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La nuova “sfida” di Putin è l’Estremo Oriente

Creato il 28 agosto 2013 da Bloglobal @bloglobal_opi

di Oleksiy Bondarenko

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Riascoltando uno dei primi discorsi pubblici di Vladimir Putin dopo la sua ascesa al potere, appare evidente come, nonostante numerosi successi sul piano economico, politico e sociale che hanno caratterizzato la sua presidenza, una questione ancora irrisolta riguarda lo sviluppo socio-economico della regione Estremo Orientale della Federazione [1]. L’importanza della regione più depressa e sottosviluppata della Russia risiede non solo nella sua estensione continentale e nelle sue ingenti risorse, ma anche nel significato simbolico che possiede nella costruzione dell’identità politica di Mosca. E’ proprio l’Estremo Oriente, insieme alla Siberia, che determinano la cosiddetta “vocazione asiatica” della Russia, che dopo numerose trasformazioni ideologiche ha assunto, negli ultimi anni, il paradigma del “ponte” tra Europa e Asia [2].

Lo sviluppo e la sicurezza dell’Estremo Oriente hanno rappresentato le priorità del governo centrale a partire dalla seconda metà degli anni ’60 del Novecento, soprattutto in seguito allo scisma sino-sovietico che trasformò l’Estremo Oriente da una regione “interna” in una vera e propria zona di confine sotto costante minaccia. Il modello adottato fu quello dello sviluppo dall’alto, attraverso la chiusura ad ogni tipo di penetrazione estera. Fu questo il periodo della costruzione della linea ferroviaria Bajkal-Amur e dell’installazione sul territorio di alcune industrie pesanti di prim’ordine, oltre che di un’intensa immigrazione proveniente da altre parti dell’Unione [3].

La disgregazione dell’Unione Sovietica risultò, però, catastrofica per la regione, colpita in maniera ancora più severa, rispetto al resto del Paese, dal passaggio all’economia di mercato. Gli anni Novanta furono caratterizzati, infatti, da una netta deindustrializzazione (smantellamento di oltre il 90% delle grandi industrie pesanti) e da un calo demografico radicale (intorno al 15% nel decennio successivo alla caduta dell’URSS) che tuttora affligge le principali oblast’ dell’Estremo Oriente, non a caso soprannominata da numerosi studiosi russi come “terra dimenticata” [4].

L’esperienza degli anni Novanta ha poi avuto l’effetto di dimostrare l’inconsistenza dell’approccio verticistico allo sviluppo di una regione così estesa, poco popolata e al confine con una delle economie più forti a livello mondiale, la Cina. Nonostante siano passati più di dieci anni dal discorso di Putin a Blagoveshchensk, poco è stato fatto per promuovere lo sviluppo dell’Estremo Oriente, regione che nei prossimi anni potrebbe diventare il vero ago della bilancia non solo per quanto riguarda le prospettive di sviluppo economico dell’intero Paese, ma anche del delicato equilibrio che caratterizza il rapporto tra Mosca e Pechino nel contesto di una rinnovata competizione internazionale nel Pacifico.

Estremo Oriente, regione con grandi potenzialità

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Distretto Federale dell’Estremo Oriente della Federazione Russa – Fonte: Federal State Statistics Service of Russia

Il Distretto dell’Estremo Oriente rappresenta, quindi, una risorsa ancora non sfruttata per l’economica della Federazione Russa. Oltre che un vasto territorio, esso possiede ingenti risorse naturali, come gas e petrolio (soprattutto sull’isola di Sakhalin), ma anche legname, ferro, diamanti, oro e zinco. La posizione geografica della regione permette inoltre di affacciarsi, da un punto di vista commerciale, su un mercato in continua espansione come quello asiatico, che ha acquisito sempre maggiore importanza con il perdurare della crisi economica europea. In ultimo, come sottolinea un recente studio del Valdai Discussion Club, quello dell’Estremo Oriente russo è un territorio strategico anche per l’agricoltura. Attualmente poco coltivata, la terra particolarmente fertile della parte meridionale del distretto orientale potrebbe trasformare la regione in uno dei maggiori produttori di grano a livello internazionale, mettendo così la Russia in condizioni di essere di nuovo competitiva anche in campo agricolo e diventare uno dei principali partner commerciali dei Paesi asiatici in Via di Sviluppo [6].

