooperazione marittima e costruzione di infrastrutture di collegamento reciproco, potenziamento degli scambi e accelerazione della partnership nell’ambito della sicurezza (in particolare con la Malesia, con la quale nei primi giorni di ottobre non solo è stato stipulato un accordo economico dal valore di 30 miliardi di dollari, ma anche uno relativo allo scambio di personale militare), nuovo slancio per la cooperazione umanistica e scientifica. Tutto questo evidentemente approfittando del momento di vulnerabilità americano dato da un veloce riassestamento sulle questioni mediorientali e di politica economica interna.
A questo punto c’è da chiedersi se è plausibile un miglioramento delle relazioni tra Cina e Stati Uniti, un complesso di relazioni che è stato da sempre caratterizzato da competizione tra i due Paesi. È probabile che Washington non smetta d’interpretare il rapporto con Pechino in termini competitivi mentre quest’ultimo si concentrerà nella ricerca di migliori relazioni con la potenza occidentale, sempre nell’ottica di creare le condizioni necessarie per una pace stabile e duratura.
Molti sono i campi in cui gli interessi di Washington e Pechino s’intersecano ed è pertanto possibile stimare (non senza un tocco di ottimismo) che le relazioni nel lungo periodo tra le due potenze si sviluppino secondo un canone di collaborazione. Tuttavia sono molte ancora le personalità delle élites nazionali che agiscono secondo un modello di pensiero da “Guerra Fredda” e ciò alimenta le contraddizioni, i disaccordi tra valori dei due Paesi potendo ciò portare a delle difficoltà nelle relazioni bilaterali.
Per evitare queste possibili ricadute gli Stati Uniti dovrebbero abbandonare la loro politica economica altamente discriminatoria verso la Cina e ambedue i Paesi dovrebbero permettere che siano le forze di mercato a forgiare il destino della loro cooperazione economica.
Nella riuscita di una maggiore collaborazione tra le due potenze rientra anche il fatto che si stabilisca una maggiore interazione e ciò si traduce in un rafforzamento bilaterale dei canali di comunicazione (dai capi di Stato, a specifici dipartimenti governativi e agli stessi attori della società civile). Si stabilirebbe cosi un meccanismo per la gestione dei rischi, delle frizioni e di prevenzione delle eventuali escalation.
Oltre a questi meccanismi, per la buona riuscita delle relazioni in esame è bene che sia USA che Cina si astengano reciprocamente dal interferire negli interessi fondamentali dell’altro. Per quanto riguarda la Cina attualmente questi interessi sono: Taiwan, il mare a sud della Cina, il Tibet, lo Sinkiang, e la disputa territoriale con il Giappone che investe le isole Diaoyu/Senkaku. D’altra parte la Cina deve astenersi dallo sfidare la posizione di leader globale degli Stati Uniti.
Sotto la guida di Xi Jinping, non di meno il governo cinese sembra che stia adottando una diversa politica nei confronti della Corea del Nord: infatti, questa è tradizionalmente stata una politica di amicizia alla quale si va sostituendo un approccio maggiormente critico ogniqualvolta Pyongyang minaccia l’aspettativa cinese ad un ordine stabile e pacifico. La denuclearizzazione della penisola coreana, dunque, risponde ancora una volta alla risoluzione pacifica delle controversie e al mantenimento della pace e stabilità nella regione.
* Daniel Angelucci è Dottore in in Scienze Politiche (Università di Teramo)
Per approfondire: Zhao Kejin, Guiding Principles of China’s New Foreign Policy, 9/9/2013
Photo credit: Feng Li/AFP
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