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La panacea e il miraggio della Terra di Egnazia

Creato il 29 maggio 2011 da Trame In Divenire @trameindivenire

 

La panacea e il miraggio della Terra di Egnazia

Campo Golf nei pressi di Savelletri Foto S. Giannoccaro

 

“Colui che sia stato condotto nell’educazione delle cose d’amore fino a questo punto contemplando progressivamente e senza errori il bello, giungendo alla fine dell’iniziazione amorosa vedrà improvvisamente una bellezza per sua natura meravigliosa”. Simposio, Platone.

 

Vocazione al turismo tra retorica, illusione e speculazione

Che la Terra d’Eganzia, Fasano e il suo territorio, siano vocati al turismo non è certo per merito della politica, ma di madre Natura. Casomai la politica, il merito lo sottrae. Lo sottrae al territorio per cederlo ai nuovi feudatari. Il fenomeno ha origini antiche e negli ultimi dieci anni registra un’accelerazione allarmante.

Con l’affermarsi di quella che potremmo definire la retorica del turismo reclamata da scaltri politici, gli appetiti sul territorio si moltiplicano e il patrimonio storico e ambientale, compreso quello archeologico, privi di effettive forme di tutela da parte delle istituzioni, finisce per essere preda di ogni forma di speculazione.

L’immagine della vacca da mungere è quanto mai appropriata. Ma si sa, la vacca si lascia mungere, da il suo nutrimento, grazie al pascolo, senza del quale inaridisce, diviene sterile, fino alla morte.

L’abbraccio a colpo d’occhio, che dalle colline arriva al mare e dal mare alle colline, è una realtà apprezzabile tanto dall’avventore occasionale quanto da chi questa meraviglia la vive quotidianamente. Con una differenza. Il visitatore, poco assuefatto ai logori costumi locali intrisi di conformismo clientelare, che rendono ciechi e indifferenti, e non consentono di vedere oltre il proprio orticello. L’avventore preso, allo stesso tempo, prima dallo stupore della scena d’insieme che abbraccia il mare cristallino, il cielo intenso, il manto verde degli ulivi, la macchia che si alza alle colline fino ai trulli, come fosse il giardino delle esperidi e poi dall’orrore dello scempio che si coglie nei singoli, ma ripetuti, cadenzati, particolari. Tutti tristemente umani. Particolari che al territorio sottraggono il respiro, ne è alterano e interrompono l’incanto. Parliamo della speculazione edilizia che continuamente violenta il territorio.

L’inganno del turismo d’élite e il riscatto sociale dei futuri poveri

A ben vedere da essere presso le esperidi sembra di ritrovarsi nel disinganno di un miraggio, svanito il quale la realtà è costruita sull’abuso. La vacca da mungere sta inaridendo e il fattore miope continua a mungerla sottraendone vitalità. Quando la retorica da arte diviene demagogica propaganda, il “bello” è solo un miraggio, la panacea una menzogna.

Se un tempo si contrabbandavano armi, droga, sigarette, oggi si usano altre e tante illusioni, dietro le quali si nascondono scempi, abusi e prepotenze. Il turismo, secondo i latori della novella, assurge al rimedio che risolve le sorti umane e progressive della città, sempre più affamata e asservita. Con la retorica del turismo si esercita una sorta di ricatto, si alimenta la precarietà, se non addirittura la schiavitù, con contratti a termine o a progetto, giusto il tempo di una stagione, spesso con retribuzioni inadeguate al costo della vita e soprattutto inadeguate a costruire un percorso di vita. Anche così nascono i nuovi poveri.

All’obbrobrio della speculazione edilizia, alimentata dalla politica, che senza alcun pudore ha trasformato aree agricole o sottoposte a vincolo paesaggistico in aree edificabili per utenti privilegiati, si aggiunge l’alterazione genetica dell’ambiente. Alle centinaia di ettari di macchia mediterranea e uliveti, presto, si sostituiranno ettari su ettari di campi coltivati a festuca. Una pianta che, dalle nostre parti, per mantenersi verde, soprattutto tra la primavera e l’autunno, ha bisogno del continuo sostegno della chimica. Tutta roba che finisce in mare dopo esser passata per le falde acquifere.

Prati, che non servono di certo a nutrire il pascolo. Tutt’altro. Per alimentare, invece, l’illusione della città e sostenere il godimento dei privilegiati ospiti dei nuovi più o meno riservatissimi feudi. Dove, nel migliore dei casi, all’élite sono riservati tornei di golf  tra un bagno in mare e un cocktail in masserie nate d’un tratto lungo la via Traiana. I meno fortunati si accontenteranno di essere munti, come la vacca, tra un misto fritto di paranza decongelata e ricci di mare, di cui, s’intende, si gustano le gonadi. Il tutto all’ombra di un capanno abusivo sulla scogliera.

Identità e sradicamento

Intanto le peculiarità del territorio, come ad esempio agricoltura, agroindustria e artigianato, arretrano inesorabilmente in assenza di politiche adeguate al territorio e a una realtà in continua evoluzione. E’ evidente la resa incondizionata della politica al sistema affaristico della speculazione. Si prepara, ancora una volta, un futuro di asservimento a nuovi e vecchi signori. Quelli  del turismo e del mattone. Fino a quando la vacca non avrà più nulla da mungere.

Amare la propria terra, affrancarla dalla precarietà, che non è solo quella del lavoro, proiettarla verso un percorso di benessere condiviso e sostenibile vuol dire anche amare chi la terra la abita e la abiterà. Vuol dire riconoscere, difendere e proteggere l’identità propria del territorio, le proprie radici, che non sono solo quelle fisiche. In questo è la vera bellezza. Un amore, il cui “bene” non è mai a metà, salvo non si tratti di un inganno dietro il quale si nasconde l’orrore dello sradicamento.

Giuseppe Vinci

 


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