Ma la rinnovata attenzione di Mosca nei confronti della regione non ha solo motivazioni economiche e sociali inerenti alla politica economica della Federazione. La crisi europea e il grande sviluppo delle potenze asiatiche hanno prodotto, negli ultimi anni, un netto spostamento anche nella politica estera del Cremlino. L’area del Pacifico e la cooperazione con la Cina hanno assunto un valore costantemente crescente, contribuendo a trasformare, così, la “terra dimenticata” in territorio strategicamente molto importante per le ambizioni di Mosca. Proprio tramite questa chiave di lettura si possono interpretare le affermazioni di Vladimir Putin che in numerose occasioni ha definito lo sviluppo del Distretto Federale dell’Estremo Oriente come il “più importante compito geopolitico” dei prossimi anni [7].

L’assunto pare piuttosto semplice: se la Russia vuole realmente competere con Cina, Giappone, Stati Uniti e India nella regione del Pacifico e porsi nei loro confronti come un partner solido ed affidabile, il Distretto Estremo Orientale della Federazione deve diventare un vero e proprio snodo economico, politico e culturale, trasformandosi così da una terra desolata in una regione capace di sostenere le ambizioni da grande potenza di Mosca nel quadrante asiatico. Tracce della rinnovata enfasi che Mosca depone nell’Asia e nel Pacifico sono evidenti nell’ultima elaborazione della Strategia di Politica Estera (Foreign Policy Concept), dove viene sottolineato come la crescente importanza della regione nelle relazioni internazionali renda sempre più attuale il rafforzamento della presenza russa in quella parte del globo, presenza che passa attraverso il consolidamento del controllo statale e lo sviluppo economico della parte orientale della Federazione.[8]

Il sottosviluppo del Distretto Federale dell’Estremo Oriente mette in discussione non solo le possibilità a disposizione di Mosca di adottare una politica attiva nel Pacifico, ma anche il reale ed effettivo controllo dello Stato su di essa. Potremmo affermare che, data la negligenza politica degli ultimi vent’anni, il controllo che Mosca possiede sull’Estremo Oriente é di tipo politico-militare, mentre, numerosi dati sottolineano come, sotto l’aspetto economico, la regione appare più legata ai propri vicini asiatici, in primis la Cina.

Un nuovo approccio politico

Proprio per far fronte al “più importante compito geopolitico” che ha di fronte a sè il Cremlino, negli ultimi anni si è potuto riscontrare un cambiamento nell’approccio governativo alla situazione dell’Estremo Oriente. Si è cercato di porre rimedio all’isolamento della regione cercando di attrarre nuovi e numerosi investimenti esterni. Il modello di sviluppo autarchico promosso dall’alto sta lentamente lasciando il posto a progetti d’integrazione del Distretto con le principali economie dell’Asia e del Pacifico, senza allentare però il controllo statale su un territorio che rischia di diventare sempre più dipendente, da un punto di vista economico, dai vicini asiatici. Un esempio in tal senso è stato l’organizzazione del summit internazionale dell’APEC a Vladivostok. La Cooperazione Economica Asiatico-Pacifica è, in effetti, uno dei principali strumenti scelti da Mosca per promuovere la propria posizione nella regione e integrare l’economia della Siberia e dell’Estremo Oriente con quelle degli altri membri partecipanti.

Un altro elemento che sottolinea la rinnovata attenzione di Mosca per la propria periferia orientale è stata la creazione, nel maggio del 2012, del Ministero per lo Sviluppo dell’Estremo Oriente Russo, a capo del quale è stato posto Victor Ivanovich Ishaev, ex governatore di Khabarovskiy Kray e rappresentante presidenziale plenipotenziario presso il Distretto Federale dell’Estremo Oriente. Nonostante i numerosi dubbi sulla sua efficacia e sulla figura stessa di Ishaev (nome di spicco già dagli anni ’90 che ha quindi partecipato attivamente alla politica regionale negli ultimi 20 anni con risultati catastrofici per l’Estremo Oriente), la creazione di un apposito Ministero con sede a Khabarovsk, i cui risultati potranno essere valutati solo tra qualche anno, contiene, se non altro, un importante significato simbolico, evidenziando uno spostamento amministrativo dei centri di comando dalla parte occidentale della Federazione verso quella orientale. Il lavoro del neonato Ministero si sta concentrando sulla costituzione di “zone economiche speciali” capaci di promuovere e facilitare gli investimenti provenienti dall’estero.

Il Cremlino sembra così seguire una duplice direttrice nel nuovo approccio alla spinosa questione dell’Estremo Oriente. Da una parte si cerca di potenziare la presenza amministrativa del governo centrale (tramite la creazione del Ministero e investimenti governativi, come nel caso di Vladivostok, nonostante il rischio di trasformare la città in una cattedrale nel deserto), limitando e smussando l’autonomia politica regionale, dall’altra, valorizzare il potenziale economico e socio-politico della regione tramite una più stretta cooperazione con i vicini, promuovendo (anche tramite “zone economiche speciali”) l’integrazione del Distretto nel più ampio quadro economico del Pacifico. Questo duplice binario, inoltre, permette a Mosca di limitare le possibilità di una concreta separazione della regione dalla Russia, paventata negli ultimi decenni a causa della costante crescita economica e demografica cinese e dalla lontananza, fisica e politica, del governo centrale.

Il futuro della regione. Immigrazione, sino-fobia e cooperazione

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La costante crescita economica e demografica cinese e il contemporaneo calo demografico e la deindustrializzazione del Distretto Federale dell’Estremo Oriente verificatosi negli ultimi 20 anni, hanno provocato in Russia una crescente paura del vicino cinese. Quello della sino-fobia è un sentimento in costante aumento soprattutto nelle oblast’ (regioni) che si trovano al confine con la Cina, le cui economie dipendono più dalle regioni nord-orientali della Repubblica Popolare che da Mosca. Inoltre, il problema dell’immigrazione cinese, legale e illegale, ha fatto levare il timore, in alcuni circoli governativi e in alcuni settori dell’opinione pubblica, di una vera e propria “assimilazione pacifica” dei territori di confine dell’Estremo Oriente della Federazione (timori che tengono anche conto di un rapporto demografico alquanto squilibrato ai due lati dei confini, pari a 16 a 1 in favore della Cina.)

Anche se consultando alcuni studi sull’effettiva immigrazione cinese ci si può rendere conto di quanto la paura di un’“invasione” sia piuttosto infondata, il futuro della regione Estremo Orientale è comunque determinante per i rapporti tra Mosca e Pechino [9]. Sebbene non si possa ragionevolmente parlare di una “conquista pacifica” e silenziosa da parte della Cina, argomento spesso utilizzato da una parte dell’establishment politico regionale per celare il proprio malgoverno, è evidente come il Distretto Estremo Orientale, in assenza di un concreto programma di sviluppo, rischi di diventare economicamente sempre più dipendente da Pechino, trasformandosi lentamente in un “appendice per le materie prime”, limitando così anche i margini di manovra che possiede Mosca nelle sue delicate relazioni con il vicino. Dall’altra parte però, dato anche il nuovo corso intrapreso dal Cremlino, la Repubblica Popolare Cinese rappresenta anche l’unico vero attore regionale capace di sostenere lo sviluppo economico della regione russa, il cui futuro appare così doppiamente legato alle più ampie sfere delle relazioni sino-russe. In effetti, nonostante alcuni miglioramenti, i rapporti tra Mosca e Tokyo appaiono ancora legati alle dispute territoriali delle Kurili, mentre la Corea del Sud, a parte alcuni investimenti nel settore energetico, non sembra molto interessata a sostenere lo sviluppo economico della regione e non possiede comunque il peso economico e finanziario di Pechino.

Considerando tutti questi fattori, non sorprende affatto che il Piano di Sviluppo congiunto firmato nel 2009 da Pechino e Mosca (Program of Cooperation between the Regions of the Far East and Eastern Siberia and the Northeast of the People’s Republic of China, 2009–2018), abbia suscitato un grande dibattito [10]. Alcuni dei sui detrattori, tra cui ad esempio Sergei Karaganov (Direttore del Consiglio sulla Politica Estera e di Difesa a Mosca), hanno cercato di sottolineare come la quantità e la qualità di questi progetti rischi di trasformare “ufficialmente” l’Estremo Oriente in zona di “rifornimento di materie prime per la Cina”, determinando una posizione di debolezza di Mosca nel più ampio quadro della politica in Asia e nel Pacifico [11].

In verità, l’accordo con la Cina sembra uno degli unici modi (considerando anche i non ottimi rapporti con il Giappone) per promuovere lo sviluppo del Distretto, “legandolo” alla ben più dinamica regione nord-orientale della Cina, moltiplicando in tal modo gli investimenti di Pechino, che, come dimostrano alcuni dati, sono ancora relativamente bassi [12]. Lo sviluppo dell’Estremo Oriente appare indissolubilmente legato alle sue risorse e il Cremlino sta cercando il modo più conveniente per convertirle in un’effettiva crescita economica. Superare il sentimento anti-cinese diventa, così, di cruciale importanza per rendere efficace la rinnovata cooperazione con Pechino nel Distretto Federale dell’Estremo Oriente.

Conclusioni

Si potrebbe affermare in ultimo che, sotto alcuni aspetti, la questione dello sviluppo dell’Estremo Oriente sia anche paradigmatica della nuova fase politica del Cremlino. Oltre ad intraprendere nuove direzioni geopolitiche (aumento della presenza nella zona dell’Asia e del Pacifico) il dilemma della periferia orientale ha messo anche in discussione alcune delle basi portanti del paradigma economico promosso da Putin. Il controllo dello Stato sui settori strategici dell’economica (su tutti l’energia) ha permesso alla Russia di conoscere una grande crescita nell’ultimo decennio, ma ha anche limitato inesorabilmente gli investimenti esteri e l’afflusso di capitale nei settori industriali più importanti. Il rallentamento della crescita interna e la crisi che ha colpito i principali partner della Russia, hanno reso necessario un ripensamento degli strumenti e delle strategie a disposizione di Mosca. Proprio su questa tensione tra controllo statale e apertura, tra cooperazione e integrazione della regione con i vicini asiatici, si gioca la partita dello sviluppo economico del Distretto Federale dell’Estremo Oriente.

Nonostante l’attore cruciale in questo quadrante sia attualmente rappresentato dalla Cina, non si può escludere un futuro inserimento di altre potenze nelle vicende dell’Estremo Oriente. L’esponenziale crescita della Cina nel Pacifico non è di buon auspicio né per i suoi vicini né per gli Stati Uniti, che difficilmente saranno disposti ad accettare di vedere Pechino come attore dominante in una regione ricca di risorse come la periferia orientale della Federazione Russa. La rinnovata competizione nel Pacifico potrebbe, infatti, trasformare in futuro i “territori dimenticati” in una delle sfide determinanti per il ruolo negli affari regionali di Mosca, Pechino, Washington, Tokyo e Seul.

* Oleksiy Bondarenko è Dottore in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l’Università degli Studi di Bologna (sede di Forlì)

[1] Discorso di Vladimir Putin a Blagoveshchensk, 21 luglio 2001, durante il quale ha più volte sottolineato l’importanza di promuovere lo sviluppo economico, politico e sociale dell’Estremo Oriente.

[2] Ovviamente il concetto di “ponte tra civiltà” assume un importanza cruciale dal punto di vista economico e politico soprattutto considerando gli attuali interessi di Mosca nella regione del Pacifico.

[3] Tra queste, ad esempio, il complesso industriale specializzato nella costruzione dei sottomarini nucleari a Komsomolsk-na-Amure e le basi navali per la flotta russa nel pacifico a Vladivostok.

[4] Bobo Lo, “Axis of Convenience – Moscow, Beijing and the New Geopolitics” Brookings Institution Press, Washington D.C., 2008, p.57

[5] Amurskaya Oblast’, Jewish Autonomous Oblast’, Kamchatskiy Krai, Magadanskaya Oblast’, Primorsky Krai, Sakha Republic, Sakhalinskaya Oblast’, Khabarovskiy Krai, Chukotskiy Autonomous Okrug.

[6] Bordachev Timofei and Barabanov Oleg, “Siberia and the Far East as a path to Russian globalization”, Valdai Club Report, January 2013

[7] Blagov Sergei, “Russia Mulls Far Eastern Economic RevivalEurasia Daily Monitor, Vol. 9, Issue 83, May 3, 2012

[8] Foreign Policy Concept of Russian Federetion – 3 febbraio 2013

[9] Uno dei più importanti studi in materia è di Mikhail Alexseev, “Chinese Migration into Primorskii Krai: Economic Effects and Interethnic Hostility,” in Slavic Eurasia’s Integration into the World Economy and Community, Slavic Re-search Center, Hokkaido University, 2004. Seppur datato, le considerazioni fatte dall’autore sono tuttora valide,anche perchè i dati sull’immigrazione cinese non hanno subito importanti variazioni.

[10] Il “Program of Cooperation between the Regions of the Far East and Eastern Siberia and the Northeast of the People’s Republic of China, 2009–2018” stabilisce alcune aree prioritarie e una serie di progetti comuni per lo sviluppo dell’Estremo Oriente russo e delle regioni Nord-Orientali della Repubblica Popolare. Intorno al 70% dei progetti congiunti sul territorio russo riguardano il settore energetico, mentre solo il 5% è legato agli idrocarburi nei territori cinesi.

[11] Karaganov Sergei, “Russia’s Asian Strategy”, Russia in Global Affairs, July 2 2011

[12] Gli investimenti cinesi in Russia rappresentano poco più del 1% degli investimenti esteri e sono concentrati specialmente nel settore energetico.

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